eutanasia
Avanti il prossimo. Dj Fabo se n’è andato, ma i promotori dell’autodeterminazione assoluta sono nuovamente all’opera. «Ci sono altre due persone che stiamo aiutando», ha infatti dichiarato nelle scorse ore Marco Cappato, uscendo dalla caserma dei Carabinieri di Milano dov’è andato per autodenunciarsi. E tra un’autodenuncia e un viaggetto in Svizzera, interviste a raffica. Ieri, per esempio, l’amicone di Fabo era al Tg5 a spiegare che loro, filantropi votati a nobili cause, non fanno che battersi per il diritto di ciascuno scegliere della propria morte; che non vogliono imporre nulla ma solo lasciare a ciascuno la libertà; che legalizzare è l’unico modo per contrastare l’eutanasia clandestina; che regole certe potranno impedire abusi; che questa è una battaglia per i deboli della società. Tutto molto bello, davvero. Peccato siano tutte – ma proprio tutte – balle sesquipedali.
Primo: il diritto di morire con dignità esiste già ed è sacrosanto. Ma qui, signori, stiamo parlando di altro, e cioè del “diritto” di esser uccisi. Cambia nulla? No, cambia tutto. Se difatti esiste il mio “diritto” di essere ucciso, significa che sulle spalle di qualcun altro – alla faccia della libertà – grava il dovere di farmi fuori. Una cosa semplicemente assurda. Tanto è vero che il “diritto” di esser uccisi è riconosciuto e/o consentito, sia pure con modalità differenti, da pochissimi Stati al mondo (Belgio, Cina, Colombia, Lussemburgo, Olanda, Oregon, Svizzera). Questo non perché la quasi totalità degli altri Paesi sia cattolica, ultracattolica o segretamente nelle mani di Mario Adinolfi, ma solo perché “diritto” di esser uccisi è una follia totale, che umilia la professione medica e diffonde nella società un senso di colpevolizzazione del disabile e del malato.
Balla numero due. Non è vero che riconoscere il “diritto” di essere uccisi lasci tutti liberi di scegliere. La verità è che così si innesca un’inquietante china scivolosa, come mostrano i casi di Belgio e Olanda per l’eutanasia e di Oregon e Svizzera per il suicidio assistito, dove coloro che chiedono di morire continuano ad aumentare di anno in anno, talvolta vertiginosamente. Come mai? Per la ragione che si diceva poc’anzi: perché il riconoscimento del “diritto” di essere uccisi non è culturalmente neutro. Comporta il dare una chance alla disperazione, lanciando – sia pure non in modo diretto –  a disabili gravi e malati un messaggio molto chiaro: ma chi te lo fa fare? Perché vuoi tener botta? Pensaci bene: non potrai più riprenderti, tanto vale chiuderla una volta per tutte con questo inferno. Non puoi riprenderti la salute, almeno riprenditi la liberà, no?
Una terza bugia clamorosa è quella dell’eutanasia clandestina. Dove? Quando? Perché? I promotori del diritto” di esser uccisi non lo dicono. Loro insinuano e basta, da buoni professionisti della menzogna. Del resto, uno dei pochi studi seri effettuati sull’argomento afferma che appena il 13% dei medici italiani di rianimazione ha somministrato sostanze col deliberato intento di accelerare il processo di morte (cfr. Critical Care Medicine, 1999; Vol.27(8):1626-1633). Il che, fosse vero, vorrebbe dire che quasi il 90% dei medici non ha mai effettuato nessuna operazione con fini eutanasici, e che non può essere certo il 10% o poco più di loro, vale a dire un’esigua minoranza, a determinare lo stravolgimento della normativa vigente. Ma anche la cosa fosse di più diffusa, da quando in qua è la diffusione di un fenomeno a sancirne la legittimità? Perché se il ragionamento è questo, tanto vale legalizzare pure il traffico di armi e l’evasione fiscale, no?
La panzana numero quattro è quella degli abusi. Qui i fautori del “diritto” di essere uccisi, primatisti mondiali di faccia tosta, danno il meglio di sé. Infatti, proprio loro che, della legge che punisce l’omicidio del consenziente, se ne infischiano, ci vengono a spiegare che – con suicidio assistito ed eutanasia legale – tutto avverrebbe alla luce del sole. E’ un come se la camorra venisse a spiegare che, con la legalizzazione della corruzione, non ci sarebbe più bisogno di fare tutto di nascosto, con rischi annessi e connessi. Solo che per qualche misteriosa ragione, che chiaramente esula dal radar della logica, da una parte la camorra viene considerata come malvagia e assassina, mentre coloro che portano disabili a suicidarsi degli eroi civili, infaticabili benefattori da lasciar pontificare ai telegiornali all’ora di pranzo.
L’ultima bugia – tra le più importanti, eh, perché ad elencarle tutte verrebbe notte fonda – concerne il fatto che quella per il “diritto” ad essere uccisi è una battaglia per deboli e malati. Tutto il contrario: è una battaglia voluta anzitutto dai sani sulla pelle dei più fragili. Lo dimostra il fatto che, per esempio, appena il 7% dei soggetti affetti dalla sindrome locked-in (condizione durissima, che comporta la paralisi completa di tutti i muscoli volontari del corpo) abbia pensieri o intenzione di morte, mentre gli italiani favorevoli all’eutanasia, secondo alcuni sondaggi, sono 10 volte tanti. Perché noi “sani” ci presteremmo allora a questa battaglia a scapito dei deboli? Per due ragioni, essenzialmente. Primo perché malati e disabili – inutile fare gli ipocriti e negarlo – costano, e costano tanto. Secondo perché viviamo nel terrore di ritrovarci, un giorno, a vivere una condizione simile, di paralisi o di totale dipendenza dal prossimo.
Il guaio vero, insomma, è che siamo – soprattutto i più giovani – allevati al culto dell’uomo vincente, forte, affermato. Nelle pellicole cinematografiche, nelle canzoni, nelle trasmissioni televisive, fateci caso, non c’è infatti quasi mai spazio al malato o al disabile, se non in una quota sufficiente a farci scendere qualche effimera lacrimuccia. Ci fanno una testa così per educarci contro l’omofobia vera e presunta, e contro razzismi reali e immaginari, ma sull’importanza di immedesimarci nel nostro fratello inchiodato ad un letto o a una carrozzina, solo briciole mediatiche. Solo miserabili contentini. Altrimenti il vestito da supereroi che vogliono culturalmente cucirci addosso, salvo poi lasciarci soli nella depressione conseguente allo scontro con la complessità del reale, ci andrebbe di colpo stretto. E scopriremmo al volo che non vi sono – mai – vite indegne di essere vissute, ma solo menzogne degne, queste sì, di essere abbandonate. Per tornare a dare un senso vero, e non più solo retorico, al concetto di umanità.
Giuliano Guzzo