Il “discernimento degli spiriti”, già richiamato da San Paolo (1Cor 12,10), è quel dono che permette di “distinguere tra le parole ispirate o profetiche”, che provengono “dallo Spirito di Cristo”, da quelle che provengono “dallo spirito dell’uomo, o dallo spirito demoniaco, o dallo spirito del mondo”. Con queste parole, padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, ha introdotto la seconda predica d’Avvento.
Il tema del discernimento, ha proseguito il predicatore, è sviluppato anche da San Giovanni (cfr. 1Gv 4,1-6), “in funzione teologica, come criterio per discernere le vere dalle false dottrine, l’ortodossia dall’eresia, ciò che diventerà centrale in seguito”.
Due sono i campi in cui il discernimento dello Spirito si esercita: quello “ecclesiale” e quello “personale”. Il discernimento ecclesiale è svolto essenzialmente dal magistero e deve tener conto del “sensus fidelium”. A ciò si aggiunge – specie a partire dal Concilio Vaticano II – il “dovere permanente” della Chiesa di discernere i “segni dei tempi” e di “interpretarli alla luce del Vangelo” (Gaudium et Spes 4).
“La difficoltà che si incontra su questo cammino – e che va presa in tutta la sua serietà – è la paura di compromettere l’autorità del magistero, ammettendo dei cambiamenti nei suoi pronunciamenti”, ha commentato a tal proposito padre Cantalamessa, aggiungendo che “l’infallibilità che la Chiesa e il Papa rivendicano per sé” non è di “grado superiore” rispetto alla infallibilità attribuibile alle Sacre Scritture.
Ciò ha posto un dilemma di compatibilità tra i precetti delle fonti bibliche precedenti e di quelle successive. Ad esempio, se da un lato, “nell’Esodo, si afferma che Dio punisce le colpe dei padri nei figli (cfr. Es 34,7), l’esatto contrario è espresso da Geremia e da Ezechiele: “Dio non punisce le colpe dei padri nei figli”, ma “ognuno dovrà rispondere delle proprie azioni (cfr. Ger 31,29-30; Ez 18,1 ss.)”. Siamo di fronte al principio che San Gregorio Magno definiva “Scriptura cum legentibus crescit”: la Scrittura cresce con coloro che la leggono.
Cantalamessa si sofferma poi sulla distinzione neotestamentaria tra “peccato” e “peccatore”, che Gesù Cristo afferma in vari episodi, tra i quali: la “condanna della ricchezza iniqua” di Zaccheo, dal quale poi, però, Gesù si “autoinvita” e “con il suo semplice andargli incontro lo cambia”; la condanna dell’“adulterio”, che non preclude il perdono dell’adultera, alla quale Gesù “ridà speranza”; la proclamazione dell’indissolubilità del matrimonio, proprio quando è ancora Gesù a confidare alla Samaritana (che ha avuto cinque mariti): “Sono io (il Messia) che ti parlo” (Gv 4, 26).
Mentre “il peccato non è opera di Dio” ma del “nemico”, ha sottolineato il predicatore, “il peccatore è una creatura di Dio, fatta a sua immagine, e conserva la propria dignità, nonostante tutte le aberrazioni”.
Di seguito, padre Cantalamessa evidenzia come lo Spirito guidi la Chiesa talora “attraverso rivelazione” o “ispirazione profetica”, talora “collegialmente, attraverso il paziente e difficile confronto, e perfino il compromesso, tra le parti e i punti di vista diversi”.
Soffermandosi sul “discernimento nella vita personale”, il predicatore della Casa Pontificia ne ha messo in luce due aspetti: 1) l’opzione per lo “Spirito di Dio” e il rifiuto delle “opere della carne”; 2) la scelta tra due o più opzioni di bene. In questo processo, ci viene incontro Sant’Ignazio di Loyola, suggerendo tale metodo: immedesimarsi profondamente su una delle scelte, per un tempo più o meno prolungato e valutare se le “reazioni del cuore di fronte a tale scelta” sono di pace oppure di inquietudine; poi ripetere la stessa operazione con la seconda ipotesi, anche stavolta “in un clima di preghiera, di abbandono alla volontà di Dio, di apertura allo Spirito Santo”, ovvero di quella che Sant’Ignazio chiama la “santa indifferenza”.
