A conclusione della visita pastorale dell’anno 2016 (febbraio-dicembre)
Tento di dare una visione generale della vita diocesana alla fine della visita pastorale, annunciata alla fine del 2015, iniziata il 17 febbraio 2016, terminata il 23 dicembre 2016 e preceduta da pre-visite in ogni parrocchia nelle settimane precedenti all’inizio di ciascuna.
Le tematiche su cui si doveva dialogare, ricercare, proporre, discutere e concludere con una panoramica complessiva per ogni parrocchia, raccolte in una lettera pastorale ad ogni parrocchia, sono state le seguenti:
- • proposta di una vita di fede rigenerata per ogni comunità,
- • impulso nuovo alla catechesi chiamandola “educare all’incontro con Gesù” e anticipandola alla prima classe della scuola primaria
- • Attenzione al mondo giovanile soprattutto per due grosse sfide: il lavoro e la formazione della propria nuova famiglia col sacramento del matrimonio
Una religione a bassa intensità?
Siamo partiti da una relazione fatta a questi incontri sul tipo di religiosità dei nostri paesi, una vita ecclesiale fatta anche di tante persone che si presentano spesso come consumatori di religione e la nostra pastorale che ne assume tutti gli elementi che le caratterizzano e rischia di accontentarle come si fa con tutti i consumatori.
Concede al consumatore religioso una infinita capacità di scelta, come facile ricombinazione tra beni e servizi che ci sono sul mercato religioso. La vita civile offre buone possibilità e occasioni anche alle autorità religiose, se queste sanno abbassare le pretese normative. Se concedono estrema flessibilità, grande indulgenza nei confronti della espressività, una riserva di simboli e riti, processioni e feste patronali, a patto che si liberino dei vecchi scrupoli dell’ortodossia e della orto prassi. In questo rapporto strumentale
si accetta di avere meno rilevanza in cambio di ottenere maggiore visibilità.
Il punto di arrivo è una facile e larga omologazione.
La sociologia studia questa religione a bassa intensità come quando studia fenomeni di intrattenimento e di divertimento; quindi sono proprio parenti stretti
Non ci meravigliamo allora se nella mentalità di molta della nostra gente che va in chiesa o che le gira attorno si adottano le forme di questa religione a bassa intensità. Alcuni esempi:
- • il matrimonio cristiano, con la sua fedeltà, unicità, apertura alla vita, per sempre, è inconcepibile, non moderno, non aggiornato alla vita di oggi
- • i laici non sono più da aiutare a farsi corresponsabili della chiesa e dell’evangelizzazione, ma solo dei consumatori; ne va di mezzo il profilo del prete che diventa uomo in solitudine a reggere un marketing faticoso
- • vanno in crisi le vocazioni alla vita religiosa soprattutto femminile, ma anche maschile
La nostra gente non è tentata da fondamentalismo o da tradizionalismo radicale, non si fa in essa una contrapposizione tra progressisti e conservatori, come si dice sempre, ma siamo tutti trapassati da correnti religiose a bassa intensità. Tutti i nostri problemi nascono dall’assimilare il cattolicesimo a solo religione e per di più molto omologata alla cultura ricorrente.
Da qui il primo impegno della visita pastorale:
Rigenerazione della fede nelle comunità parrocchiali
Ho potuto notare un discreto impegno della parrocchia nel ricostruire vita di preghiera, testimonianza di carità e annuncio della fede a chi è lontano o si è allontanato. Resta però abbastanza problematica la disaffezione alla celebrazione dell’Eucaristia che in alcune parrocchie è ridotta anche a un 5% e ad una assoluta assenza dei giovani oltre i 18 anni. Esistono buone tradizioni religiose, feste patronali, processioni storiche, che vanno valorizzate e non lasciate allo spontaneismo, che devono essere assolutamente preparate con proposte di vita sacramentale, tridui di formazione, presenza di confessori esterni, incontri delle associazioni cristiane e dialogo con le altre associazioni. Un po’ meglio è in alcune parrocchie lo svolgimento del pellegrinaggio alla SS, Trinità con una esperienza spirituale proposta anche ai giovani. C’è una buona diffusione di ore o giornate di adorazione eucaristica. Purtroppo mancano veglie bibliche, catechesi agli adulti, proposta di esercizi spirituali, ritiri per i tempi forti. Sono buoni i due giorni di ritiro per i cresimandi.
