«È capitato che qualcuno di noi uscisse di giorno per andare a cercare cibo o legna per scaldarsi, ma poi non è più tornato indietro», racconta una ragazza che ha scelto di fuggire verso il confine turco ma ora è bloccata dai gendarmi. Tra i combattenti anti-Assad e tra i militari governativi la questione è nota. Oltre alle antiche catacombe e ai cimiteri rupestri, sono stati scavati tunnel e grotte che però non danno ricovero ai profughi, ma un riparo ai combattenti. Non è raro sentir parlare di città e quartieri nascosti: «Sotto Darayya c’è un’altra Darayya; sotto Dzhobar c’è un’altra Dzhobar; sotto Harasta, un’altra Harasta».
Da Aleppo fonti differenti confermano una notizia spaventosa. I miliziani governativi a mano a mano che conquistano un villaggio, prima di andarsene allagano qualsiasi galleria o cavità sotterranea. Lo scopo è quello di affogare chiunque ci sia dentro, mujaheddin o sfollati non importa. Nelle catacombe si spera e si prega. «Avevamo trovato delle ossa in alcune nicchie – racconta un contadino di Furaykah, nella Siria nord occidentale –, ma le abbiamo portate via e sepolte fuori». Uno spasso per i cani randagi. Altri reperti finiscono invece al mercato nero.
Uno scempio che potrebbe cancellare la memoria visibile dei primi martiri cristiani d’Oriente. Ma in guerra l’unica cosa che conta è sopravvivere. O almeno provarci. Mettetevi nei panni di un padre che ha visto la moglie partorire su una pietra tombale. O di una madre che non ha una sola goccia di latte per i bambini. Anche a costo di fare un patto con il diavolo, che sia di al-Qaeda o di un altro gruppo non importa, rivendere reperti può essere un modo, spesso l’unico, per arrivare a domani.
«Anche noi siamo martiri. Vivi ma martiri», dice il pastore che tra le tombe sotterranee ha portato anche le capre. D’inverno scaldano i cunicoli, danno il latte per i bambini, e alla bisogna qualcuna sparisce dal gruppo per riapparire nelle zuppe di pane raffermo. A pagare il prezzo più alto sono i civili finiti tra il martello dei bombardieri russi e l’incudine dei miliziani di ogni colore. Secondo Medici senza frontiere (Msf) si stanno creando le condizioni per una catastrofe umanitaria. «Circa centomila persone sono intrappolate vicino ad Azaz (a 30 chilometri da Aleppo): tentano di scappare, ma sono bloccate – ha detto la direttrice delle operazioni di Msf, Raquel Ayora – tra la linea del fronte e la frontiera».
E non è che una minoranza. La popolazione viene usata come arma non convenzionale per spostare il baricentro di uno scontro che è già casa per casa. L’Onu stima che il numero di chi ha dovuto lasciare le proprie abitazioni ma sia rimasto nel Paese arrivi a 6,6 milioni. In generale 4,5 milioni di siriani vivono oggi in povertà estrema, secondo dati aggiornati della Croce rossa internazionale. Nel cimitero dei vivi non si aspetta la morte. Si aspetta solo che smettano. Ma è tra i sepolcri e i loculi che si capisce come, se questa è la vita di un siriano, non ne sappiamo ancora abbastanza dell’orrore che dev’essere morire quaggiù.
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