Nel discernimento, ha precisato Cantalamessa, “gli aspetti psicologici hanno una grande importanza, ma “secondaria”, vengono cioè in secondo luogo” rispetto alla ricezione del “dono dello Spirito”.
Altra fase del discernimento è l’“esame di coscienza”, che non consiste solo nella “confessione” dei peccati ma richiede “una capacità costante di mettersi sotto la luce di Dio e lasciarsi ‘scrutare’ nell’intimo da lui”. Non basta presentare al Signore “un elenco di imperfezioni, confessate per sentirsi più a posto”, senza quell’atteggiamento di reale pentimento che fa sperimentare la gioia di avere in Gesù “un così grande Redentore”, in una “relazione autentica, a tu per tu con Cristo”.
È impossibile intraprendere qualsivoglia azione “se non è lo Spirito Santo […], a muoverci e senza averlo consultato prima”, ha ricordato Cantalamessa, menzionando l’esempio di Gesù che “con lo Spirito Santo andò nel deserto; con la potenza dello Spirito Santo ritornò e iniziò la sua predicazione “nello Spirito Santo” si scelse i suoi apostoli (cf At 1,2); nello Spirito pregò e offrì se stesso al Padre (cf. Eb 9,14)”.
Eppure, questo affidamento può portare alla “tentazione” di “voler dare consigli allo Spirito Santo, anziché riceverli”, di suggerirgli “quello che dovrebbe fare con noi e come dovrebbe guidarci”. Talvolta siamo noi a prendere decisioni e ad attribuirle “con disinvoltura allo Spirito Santo”.
Suggerimento finale del predicatore cappuccino è quello di “abbandonarci allo Spirito Santo come le corde dell’arpa alle dita di chi le muove. Come bravi attori, tenere l’orecchio proteso alla voce del suggeritore nascosto, per recitare fedelmente la nostra parte nella scena della vita”, anche con una “semplice occhiata interiore”, con un “movimento del cuore” o con una “preghiera”.
Il tema del discernimento, ha proseguito il predicatore, è sviluppato anche da San Giovanni (cfr. 1Gv 4,1-6), “in funzione teologica, come criterio per discernere le vere dalle false dottrine, l’ortodossia dall’eresia, ciò che diventerà centrale in seguito”.
Due sono i campi in cui il discernimento dello Spirito si esercita: quello “ecclesiale” e quello “personale”. Il discernimento ecclesiale è svolto essenzialmente dal magistero e deve tener conto del “sensus fidelium”. A ciò si aggiunge – specie a partire dal Concilio Vaticano II – il “dovere permanente” della Chiesa di discernere i “segni dei tempi” e di “interpretarli alla luce del Vangelo” (Gaudium et Spes 4).
“La difficoltà che si incontra su questo cammino – e che va presa in tutta la sua serietà – è la paura di compromettere l’autorità del magistero, ammettendo dei cambiamenti nei suoi pronunciamenti”, ha commentato a tal proposito padre Cantalamessa, aggiungendo che “l’infallibilità che la Chiesa e il Papa rivendicano per sé” non è di “grado superiore” rispetto alla infallibilità attribuibile alle Sacre Scritture.
Ciò ha posto un dilemma di compatibilità tra i precetti delle fonti bibliche precedenti e di quelle successive. Ad esempio, se da un lato, “nell’Esodo, si afferma che Dio punisce le colpe dei padri nei figli (cfr. Es 34,7), l’esatto contrario è espresso da Geremia e da Ezechiele: “Dio non punisce le colpe dei padri nei figli”, ma “ognuno dovrà rispondere delle proprie azioni (cfr. Ger 31,29-30; Ez 18,1 ss.)”. Siamo di fronte al principio che San Gregorio Magno definiva “Scriptura cum legentibus crescit”: la Scrittura cresce con coloro che la leggono.