La parrocchia generalmente, soprattutto le più recenti e le più popolose, non ha lo stato d’anime, cioè la conoscenza concreta di tutte le famiglie che abitano nel territorio e quindi dei bambini, dei ragazzi, dei giovani e delle nuove famiglie, degli immigrati, dei gruppi religiosi (ortodossi, chiese evangeliche, testimoni di Geova…). Si moltiplicano così le periferie non solo logistiche, ma anche spirituali, cioè luoghi in cui la presenza della comunità cristiana non è avvertita, anche se desiderata.
Impulso nuovo alla catechesi
Lo stato della catechesi può contare su un buon gruppo di catechisti, che vanno assolutamente seguiti e aiutati a prepararsi e a rinnovarsi sia sui contenuti che sui metodi. Alcuni frequentano la scuola teologica, altri procedono per tradizione e passione, i giovani sono generosi e un poco inesperti, ma desiderosi di applicarsi meglio. La novità dell’inizio del cammino di educazione all’incontro con Gesù al primo anno della scuola primaria ha destato un poco di apprensione all’inizio, ma in seguito gli stessi bambini hanno creato entusiasmo anche nei genitori, che li seguono perché sono piccoli e perché ne continuano a parlare in casa entusiasti e curiosi di sapere che cosa è la messa, il segno di croce, le cose che vedono in chiesa... Alcune parrocchie mancano di luoghi per la catechesi, che viene distribuita di più lungo il week end o nei dintorni della celebrazione eucaristica domenicale. Il cammino di catechesi culmina con la prima comunione e continua così negli anni successivi ad approfondire la confessione, la messa, qualche piccolo pellegrinaggio alla loro portata (Madonna del Buon Consiglio, santuari mariani del luogo, visita alle catacombe, a san Pietro in Roma, alla cattedrale di sant’Agapito…). L’aiuto a non vedere la catechesi solo come preparazione ai sacramenti sarà lungo, ma necessario.
Le sfide del mondo giovanile.
Entro una rigenerazione della esperienza di fede, che molti abbandonano dopo la Cresima, si possono scrivere proposte che aiutano i giovani ad affrontare due grandi sfide:
- a) Il lavoro
E’ una situazione più grande di noi, cioè della vita di una comunità cristiana; siamo un popolo di pendolari da sempre, anche se oggi Roma non assorbe tutte le esigenze e le pendolarità degli anni scorsi, soprattutto riguardo all’edilizia. La diocesi ha aiutato, in collaborazione con la banca di credito cooperativo di Bellegra, ad avviare alcune aziende di giovani che oggi iniziano a restituire il prestito con un lieve mancato ritorno per alcune aziende in grosse difficoltà e ha proposto di continuare questo aiuto per creare nei giovani la mentalità di un lavoro in proprio o artigianale o commerciale. L’obiettivo è di aiutare ad affrontare il mondo del lavoro con maggiore responsabilità e consapevolezza del ruolo che occupa nella vita: è una scuola di vita e non può iniziare in età adulta, dopo molteplici frustrazioni. Qualche parrocchia ha mostrato interesse e ha avviato contatti per aderire. Resta necessaria una educazione al significato del lavoro.
- b) Matrimonio
Il problema dell’assenza del lavoro influisce sulla decisione di sposarsi, ma non è sempre collegato; nel senso che molti lavorano, ma non sono decisi a sposarsi. Si prolunga una convivenza senza tanti problemi, ben sapendo che non è una esperienza che aiuta a decidere, ma solo a procrastinare. Si sono interessate le giovani famiglie e le giovani coppie, sposate da poco, perché mettano in comune la loro gioia di essere sposati, di avere bambini, la loro decisione di sposarsi in chiesa e di mostrare la bellezza del matrimonio cristiano, che non è sempre rifiutato per motivi di opposizione alla esperienza di fede. Ho avuto disponibilità a invitare a far parte di gruppi di giovani sposi queste coppie di indecisi o conviventi. Nello stesso tempo sono state invitate anche alcune amministrazioni comunali a prospettare degli aiuti economici apposta per la nascita del primo figlio, sempre problematica e costosa per tutte le analisi mediche.
