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domenica 22 ottobre 2017

Rendete a Dio quello che è di Dio

di autori vari


Omelia di padre Maurizio Botta di questa mattina nella chiesa di Chiesa di Santa Maria Immacolata e San Giuseppe Benedetto Labre a Roma, dove è conservata una reliquia di san Giovanni Paolo II
La pigrizia mentale e la pigrizia di amore sono compagne. Anche con Gesù siamo pigri nell’applicare il dono della nostra intelligenza alle parole che ascoltiamo di lui. Anche in questo si manifesta la nostra mancanza di amore per lui. Riflettendo scopriremo che con la sua piccola risposta, rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio, Gesù scontento proprio tutti. Tranne il Padre suo, tutti furono delusi. Scontenti i collaborazionisti alleati dei Romani, come politici avrebbero preferito che la frase si concludesse con Cesare, rendete a Cesare quello che è di Cesare, punto. Scontenti restarono i focosi zeloti che quella frase di rendere a Cesare quello che è di Cesare, proprio non avrebbero voluto sentirla. Tra questi delusissimi molti dei dodici di Gesù che aspettavano da un momento all’altro la svolta politica, con un Messia politico e liberatore dall’impero romano. Scornati i farisei che avevano posto quella domanda con malizia, per trarre in inganno e si videro sgusciare dalle mani Gesù. Gesù è intelligente e ironico e troppo spesso lo dimentichiamo. Da risposte con non sono né bianco né nero, ma nemmeno un grigio democristiano di mezzo, Gesù da risposte di luce che sono sempre sopra. Rendete a Dio quello che è di Dio
Sulla moneta di metallo c’è l’immagine dell’imperatore, bene, che ritorni all’imperatore, ma sulla moneta uomo che immagine è impressa? A chi deve tornare? Quali sono i segni di questa immagine di Dio impressa in noi che ci rende suoi, che ci rende monete del Suo Tesoro?
Il segno della complessità di questa creazione dietro la quale leggiamo un pensiero, una volontà e un amore che lasciano stupiti. Le frasi piene di meraviglia di moltissimi scienziati a questo proposito sono commoventi.
Il segno di quella voce universale che ogni uomo ha dento di sè. Vedi affogare un bimbo che non conosci, anche se non hai voglia, anche se hai freddo, anche se hai paura, che tu ti butti o no, senti una voce che ti dice: buttati! In guerra ognuna delle due parti può trovare molto utile un traditore dall’altra, ma pur servendosene, e pagandolo, lo considera una persona spregevole. Il capo sempre è ovunque deve essere saggio e coraggioso.
L’amico tutti sanno senza che nessuno lo insegni deve essere fedele e leale. L’odio per la falsità e il terrore di essere ingannati sono universali e da sempre. Il bisogno irrefrenabile di sapere tutto, benché sapere sia soffrire, πάθει μάθος, è inevitabile. La legge naturale è un segno di questo essere stati creati tutti a immagine e somiglianza di Dio.
Il segno della noia. Viviamo tutti desideri infiniti che le cose e le persone non possono soddisfare, cosicché come ricordava Leopardi la noia è il sentimento umano che maggiormente indica la nostra grandezza, siamo fatti per l’infinito.
Il segno di come percepiamo come un’ingiuria i nostri giorni contati, finiti. Il nostro tempo lo vogliamo eterno. Innaturale l’idea di non esserci più? Come mai ci appare così innaturalmente dolorosa?
Il segno, infine, di volere amare ed essere amati infinitamente, come tempo, come estensione, scoprendo continuamente il nostro limite e il limite altrui. Con le nostre timide forze non riusciamo ad amare come vorremmo, non ci sentiamo mai amati come vorremmo.
Ma noi non abbiamo solo segni umani universali che ci aiutano a parlare con chi non crede, abbiamo la risposta di amore di Dio. Noi abbiamo Gesù. Noi abbiamo impressa su di noi la Sua Immagine, il Suo Sigillo. Noi siamo suoi. Gesù che è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura, ci ha uniti a Lui, come tralci alla Vite. Il Padre ci ha voluto predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli.
