Avvenire e le menzogne di un vescovo sulla contraccezione
- 31-10-2017
Su Avvenire di domenica scorsa monsignor Luigi Bettazzi ha praticamente spiegato che Paolo VI firmò l’enciclica Humanae Vitae, che ribadisce il divieto alla contraccezione, per timore, un po’ come quando la Chiesa "aveva paura della democrazia". Ora, a parte il falso storico, dato che il papa si pose coraggiosamente contro la maggioranza (sia fuori sia nella Chiesa), Bettazzi sostiene che allora si temeva di dire che l’amore viene prima della procreazione, come se l’apertura alla vita in ogni circostanza possa sminuire il bene fra uomo e donna.
Oltre che colpire per la mancanza di realismo, visto che la contraccezione separando il sesso dal suo fine procreativo è ciò che ha aperto la strada a divorzio, aborto, omosessualità e i figli in provetta (li rifiuto o li faccio quando li voglio), questa posizione è uno svilimento dell’amore coniugale, una paura di esso. E, dunque, in fondo, un sospetto su Dio e sul suo progetto sull’uomo. Perché, dire con Bettazzi che il sesso ha come primo scopo l’amore, che precede e può negare quello della generazione, è come dire che Dio è sadico, avendo pensato di mettere fra le implicazioni del sesso qualcosa che si può contrapporre all’amore fra uomo e donna.
Ne discende che è meglio controllare ed esercitare un potere sul sesso come progettato da Dio, dove sia la creatura a comandare sul Creatore illudensosi di uscirne vincitori come fece Eva. Peccato che ciò non possa non accadere senza le conseguenze nefaste che derivano dal recidere il legame intrinseco fra unione, massimo piacere e generazione, con cui Dio ha voluto proteggere il sesso da qualsiasi riduzione. Se, infatti, il sesso non fosse generativo (come vorrebbe la mentalità contraccettiva) potrebbe facilmente trasformarsi nel suo contrario, la separazione dell’uomo dalla donna: “Ti prendo fino a che mi dai il piacere che voglio, perciò ingerisci da sola la pillola chimica, accetta la barriera del profilattico fra noi e se non funziona abortisci”. Al contrario, l’apertura alla vita e i metodi naturali, che implicano il sacrificio di entrambi i coniugi, uniscono profondamente l’uomo e la donna come desiderano.
Perché, siamo sinceri, quale persona che non cerchi solo il piacere ma l’amore vero (ossia l’accoglimento di sé per sempre senza precondizioni) desidererebbe essere voluta solo a determinate clausole (solo se ingerisci veleni chimici) o fino ad un certo punto (ti prendo a patto che ci separi un po’ di lattice), senza accettare tutto ciò che il rapporto implica (sacrifici, figli, etc.)? Non sarebbe questo il vero svilimento dell’amore? Non è questo a permettere all’eros di essere ucciso dalla paura che nasce dalla sua altezza (agape), capace di accogliere anche gli imprevisti e i sacrifici che il rapporto implica?
Perché noi, da laici che vivono il matrimonio secondo l’insegnamento millenario della Chiesa, noi, che il monsignore definisce tradizionalisti rigidi, siamo sicuri di sì, sapendo bene che la contraccezione si usa solo quando si ha paura. Paura delle conseguenze dell’atto unitivo. Paura delle conseguenze dell’amore, per cui bisogna contraddirlo, bloccarlo, arginarlo. E così, oltre a fare violenza sul coniuge, si perde anche il piacere. Tanto che mai come oggi, dove il sesso è vissuto solo come godimento, il piacere viene meno e si cerca soddisfazione nei suoi surrogati come la pornografia, il sadomaso, la masturbazione, che però non basteranno mai al cuore umano.
Non a caso, nell’epoca moderna del sesso libero, gli psicologi registrano fra i problemi maggiori delle coppie la mancanza di desiderio sessuale (fra le cause mettono la contraccezione e l'ansia da prestazione, tipica di quando il fine del sesso è il solo piacere). Desiderio, che è tanto più grande quanto meno si ha paura di ciò che l’oggetto desiderato implica, mentre il timore ossessivo di perdere il controllo o di essere prestanti (e non lo dice la Chiesa ma lo sostengono i più laici dei sessuologi) smorza patologicamente il desiderio, uccide il piacere e indebolisce i legami.
È quindi evidente che ad essere rigido, fariseo, ad imporre paletti, ad uccidere il piacere, non è il cattolico fedele alla tradizione (ossia alla visione di Dio sull’uomo), che lo vive fino in fondo senza barriere né timori e quindi se lo gode pienamente (non c’è cosa più commuovente di ricevere completamente l’altro ed essere ricevuti senza condizioni o preoccupazioni), ma il progressista che ne teme la portata e quindi lo deve arginare, rendendolo uno spauracchio da cui difendersi che quindi perderà di attrattiva.
Perciò, anche se a sostenere il contrario è un vescovo, il cattolico non può negare che la contraccezione separi l’uomo e la donna, con colpi mortali al sacramento, introducendo in esso il terrore satanico della perdita della propria autonomia e del proprio controllo sul rapporto coniugale e abituando i coniugi ad usarsi tenendosi a debita distanza da una compromissione totale.
Ci pare quindi folle che la Chiesa, come ipotizza Avvenire, possa accettare la contraccezione, normando così l’assetto psicologico che questa comporta: accogliere il coniuge solo per quello che di piacevole può dare eliminando tutto ciò che si ritiene un peso. Non vogliamo credere che nostra Madre possa contribuire a rendere normale nei rapporti l’egoismo che Cristo è venuto a sconfiggere morendo per amore. Soprattutto sapendo che l’apertura alla contraccezione (separazione dell’atto unitivo da quello procreativo) è l’apripista teorico anche all’aborto, al divorzio, alla fecondazione assistita e all’omosessualità, come già accaduto nell’Occidente laico.
Al contrario, difendiamo il divieto della Chiesa alla contraccezione come suo sì alla salvaguardia dell’amore vero, che non pone limiti o condizioni. Un amore che lasciato agire fino alle sue ultime implicazioni diventa così potente da riuscire a rendere l’uomo collaboratore di Dio, capace di generare vita, costi quel che costi. Perciò il coronamento dell’amore, il suo vertice divino non può che essere nel sesso come donazione esclusiva e totale, come apertura alla vita, ossia come sacrificio di sé per accogliere pienamente un Altro.