Nella mentalità contadina da cui proveniamo c’era una grande attenzione allo scandalo nei confronti dei piccoli e in genere della gente. Se uno combinava qualche guaio, aveva il pudore di non mettersi in mostra e soprattutto di non essere di inciampo nella vita degli altri, di non trascinarli sulla sua stessa strada sbagliata. Contadini di mentalità ancora lo siamo, ma siamo diventati spavaldi nel mettere in mostra i nostri comportamenti devianti.
Probabilmente è colpa della informazione che ci mette davanti la spudoratezza di una madre che si contende l’amante con la stessa sua figlia, solo per farsi quattro soldi o un po’ di notorietà; altre volte è il maschio latino che si vanta di avere rovinato tante ragazzine per apparire un conquistatore; spesso è chi ruba che si vanta di essere stato furbo e tutto questo di fronte a chi deve imparare a vivere, chi deve essere aiutato da valori a dare speranza alla sua esistenza fragile.
Non ti permettere poi di fare osservazioni a spettacoli troppo leggeri, che ti senti dire che sei un bacchettone, che oggi non si può censurare niente, che siamo liberi. Liberi certo di ingannare, di far soffrire, di deviare le vite innocenti di chi crede nella bontà. Dobbiamo, proprio per la esperienza che abbiamo nei nostri ritiri, nelle confessioni, nelle catechesi, farci interpreti della sofferenza dei ragazzi, che sono sensibilissimi, che soffrono interiormente, mentre i genitori si dividono e li comprano alla causa contrapposta di ciascuno. Certo per noi preti, la prudenza non è mai troppa. Non possiamo coi ragazzi fare gli amiconi in face book, se siamo insegnanti ancora meno. Le relazioni umane devono essere sempre alla luce del sole e negli spazi educativi per tutti. L’utilizzo spericolato dei social network è dannoso se si tratta di ragazzi e non può essere il luogo della direzione spirituale. Lo può essere per l’annuncio, per un frase del vangelo, ma non per sviscerare e comunicare problemi e fragilità, per dichiarare amicizia e coinvolgimenti.
Le parole di Gesù al riguardo sono molto dure. “E’ meglio per lui che gli sia appesa al collo una grossa pietra e sia gettato in mare, piuttosto che scandalizzi uno di questi piccoli”. Se stessimo alla lettera di questa affermazione, non ci sarebbero pietre sufficienti per tenere a bada i pedofili, gli spettacoli senza il minimo senso morale, le leggerezze di tanti genitori con i loro figli, i violentatori domestici. Non si tratta di applicare nessuna shaaria, ma di ricuperare un minimo senso di responsabilità soprattutto nei confronti delle giovani generazioni che non hanno bisogno di crescere sotto campane di vetro, ma di essere aiutati a superare le sfide della vita con proposte alte di bontà, con ideali di bellezza.
E non si tratta di problemi legati solo alla sessualità, quasi che fossimo fissati come sempre su questo tema che pure è molto importante, ma a tutte le forme di degrado dell’umanità, al disprezzo del povero, dell’handicappato, del debole. Il bullismo che dilaga, il disprezzo del fragile, le dure offese che gli stessi ragazzi tra di loro si scambiano dovrebbero aiutarci a mettere in atto formazione e accompagnamento. Il nostro compito è spirituale, non solo comportamentale. Deve cioè riproporre la bellezza del vangelo, la delicatezza di Gesù da una parte e la severità del suo giudizio per noi adulti. La confidenza assoluta con il Padre che Gesù ci ha sempre mostrato deve tornare ad essere quella che ogni cristiano si deve sentire di approfondire, come liberante dalle colpe e confortante nella sofferenza, come da ricercare nella preghiera e professare nella vita. I cristiani hanno un volto da far contemplare, il volto del Crocifisso risorto. Quella è la speranza di andare oltre gli scandali.
+ Domenico Sigalini
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