Questo è il cuore semplice della fede che risplende nel Catechismo. A questo proposito concludo con due piccoli testi. Il primo è tratto da un’udienza, per me indimenticabile, del 10 Marzo 2011 di Benedetto XVI con i parroci romani. Il secondo è parte di una risposta data durante la veglia conclusiva dell’anno sacerdotale a un giovane sacerdote sconcertato dal relativismo teologico dominante. Entrambe hanno quella luce, quella ironia e quella intelligenza dei veri discepoli di Gesù. Parole non grigie in mezzo, ma di luce sopra.
Penso che il mondo di oggi sia curioso di conoscere tutto, tanto più dovremmo essere curiosi noi di conoscere la volontà di Dio: che cosa potrebbe essere più interessante, più importante, più essenziale per noi che conoscere cosa vuole Dio, conoscere la volontà di Dio, il volto di Dio? Questa curiosità interiore dovrebbe essere anche la nostra curiosità di conoscere meglio, in modo più completo, la volontà di Dio. Dobbiamo rispondere e svegliare questa curiosità negli altri: di conoscere veramente tutta la volontà di Dio e di conoscere così come possiamo e come dobbiamo vivere, qual è la strada della nostra vita. […] La dottrina, la liturgia, la morale, la preghiera – le quattro parti del Catechismo della Chiesa Cattolica – indicano questa totalità della volontà di Dio. E anche è importante non perderci nei dettagli, non creare l’idea che il Cristianesimo sia un pacchetto immenso di cose da imparare. Ultimamente è semplice: Dio si è mostrato in Cristo. Ma entrare in questa semplicità – io credo in Dio che si mostra in Cristo e voglio vedere e realizzare la sua volontà – ha contenuti, e, a seconda delle situazioni, entriamo poi in dettaglio o meno, ma è essenziale che si faccia capire da una parte la semplicità ultima della fede.
Che cosa fare? Io direi prima di tutto ai teologi: abbiate coraggio. E vorrei dire un grande grazie anche ai tanti teologi che fanno un buon lavoro. Ci sono gli abusi, lo sappiamo, ma in tutte le parti del mondo ci sono tanti teologi che vivono veramente della Parola di Dio, si nutrono della meditazione, vivono la fede della Chiesa e vogliono aiutare affinché la fede sia presente nel nostro oggi. A questi teologi vorrei dire un grande “grazie”. E direi ai teologi in generale: “non abbiate paura di questo fantasma della scientificità!”. Io seguo la teologia dal ’46; ho incominciato a studiare la teologia nel gennaio ’46 e quindi ho visto quasi tre generazioni di teologi, e posso dire: le ipotesi che in quel tempo, e poi negli anni Sessanta e Ottanta erano le più nuove, assolutamente scientifiche, assolutamente quasi dogmatiche, nel frattempo sono invecchiate e non valgono più! Molte di loro appaiono quasi ridicole. […] Dobbiamo conoscere anche le correnti del nostro tempo per poter rispondere ragionevolmente, per poter dare – come dice San Pietro – “ragione della nostra fede”. La formazione è molto importante. Ma dobbiamo essere anche critici: il criterio della fede è il criterio con il quale vedere anche i teologi e le teologie. Papa Giovanni Paolo II ci ha donato un criterio assolutamente sicuro nel Catechismo della Chiesa Cattolica: qui vediamo la sintesi della nostra fede, e questo Catechismo è veramente il criterio per vedere dove va una teologia accettabile o non accettabile. Quindi, raccomando la lettura, lo studio di questo testo, e così possiamo andare avanti con una teologia critica nel senso positivo, cioè critica contro le tendenze della moda e aperta alle vere novità, alla profondità inesauribile della Parola di Dio, che si rivela nuova in tutti i tempi, anche nel nostro tempo.

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