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martedì 21 marzo 2017

20Mar 2017

Abbiamo incontrato gli antiabortisti che celebrano funerali religiosi di feti ed embrioni


     
Uomini e donne, giovani e anziani sfilano in processione dietro al carro funebre, nel retro del veicolo sono adagiate piccole scatole bianche adornate di fiori. Al loro interno si trovano embrioni e feti abortiti qualche giorno prima.
L’auto si ferma di fronte al cimitero: alcune persone si avvicinano al bagagliaio e prelevano i contenitori, per poi proseguire verso la buca scavata nel terreno. I presenti si radunano, il rito ha inizio. Il sacerdote benedice ciascuna delle bare di cartone, mentre spruzza acqua santa con l’aspersorio. Tra i canti, infine, si procede al seppellimento. Le sepolture autorizzate di feti abortiti si svolgono in Italia da anni. A portarle avanti sono i volontari delle numerose associazioni di ispirazione cattolica che si battono per abolire la legge 194/1978, che regola l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG).
Questi ‘attivisti’ considerano l’aborto una forma di omicidio, un peccato che la Chiesa punisce con la scomunica. “La più grande guerra è quella contro gli innocenti ancor prima della loro nascita,” dice a VICE News don Maurizio Gagliardini, presidente dell’associazione ecclesiale “Difendere la Vita con Maria” (ADVM), di sede a Novara. “Non possiamo continuare a negare questa emergenza dopo sei milioni di aborti legali procurati [dal 1978]”, si legge sul sito web dell’associazione, che qualche mese fa ha lanciato il progetto ‘Fede e terapia’, un centralino attivo 24 ore su 24 sette giorni su sette e dedicato a chi è reduce da un aborto. 
Dal 1999, ADVM è in prima linea nel seppellimento dei cosiddetti bambini non nati. “Fino a oggi abbiamo sepolto circa 100mila bambini e siamo presenti in 13 regioni,” prosegue il sacerdote. ‘Difendere la vita con Maria’ stringe convenzioni con numerosi ospedali italiani, facendosi carico dei costi e dell’organizzazione del seppellimento di embrioni e feti — sia in caso di IVG sia in seguito a un aborto spontaneo.
Ma come riesce l’associazione ad entrare in possesso degli embrioni? La legge di riferimento – ossia il D.P.R. 285/1990, e in particolare gli articoli 7 e 50 – stabilisce che i genitori hanno 24 ore di tempo per reclamare quello che in gergo medico viene definito ‘prodotto abortivo’. Se ciò non avviene, a occuparsi dello smaltimento del feto o dell’embrione è l’azienda ospedaliera, che – appunto – può a sua volta delegare l’incarico a terzi. Come avviene con ‘Difendere la Vita con Maria’, cui seppellire un embrione costa 16 euro. “Il calcolo lo ha fatto il nostro commercialista,” spiega don Gagliardini. “È la stessa cifra che chiediamo ai nostri associati per il tesseramento. Oggi siamo circa in 1.500.”
I funerali sono celebrati con cadenza mensile e la partecipazione in genere è buona. Non sempre, tuttavia, le strutture ospedaliere sono disponibili in tal senso. “Gli ospedali di Desio e di Monza non ci dicono più le date e gli orari delle sepolture,” lamenta Giorgio Celsi, infermiere anti-abortista e presidente dell’associazione lombarda “Ora et Labora in Difesa della Vita”“In questo modo non possiamo procedere alla benedizione dei resti dei bambini, che vengono interrati come rifiuti nelle fosse comuni.” Celsi è convinto che gli ospedali vogliano “nascondere i loro delitti”. “Ma Dio punisce chi abortisce, come dimostra il caso di Emma Bonino (leader radicale ed ex ministro degli Esteri, ndr): dopo essersi battuta per anni a favore dell’aborto, ora non può avere figli”, conclude l’infermiere, che è solito organizzare preghiere fuori dagli ospedali in cui si praticano aborti in segno di protesta. A detta di Celsi e di don Gargliardini, il seppellimento dei prodotti abortivi aiuta le madri a superare la perdita del proprio bambino. Per “affrontare il senso di colpa”, Celsi consiglia di recitare il “rosario dei bambini non nati”, caratterizzato dalla presenza di un minuscolo feto all’interno di ogni grano.