Cantalamessa si sofferma poi sulla distinzione neotestamentaria tra “peccato” e “peccatore”, che Gesù Cristo afferma in vari episodi, tra i quali: la “condanna della ricchezza iniqua” di Zaccheo, dal quale poi, però, Gesù si “autoinvita” e “con il suo semplice andargli incontro lo cambia”; la condanna dell’“adulterio”, che non preclude il perdono dell’adultera, alla quale Gesù “ridà speranza”; la proclamazione dell’indissolubilità del matrimonio, proprio quando è ancora Gesù a confidare alla Samaritana (che ha avuto cinque mariti): “Sono io (il Messia) che ti parlo” (Gv 4, 26).
Mentre “il peccato non è opera di Dio” ma del “nemico”, ha sottolineato il predicatore, “il peccatore è una creatura di Dio, fatta a sua immagine, e conserva la propria dignità, nonostante tutte le aberrazioni”.
Di seguito, padre Cantalamessa evidenzia come lo Spirito guidi la Chiesa talora “attraverso rivelazione” o “ispirazione profetica”, talora “collegialmente, attraverso il paziente e difficile confronto, e perfino il compromesso, tra le parti e i punti di vista diversi”.
Soffermandosi sul “discernimento nella vita personale”, il predicatore della Casa Pontificia ne ha messo in luce due aspetti: 1) l’opzione per lo “Spirito di Dio” e il rifiuto delle “opere della carne”; 2) la scelta tra due o più opzioni di bene. In questo processo, ci viene incontro Sant’Ignazio di Loyola, suggerendo tale metodo: immedesimarsi profondamente su una delle scelte, per un tempo più o meno prolungato e valutare se le “reazioni del cuore di fronte a tale scelta” sono di pace oppure di inquietudine; poi ripetere la stessa operazione con la seconda ipotesi, anche stavolta “in un clima di preghiera, di abbandono alla volontà di Dio, di apertura allo Spirito Santo”, ovvero di quella che Sant’Ignazio chiama la “santa indifferenza”.
Nel discernimento, ha precisato Cantalamessa, “gli aspetti psicologici hanno una grande importanza, ma “secondaria”, vengono cioè in secondo luogo” rispetto alla ricezione del “dono dello Spirito”.
Altra fase del discernimento è l’“esame di coscienza”, che non consiste solo nella “confessione” dei peccati ma richiede “una capacità costante di mettersi sotto la luce di Dio e lasciarsi ‘scrutare’ nell’intimo da lui”. Non basta presentare al Signore “un elenco di imperfezioni, confessate per sentirsi più a posto”, senza quell’atteggiamento di reale pentimento che fa sperimentare la gioia di avere in Gesù “un così grande Redentore”, in una “relazione autentica, a tu per tu con Cristo”.
È impossibile intraprendere qualsivoglia azione “se non è lo Spirito Santo […], a muoverci e senza averlo consultato prima”, ha ricordato Cantalamessa, menzionando l’esempio di Gesù che “con lo Spirito Santo andò nel deserto; con la potenza dello Spirito Santo ritornò e iniziò la sua predicazione “nello Spirito Santo” si scelse i suoi apostoli (cf At 1,2); nello Spirito pregò e offrì se stesso al Padre (cf. Eb 9,14)”.
Eppure, questo affidamento può portare alla “tentazione” di “voler dare consigli allo Spirito Santo, anziché riceverli”, di suggerirgli “quello che dovrebbe fare con noi e come dovrebbe guidarci”. Talvolta siamo noi a prendere decisioni e ad attribuirle “con disinvoltura allo Spirito Santo”.
Suggerimento finale del predicatore cappuccino è quello di “abbandonarci allo Spirito Santo come le corde dell’arpa alle dita di chi le muove. Come bravi attori, tenere l’orecchio proteso alla voce del suggeritore nascosto, per recitare fedelmente la nostra parte nella scena della vita”, anche con una “semplice occhiata interiore”, con un “movimento del cuore” o con una “preghiera”.
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