Aggiungo anche quello che ho detto all’ultima assemblea dell’Azione Cattolica,
Che cosa chiedo all’AC in questa chiesa ?
- 1. Continuare ad amare la chiesa diocesana
Spesso vi ho richiamati su questo, ma non ho ottenuto molto. Voi vi fate i vostri percorsi e quelli diocesani li saltate quasi sempre. Il mondo giovanile è orfano dei vostri interventi. Il vescovo può fare tutte le iniziative giovanili, ma non fanno parte del vostro progetto e le fate morire. Voi dite: Abbiamo i nostri momenti formativi! Sette lectio del vescovo non devono essere la vostra necessaria formazione? Non ha i vostri obiettivi qui e ora? Non può sostituire il vostro cammino di base? Vi potete fidare del vostro vescovo? Così la preparazione del Natale, gli esercizi spirituali….E si che sono progettuali e programmate, legate alla vita della chiesa (cfr anno del perdono…) che non sono improvvisate, sia nelle date che nei temi.
La formazione di base va fatta nelle parrocchie e voi invece la fate tra di voi. Capisco quella dei responsabili, ma quella cristiana di base la si può progettare assieme’? In qualche parrocchia si in altre no.
Avete proposto qualcosa alla diocesi? Nelle scuole avete fatto un bel lavoro; la preparazione al IX centenario però, siccome avevate un altro programma non l’avete accolta e nemmeno la sollecitate.
- 2. Un impegno maggiore nel mondo giovanile a partire dal Sinodo dei vescovi che si farà l’anno prossimo.
Si è ricostituita la consulta e spero che possa proseguire. Altrimenti la diocesi si inventerà una presenza e un coinvolgimento dei ragazzi e giovani nelle scuole, nelle movide, nei pub… con i suoi poveri mezzi, Il mondo associativo deve convergere nella progettualità pastorale diocesana salvando le proprie peculiarità che sono ricchezza. Nessuno intende omologare, ma ciascuno dia il contributo suo proprio a tutti.
- 3. L’iniziazione cristiana anticipata in prima elementare
L’AC ha non solo da adesso la proposta dell’incontro con Gesù anche da 0 a 6 anni . La buona esperienza che ha permesso ai bambini di sei anni di entrare entusiasti nel percorso forse è dovuto anche a questa attenzione dell’ACR. La possiamo accompagnare?
Un discorso a parte dopo la visita pastorale intendo dedicarlo a voi presbiteri:
Necessità di una maggior sinodalità con la gente.
Comunità ecclesiale più vicina alla gente, capace di far riconoscere la presenza di Cristo nella storia, la parrocchia è l’ambito ordinario dove si nasce e si cresce nella fede, e costituisce lo spazio comunitario, il più adeguato, affinché il ministero della Parola realizzato sia contemporaneamente insegnamento, educazione ed esperienza vitale. In essa si vivono rapporti di prossimità in un determinato territorio, e al suo interno si realizzano vincoli concreti di conoscenza, di amore e di carità.
La parrocchia si qualifica non per se stessa ma in riferimento alla Chiesa particolare di cui costituisce un’articolazione. È, infatti, la diocesi che assicura la presenza della Chiesa in un determinato territorio, nelle dimore degli uomini. È attraverso essa, e in forza della sua necessità teologica, che la parrocchia esprime la propria dimensione locale, ed è a un tempo «scelta storica», non realtà meramente amministrativa, ma soprattutto «scelta pastorale». Forma storica privilegiata della localizzazione della Chiesa particolare, oggi soprattutto, è chiamata a superare la tendenza alla chiusura interna, per diventare spazio dove ci si forma per uscire dal tempio verso le periferie della vita e incontrare gli uomini nei luoghi e nei tempi delle loro gioie e delle loro sofferenze.
Essa dice qualcosa dell’incarnazione qui e ora e ricorda che «nessuno è escluso dalla Chiesa, e anche il più isolato appartiene a una comunità cristiana per il solo fatto di trovarsi da qualche parte».
