αποφθεγμα Apoftegma
Il martirio di Rabbi Akiva
Secondo il Talmud, per cercare di eliminare per sempre l'Ebraismo,
il governo Romano proibì ai Maestri Ebrei di insegnare la Torah.
Tuttavia, Rabbi Akiva si rifiutò di seguire questo decreto
e fu catturato e condannato a morte.
Mentre il torturatore gli bruciava la pelle,
il Rabbino sorrideva e recitava le preghiere della sera,
collegandosi così con il sacrificio serale nel Tempio di Gerusalemme.
I suoi discepoli volevano risparmiargli quell'ultimo sforzo:
"Maestro, ora però sei dispensato!".
Ma Rabbi Akiva disse:
«Per tutta la vita mi sono tormentato a causa del verso:
"Amerai il Signore tuo Dio con tutta l'anima",
con il mio ultimo respiro,
e mi sono sempre chiesto quando sarei stato capace
di adempiere questo precetto,
ed ora che finalmente posso adempierlo, non dovrei farlo?»
Allora egli cominciò a recitare lo Shemà:
"Ascolta Israele, Hashem è il nostro Dio, Hashem è uno"
(Shemà Yisrael, Hashem Elohenu Hashem echad)
e morì mentre pronunciava l'ultima parola.
Si racconta che in quel momento una voce dal Cielo proclamò:
«Tu sei beato Akiva, il tuo respiro si è spento con "Echad".
Tu sei beato Akiva, avrai una parte nel Mondo Avvenire.»
(Questo racconto si trova nel Talmud Bavlì, Berachot 61b)
il governo Romano proibì ai Maestri Ebrei di insegnare la Torah.
Tuttavia, Rabbi Akiva si rifiutò di seguire questo decreto
e fu catturato e condannato a morte.
Mentre il torturatore gli bruciava la pelle,
il Rabbino sorrideva e recitava le preghiere della sera,
collegandosi così con il sacrificio serale nel Tempio di Gerusalemme.
I suoi discepoli volevano risparmiargli quell'ultimo sforzo:
"Maestro, ora però sei dispensato!".
Ma Rabbi Akiva disse:
«Per tutta la vita mi sono tormentato a causa del verso:
"Amerai il Signore tuo Dio con tutta l'anima",
con il mio ultimo respiro,
e mi sono sempre chiesto quando sarei stato capace
di adempiere questo precetto,
ed ora che finalmente posso adempierlo, non dovrei farlo?»
Allora egli cominciò a recitare lo Shemà:
"Ascolta Israele, Hashem è il nostro Dio, Hashem è uno"
(Shemà Yisrael, Hashem Elohenu Hashem echad)
e morì mentre pronunciava l'ultima parola.
Si racconta che in quel momento una voce dal Cielo proclamò:
«Tu sei beato Akiva, il tuo respiro si è spento con "Echad".
Tu sei beato Akiva, avrai una parte nel Mondo Avvenire.»
(Questo racconto si trova nel Talmud Bavlì, Berachot 61b)
LA SALVEZZA DI OGNI UOMO PENDE DAL LEGNO DELLA CROCE DOVE GESU' HA COMPIUTO IL COMANDAMENTO CHE CI FA FIGLI SOMIGLIANTI AL PADRE
"Quale è per te il più grande comandamento?": questa domanda è rivolta anche a noi oggi. I farisei chiedevano a Gesù un'opinione, secondo la tecnica del demonio, per "tentarlo" e farlo cadere. Vediamo come interpreti la Scrittura... Già visto: con Adamo ed Eva e con Saul per esempio, caduti proprio perché irretiti nei sofismi del demonio che li ha indotti a interpretare da sé le Parole di Dio. Ma Gesù no, Lui, come nel deserto prima di iniziare la missione pubblica, e poi sempre di fronte alle domande dei farisei, ha risposto con la Verità fatta carne. Con i fatti, non con un'opinione. E il fatto era Lui stesso, lo Shemà compiuto nei segni che stava facendo. Tutti i miracoli, infatti, erano la testimonianza del suo amore a Dio e al prossimo con tutto se stesso. Gesù era l’amore di Dio sceso sulla terra; era “il comandamento” offerto gratuitamente a ogni uomo. Lui era tutto quello che avrebbero voluto compiere i farisei con i loro sforzi. Potevano “ascoltarlo” ed entrare nella vita vera. O rifiutarlo, e morire nei loro peccati. Come ciascuno di noi, ogni giorno. Nella Chiesa ci viene annunciata la Parola, che illumina le nostre vicende e i nostri cuori. Spesso ci smaschera intrappolati in Egitto, schiavi del disordine, che in ebraico significa anche faraone: rancori e litigi, giudizi e gelosie. Significa che il demonio ci ha sedotto, strappandoci