“La madre è ben lieta che qualcuno compia un gesto di amore nei confronti del suo bambino,” aggiunge don Gagliardini. Sul fatto che il seppellimento possa essere utile per elaborare il lutto è d’accordo Alessandra Kustermann, ginecologa abortista della clinica Mangiagalli di Milano. “A volte i genitori, soprattutto in caso di aborto spontaneo e al secondo trimestre di gravidanza, chiedono di seppellire il bambino nella tomba di famiglia,” afferma la ginecologa. “Alcune donne anni dopo aver abortito sono venute a chiedermi dove si trovasse il corpo del bambino,” racconta a VICE News Basilio Tiso, direttore della Mangiagalli. Le scatole contenenti il materiale abortivo in genere sono contrassegnate da un codice che permette di identificare il luogo di sepoltura di ogni feto ed embrione. “Ma sono davvero rari in casi in cui i genitori chiedono di seppellire personalmente il prodotto dell’aborto.”
La clinica Mangiagalli non ha stipulato convenzioni con alcuna associazione esterna, e si occupa essa stessa di riporre i prodotti abortivi nelle celle frigorifere. Ogni due settimane gli addetti del Comune di Milano passano a ritirare le scatole – ognuna contenente un feto, oppure fino a sei embrioni. I prodotti abortivi vengono prima cremati e poi sepolti in una zona dedicata del cimitero cittadino, ma senza nessun tipo di rito religioso.
Diversa è invece la situazione presso l’ospedale di Cremona. L’azienda ospedaliera fornisce ai propri utenti un modulo – disponibile in sette lingue – in cui si chiarisce che le modalità previste per il seppellimento del prodotto abortivo sono tre: esequie private, convenzione con il Comune di Cremona e, dal 2010, convenzione con l’associazione “Difendere la Vita con Maria”“Quando stipuliamo una convenzione con una struttura ospedaliera, siamo noi stessi a recarci all’ospedale con i congelatori e con regolari registri di carico e scarico,” spiega don Gagliardini. “Ci occupiamo anche di stringere un accordo con il cimitero della zona, di ottenere i permessi dall’Asl e di fornire le scatole di materiale biodegradabile dove vengono raccolti i resti dei bambini.”
A differenza della normativa nazionale, che sancisce l’obbligo di seppellire i prodotti abortivi solo qualora abbiano raggiunto la ventesima settimana di gestazione, dal 2007 la Lombardia ha eliminato il riferimento all’età dell’embrione. La Campania ha fatto lo stesso nel 2012, le Marche nel 2015. “All’inizio la legge regionale del 2007 sembrava un’esagerazione”, riferisce a VICE News Basilio Tiso. “Ma nella pratica è diventata una cosa normale. L’ospedale paga la stessa cifra per lo smaltimento dei rifiuti speciali (categoria nella quale – secondo la legislazione nazionale – rientrano gli embrioni con meno di venti settimane, ndr) e per il seppellimento di feti ed embrioni.”
Il regolamento lombardo di polizia mortuaria ha invece suscitato lo sdegno della deputata radicale Maria Antonietta Farina Coscioni, promotrice di numerose interrogazioni parlamentari sul tema. “Mirano a colpevolizzare chi ricorre all’IVG, insistendo sul fatto che embrioni e feti sono delle persone a tutti gli effetti,” commenta a VICE News la deputata, che denuncia l’altissimo numero di obiettori di coscienza in Italia – si stima che rappresentino il 70 per cento di medici e infermieri. A detta di Farina Coscioni, spesso le donne sono all’oscuro dell’esistenza di una convenzione tra l’ospedale in cui praticano l’aborto e ADVM. La deputata ritiene che sarebbe “necessaria una modifica della legge nazionale che impedisca di procedere a simili accordi senza il consenso esplicito dei genitori.”
news.vice.com

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