È chiamata a prestare attenzione ai «cristiani della soglia», e a operare una conversione pastorale che valga a trasformare il cattolicesimo popolare in un cattolicesimo di ascolto della parola di Dio, di partecipazione liturgica e di capacità testimoniale, conservando il carattere di Chiesa di popolo, radicata in un diffuso senso di Dio e rivolta veramente a tutti, rifiutando ogni tentazione di perfettismo spirituale e organizzativo.
La popolarità dell’annuncio evangelico non si ottiene indebolendo la proposta, o semplificando la radicalità evangelica, ma indebolendo un’idea preconcetta e tradizionale di «istituzione-parrocchia», per creare un luogo più aperto alle relazioni e flessibile, in cui tutti coloro che lo desiderano possano trovare spazio e accogliere la proposta seria e radicale del vangelo. È più di un semplice slogan poter definire la parrocchia «la locanda dei racconti»! «Sui loro cammini di Emmaus – scrive A. Borras – i nostri contemporanei raggiunti in questo, possono parlare e discutere, vedersi aprire le Scritture, attardarsi quando viene la sera e, se il cuore lo suggerisce loro, spezzare il pane della condivisione. Un giorno forse essi andranno, a loro volta, a raccontare ad altri ciò che è accaduto sulla loro strada?». La grande impressione che ho avuto in molte parrocchie è che tutto si concentra sul parroco e pure sui suoi umori.
Una parrocchia «di popolo» è sinodale
La parrocchia non nasce elitaria, ma popolare: «La comunità parrocchiale – dicevano già alcuni anni fa i vescovi italiani − riunisce i credenti senza chiedere nessun’altra condivisione che quella della fede e dell’unità cattolica. La sua ambizione pastorale è quella di raccogliere nell’unità persone le più diverse tra loro per età, estrazione sociale, mentalità ed esperienza spirituale». La parrocchia nasce popolare perché partecipa all’essere e alla missione della Chiesa, che nasce dalla convocazione di Dio, il quale le affida consegne, le prospetta fini, le dona mezzi per realizzare i suoi divini propositi. La parrocchia, in piccolo, vive il mistero della Chiesa, della quale sa realizzare un’essenziale presenza di grazia, dal momento che sa realizzare la presenza salvifica e gloriosa di Cristo: «In queste comunità [diocesi e parrocchie] − afferma il concilio −, sebbene spesso piccole e povere e disperse, è presente Cristo, per virtù del quale si costituisce la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». La parrocchia rimane la Chiesa di tutti: impegnati o dubbiosi, buoni o cattivi, obbedienti o critici, assidui o lontani. La ragion d’essere di una comunità parrocchiale é quella di costituire la struttura di base per l’appartenenza ecclesiale dei cristiani prima, dopo e fuori da qualsiasi appartenenza particolare.
Gli stili pastorali per costruire una parrocchia sinodale
- 1. Lo stile dell’accoglienza.
Lo stile accogliente chiede d’esercitare l’amore nel fatto di accettare l’altro, di riconoscerlo per tutto quello che è; comporta di rispettarlo, accoglierlo nella nostra vita, prima che nel tempio e nella nostra casa, con ospitalità piena e delicata. Ciò implica la capacità di ascolto, la tolleranza, il senso sacro della persona umana, la discrezione. La parrocchia, nel suo insieme, è chiamata a praticare l’accoglienza, una virtù che si fa riconoscere per un atteggiamento di calda e fraterna intesa, di sincera e partecipe amicizia, di mutua e concreta solidarietà. Nata al fonte battesimale, la comunità parrocchiale trasporta all’ambone e nel suo spazio vitale l’insegnamento e il tirocinio educativo dell’accoglienza.
- 2. Lo stile della convivialità.