a Dio. Significa che abbiamo dialogato con lui, che non abbiamo saputo rispondere con i fatti che testimoniano l'amore di Dio nella nostra vita. Certo, perdonare chi non riconosce l'errore non è giusto; aprirsi alla vita, senza un lavoro fisso, è assurdo. E così la Parola di Dio diviene la nostra condanna: accettando l'interpretazione del demonio usciamo dalla volontà di Dio, e restiamo imprigionati nella corruzione del nostro ego. Ma anche oggi possiamo essere “restituiti” a Lui. Basta “ascoltare” senza indurire il cuore, in un cammino di conversione che cominci dall'accettare di essere “piccoli”, peccatori, senza difendersi. Ed è il primo frutto della Parola, che illumina la verità. Padre F. Manns mette in evidenza come, nel vangelo di Giovanni, Nicodemo sia iniziato alla fede proprio attraverso il compimento dello Shemà. Egli è "il tipo del catecumeno che si apre alla fede; e l'itinerario che gli viene proposto da Gesù è proprio quello dello Shemà. Bisogna aprirsi progressivamente. Prima il tuo "cuore", poi la tua "anima" e alla fine le tue "forze", che sono il denaro". Il catecumeno non capisce tutto subito... Prima deve accogliere Cristo nel cuore". Nel cristianesimo non si inventa nulla. E' Dio che, attraverso la Chiesa, ci inizia all'ascolto e all'obbedienza, sino al compimento dell'amore sino al dono totale di sé. L'amore, infatti, dice Benedetto XVI, non si può comandare. Apriamo allora anche solo una fessura del nostro intimo per accogliere la Parola che libera dal peccato, e semina in noi l'amore che, a poco a poco, prende possesso del "cuore", il centro dell'uomo, la sua torre di controllo; poi dell'"anima", ovvero la vita, perché secondo il Levitico essa si trova nel sangue; e infine delle "forze": "Con tutto il cuore: con le tue due tendenze, quella buona e quella cattiva. Con tutta l'anima: dovesse anche costarti la vita. Con tutte le forze: con tutti i tuoi averi" (Mishnà). Così ci trasforma in "cristiani", uomini nuovi crocifissi con Cristo; uomini liberi in cui è vivo Lui e non più l'uomo vecchio della carne. Sulla Croce, infatti, Gesù ha compiuto lo Shemà per noi: la “mente” cinta dalla corona di spine, le “forze” inchiodate al legno, il “cuore” trapassato dalla lancia. Tutto questo è un regalo pronto per noi, affidato alla Chiesa. Attraverso i sacramenti, l’ascolto della Parola di Dio e la comunione con i fratelli, lo Shemà si fa carne in noi per seguire la volontà di Dio, offrire la nostra vita, restituendo tutto a Dio, compreso il denaro, il lavoro, il tempo, i criteri. E' nella comunità cristiana che si compie lo Shemà", il “comandamento” che dà compimento alla nostra vita. In ebraico, infatti, il termine indica anche “una parola che affida un incarico”, o “la legge "incisa" che orienta e dirige il compimento di una missione”. La comunità che “ascolta” senza dividersi sull’interpretazione della Scrittura, ma impara a viverla crescendo nell'amore, compie la missione che il Signore le ha affidato. La comunità e i fratelli, ciascuno nella propria storia. Negli Atti degli Apostoli possiamo scoprire le tracce che ci illuminano come, sin dalle origini, la Chiesa aveva ben chiaro che essa viveva, in continuità con Israele, sul fondamento dello Shemà: "Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere... La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune". "Ascolto" e "unione", "un cuore solo e un'anima sola", "ogni cosa era in comune": ecco disegnato lo Shemà che si compiva nella comunione dei fratelli in Cristo; l'amore a Dio e al prossimo si traduce dunque con la comunione, l'essere Uno come Dio è Uno, un solo corpo in Cristo che ci ha amati con tutto se stesso, per annunciare e testimoniare al mondo che Dio esiste, e ama davvero gli uomini: "da questo", dice il Signore, "riconosceranno che siete miei discepoli" e potranno credere ed essere salvati.
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