Il commissario europeo allo Sviluppo e alla cooperazione internazionale, Neven Mimica, ha annunciato “con orgoglio” che l’Ue continuerà a finanziare l’International Planned Parenthood Federation (Ippf), alcune organizzazioni non governative e agenzie Onu come l’Unicef e l’Unfpa (variamente impegnate in programmi di controllo delle nascite). L’annuncio è stato fatto nel corso della conferenza She Decides, che si è tenuta a Bruxelles il 2 marzo e alla quale hanno partecipato esponenti di Ong e politici provenienti da oltre quaranta Stati, compresi i quattro promotori dell’iniziativa (Belgio, Danimarca, Olanda e Svezia).
Dove sta la notizia? Intanto, come questo quotidiano ha già raccontato, She Decides è stata organizzata con il fine di raccogliere fondi per promuovere l’aborto nei Paesi in via di sviluppo: dal momento che l’aborto è materia estranea alle competenze dell’Ue, il commissario Mimica dovrebbe spiegare ai cittadini europei per quale motivo fosse presente, in veste istituzionale, a un evento simile.
Secondo punto: il commissario Mimica deve spiegare per quale motivo milioni di euro dei contribuenti vengono impiegati per finanziare una multinazionale degli aborti come l’Ippf, che ha il suo core business proprio nella soppressione dei bambini. Una multinazionale sotto inchiesta negli Stati Uniti, chiamata a rispondere alle pesantissime accuse - formulate in seguito alla diffusione di una dozzina di video girati di nascosto - sul commercio di tessuti e organi di bambini abortiti e sui cosiddetti aborti a nascita parziale (dove al feto vivo viene aspirato il cervello, conservando integro il resto del corpo da destinare alla vendita). Pratiche che sono illegali e, innanzitutto, disumane. Nell’ottobre 2015, prima che si svolgesse l’indagine del Congresso che ha portato alla formulazione dei vari capi d’accusa a carico della Planned Parenthood e di altre grandi aziende, Mimica aveva risposto in modo del tutto parziale a un’interrogazione presentata dall’europarlamentare Luigi Morgano, che chiedeva di bloccare eventuali fondi a favore dell’Ippf (20 milioni di euro a partire dal 2005, come rivelò poche settimane dopo la Commissione).
Non solo. L’Ippf, che a parole sventola la bandiera della “libertà di scelta”, ha collaborato attivamente all’ultratrentennale politica cinese del figlio unico e continua a collaborare sotto l’attuale politica dei due figli. Come ha osservato la presidente di Women’s rights without frontiers, Reggie Littlejohn: “Credo sia impossibile lavorare così strettamente con la macchina dell’aborto forzato del Partito Comunista cinese senza essere complice nelle sue atrocità”. Come si concilia il dogma della libertà di scelta con la collaborazione a un regime che impone l’aborto? Un commissario europeo che promuove un’iniziativa intitolata She Decides non si pone questa domanda?
Per la cronaca, la conferenza ha raccolto promesse di finanziamento pari a 200 milioni di dollari, di cui 20 dalla Fondazione Bill e Melinda Gates, 50 da un anonimo statunitense e il resto in prevalenza dai governi promotori, che oltre all’Ippf andranno a finanziare altre organizzazioni abortiste come la Marie Stopes International, a sua volta al centro di uno scandalo nel Regno Unito. Secondo una dettagliata inchiesta del Daily Mail, la Marie Stopes approva richieste di aborto via call-center (cioè con operatori privi di esperienza medica) e i suoi dottori avrebbero autorizzato migliaia di interruzioni di gravidanza all’anno senza mai aver incontrato le donne. Una catena di montaggio, meramente orientata al profitto, sulla pelle dei bambini e con l'illusione della libertà.
Nel suo intervento alla conferenza pro-aborto, Mimica ha detto che l’Ue “ha stanziato 1,5 miliardi di euro fino al 2020 attraverso i nostri accordi bilaterali con Paesi partner su programmi sanitari, compresi i diritti di salute sessuale e riproduttiva. E ulteriori 100 milioni per promuovere l’uguaglianza di genere e i diritti delle ragazze”. Con le parole tipiche della neolingua, il commissario europeo spiega quindi che Bruxelles spende un miliardo e mezzo di soldi pubblici nei diritti di salute sessuale e riproduttiva (SRHR, secondo l’acronimo inglese), espressione ombrello sotto la quale rientrano l’aborto, la contraccezione, la sterilizzazione, l’educazione sessuale fin dall’infanzia secondo il modello radicale dell’Oms, la fecondazione artificiale e le pretese gay.
Non a caso, a fare pressioni per l’adozione dell’acronimo SRHR nei documenti internazionali troviamo sempre organizzazioni come la stessa Ippf e l’Ilga, la più influente lobby Lgbt al mondo. Ora, il Parlamento europeo, con la risoluzione del 10 dicembre 2013, aveva escluso gli SRHR dal campo di competenza dell’Ue, che quindi non si capisce su quali basi vengano promossi all’estero con fiumi di denaro. Stando al suo orgoglioso annuncio, pare che il commissario Mimica abbia dimenticato anche questi altri punti:
a) il Consiglio europeo ha detto esplicitamente che “la questione dell’aborto è di responsabilità dei singoli Stati membri”;
b) il campo d'azione dell’Ue in tema di sanità pubblica è strettamente delimitato dall’articolo 152 del Trattato che istituisce la Comunità europea, come ha ricordato lo stesso Consiglio;
c) la Commissione ha spiegato di non assumere “nessuna posizione in favore o contro l’aborto, per il fatto che non c’è una legislazione comunitaria sull’aborto”;
d) il Parlamento europeo ha bocciato per due volte il famigerato Rapporto Estrela, che tra le varie proposte avanzava anche la promozione del cosiddetto aborto sicuro.
Mimica non solo ha fatto riferimento ai diritti sessuali e riproduttivi, ma ha detto in modo esplicito che questo significa supportare un ampio spettro di servizi, incluso “l’aborto sicuro”, altro eufemismo usato dalla neolingua per introdurre l’aborto nei Paesi in cui è illegale. Siamo quindi di fronte a un commissario che servendosi del suo ruolo istituzionale sostiene apertamente e finanzia con soldi dei contribuenti la soppressione dei bambini nel grembo materno, in contrasto con quanto stabilito dai Trattati, dalla Commissione, dal Consiglio e dal Parlamento europeo. Per una minima coerenza, se vuole continuare a farlo, dovrebbe quantomeno dimettersi. Gli altri membri della Commissione, i nostri europarlamentari e il presidente Antonio Tajani sono a conoscenza di questi fatti? I limiti alle competenze comunitarie, definiti nei Trattati su cui l’Ue dice di fondarsi, hanno ancora un senso oppure i fautori di un’agenda radicale possono tranquillamente ignorarli?
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