II cristianesimo è religione conviviale: pertanto, ai cristiani si addice lo stile di pensare, decidere e progettare insieme. Siamo molti per una sola missione. Questo sentire di fede dispone alla mutua accoglienza, allo spirito collaborativo, alla volontà della condivisione: vivere nella storia con lo stile della convivialità eucaristica. «Il luogo originario della coscienza e dello statuto sinodale è questo frequentare insieme l’eucaristia, e uso il termine non nel senso generico, ma nel senso propriamente sacramentale. Frequentando insieme il corpo del Signore l’assemblea diventa il suo corpo, una con lui e una tra quanti la compongono». Né l’inconfutabile dato fenomenologico di assemblee poco consapevoli o distratte deve indurci a minimizzare la dinamica originale, sacramentale-eucaristica, dell’accadimento ecclesiale. La sinodalità alcune parrocchie la esercitano nelle sale parrocchiali dove ci si incontra giovani e adulti, bambini e genitori a fare festa, a una cena dopo un incontro formativo o in cui si stimola la corresponsabilità con tanta attesa da parte della gente. Una sala parrocchiale in cui stare a dialogare è necessaria, non è sufficiente il luogo chiesa che anora per la gente è un luogo di culto, lontano dalla vita. Certo bisogna ancora lavorare perché le nostre assemblee eucaristiche siano esperienza di quella actuosa participatio a cui chiama la Sacrosantum concilium.
- 3. Lo stile del dialogo.
Senza dialogo la comunione non esiste, e la missione viene compromessa. II dialogo fra i cristiani – quello che si vive dentro la Chiesa – dev’essere teologicamente motivato, spiritualmente vissuto, comunionalmente condotto, missionariamente finalizzato. La parrocchia è un naturale luogo per fare scuola e tirocinio di dialogo, ossia per esercitare coralmente il giudizio sulle cose da dire e da fare, alla luce dell’unico giudizio sul mondo che Dio ha pronunciato nella vicenda del Crocifisso. Questo giudizio ispira un triplice convincimento: le cose di Dio si giudicano con i criteri di Dio; il Regno viene per le vie umili e con i mezzi deboli; il solo amore pastorale convincente è quello crocifisso. Questo stile del dialogo la parrocchia lo può praticare in tanti modi, uno dei quali (umile, ma efficace) é l’attivazione paziente, teologicamente motivata, saggiamente condotta, degli organismi di partecipazione previsti dal Codice di diritto canonico e le altre modalità comunionali che la creatività pastorale sa sempre trovare. Un dialogo a cui ci si educa soprattutto attivando l’esperienza del discernimento pastorale.
- 4. Lo stile progettuale.
La progettazione pastorale di una parrocchia, se non è opera di pochi (in tal caso ci troveremmo di fronte a una comunità di tipo amministrativo/organizzativo), esige l’esistenza di una comunità corresponsabile e a sua volta la costruisce, incrementa quello stile sinodale che esprime e crea comunione. Diventa luogo educativo alla comunione ecclesiale in quanto supera le debolezze della tolleranza, respinge le ambiguità dell’indifferenza, vede l’altro in relazione di prossimità, stabilisce spazi respirati di incontro, educa all’ascolto reciproco, al rispetto e all’astensione da ogni giudizio affrettato. Infine, uno stile progettuale attiva la testimonianza in quanto inserisce la comunità nel tessuto vivo della società e chiama alla solidarietà, alla collaborazione e alla costruzione della città dell’uomo.
Il tutto va vissuto nello spirito della Evangelii gaudium di papa Francesco con i suoi principi chiari:
Primo principio: il tempo è superiore allo spazio
Secondo principio: l’unità prevale sul conflitto
Terzo principio: la realtà è più importante dell’idea
Quarto principio: il tutto è superiore alla parte
[1] Il riferimento è al Consiglio pastorale parrocchiale e al Consiglio per gli affari economici. Tali organismi «non sono stati istituiti dal concilio Vaticano II per venire incontro a un’esigenza di rappresentatività sociologica, tanto meno per rispondere a una strategia di maggiore efficienza organizzativa. Essi sono stati la deduzione pratica dell’aver individuato nella dimensione comunionale una componente costitutiva della Chiesa stessa. […] La sinodalità della Chiesa […] va intesa come espressione operativa della comunione ecclesiale nella sua organicità» (G. Ghirlanda, «Presentazione», in M. Rivella [a cura di], Partecipazione e corresponsabilità nella Chiesa. I Consigli diocesani e parrocchiali, Ancora, Milano 2000, 5-6).
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