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lunedì 30 ottobre 2017






αποφθεγμα Apoftegma

L’uomo, anche se creato per contemplare la luce dall’alto,
è stato scacciato dal paradiso per colpa dei suoi peccati
e, per conseguenza, le tenebre regnano nella sua anima,
facendogli perdere l’appetito delle cose dell’alto
e portare la sua attenzione verso le cose del basso.

San Gregorio Magno










L'AMORE DI DIO SVELA L'IPOCRISIA SATANICA E SLEGA LE CATENE CON CUI CI TIENE SCHIAVI ALL'EGOISMO


Gesù «insegna di sabato» per accompagnarci a scoprire in esso il suo amore infinito. Per Israele «Shabbat» è un frammento di Cielo deposto sulla terra. Celebrarlo fedelmente astenendosi dai 39 lavori proibiti significa impedire al tempo di chiudersi su se stesso in un angosciante «eterno ritorno». «Shabbat» infatti segna il cammino della vita consegnato da Dio sul Sinai: è una sosta nella fatica, la gioia nel dolore, la memoria sempre viva del destino a cui ogni uomo è chiamato. «Shabbat» custodisce e fa gustare la fragranza della Terra Promessa, accoglie ogni uomo nella gratuità dell’amore di Dio per aprirlo alla lode. «Shabbat» è la misericordia di Dio che cerca il peccatore. E proprio in giorno di «Shabbat» una donna «curva» e «legata da satana» «era là», in quella sinagoga. aSenza dire una parola, senza far nulla ascoltava Gesù. Non era «venuta a farsi curare», non lo aveva chiesto, ma, essendo «figlia di Abramo», ne custodiva con fede la promessa nell’attesa del suo compimento. Anche noi siamo «legati» da satana, «curvi» sotto il peso dei peccati che ci impediscono di «drizzarci» per amare chi ci è accanto. Non possiamo liberarcene «in nessun modo», tanto meno attraverso il moralismo «ipocrita» del «capo della sinagoga» che si «sdegna» dell’amore gratuito di Dio. Come lui spesso anche noi, genitori, preti, educatori, scambiamo per «lavoro», impegno, sforzo, strategie, l’opera della Grazia che proprio il sabato profetizza, e finiamo con il chiuderne le porte a tutti. Orgogliosamente incapaci di accettare di essere deboli e peccatori, crediamo di curarci e curare attraverso i nostri sforzi, nel «dolore» e nel «sudore» dei «sei giorni» di lavoro. Ci illudiamo così di stare in piedi, mentre restiamo per «diciotto anni» – la nostra vita lontana dal «giardino» – «curvi» sulla terra a cercare tra «spine e cardi», la felicità che solo il «sabato» della Misericordia può donarci. Ma l’unico «modo» per «guarire all'istante» è «essere là» come quella donna, nel seno della Chiesa nostra madre che ci accoglie così come siamo nel compimento dello «Shabbat». Anche oggi nell’Assemblea Santa, nella comunità cristiana, il Signore ci «vede», ci «chiama»; ci annuncia la «libertà», ci «impone le mani» perdonandoci i peccati, per donarci il suo Spirito. Ascoltiamo allora il suo «insegnamento» che ha il potere di «scioglierci» dalla «mangiatoia» dove lo spirito malvagio ci «tiene infermi» a saziare le nostre concupiscenze; lasciamoci condurre ad «abbeverarci» alla fonte della Grazia che sono i sacramenti, per celebrare «esultanti» nella liturgia le «meraviglie» del suo amore, «glorificando» Dio con i fratelli.




La Parola guarda, chiama a sé e libera. La Parola si fa mani che toccano le infermità, e raddrizzano. La Parola schiude alla lode chi è curvo, incapace di raddrizzarsi in alcun modo. La Parola compie il sabato del riposo, il destino cercato, sperato e mai raggiunto. 

E finalmente sei arrivato Signore, mi hai guardato, mi hai chiamato. Mi hai guarito. Curvo sui miei pensieri, sulle mie ansie, sulle mie nevrosi. Le paure per un passato non risolto, pesante come un macigno sul mio presente. Una offesa, chissà. Un'ingiustizia non digerita, ed eccomi da anni accasciato e incapace di sollevare lo sguardo. Si, questa è la mia vita. I peccati, gli inganni del demonio come una mano sulla nuca a obbligarmi con gli occhi abbassati. Non un pezzo di cielo, lo sguardo sempre sul selciato, senza sapere da dove vengo e dove vado. Ma sei arrivato, oggi, con il tuo amore. Hai vinto l'ipocrisia moralista delle regole di facciata, buone solo a far schiava la gente. Il cuore hai cercato. Eccolo allora il mio cuore. E' pronto per te, guariscilo Signore. E' giunto finalmente il sabato eterno delle tue nozze con la mia povertà. 

Per questo Gesù insegna di sabato proprio per rivelare cosa sia il sabato. Esso vede, chiama a sé e guarisce: shabbat è la porzione di Cielo dischiusa nel tempo, il kairos che, come una ferita, spezza la trama grigia dei giorni; shabbat impedisce al tempo di chiudersi su se stesso, e spegnere così la speranza. La donna inferma, curva e incapace di drizzarsi è immagine del nostro tempo senza shabbat. La nostra storia che ha smarrito il sigillo dell'Alleanza, la caparra della vita eterna, la breccia che circoncide la carne aprendola ad un destino più grande. Questa donna è immagine di ciascuno di noi curvo sui suoi pensieri, sulle ansie, sulle nevrosi. Incapaci di rizzarci dalle paure per un passato non risolto, pesante come un macigno sul presente. Una offesa, chissà. Un'ingiustizia non digerita. I peccati, gli inganni del demonio come una mano sulla nuca a obbligarci con gli occhi abbassati. Non un pezzo di cielo, lo sguardo sempre sul selciato, senza sapere da dove veniamo e dove andiamo. 

Ma Gesù colma shabbat; Egli denuncia l'ipocrisia che si indigna della libertà facendo di shabbat un idolo muto. Di chi rende le nostre chiese, la Parola, il Signore stesso come lo shabbat pervertito dal capo della sinagoga: un peso in più, un moralismo, una garanzia sulla vita che uccide la vita. Gesù guarda oggi la nostra vita, non se ne scandalizza, e dischiude le porte di shabbat perchè esso accolga il nostro tempo curvo sul non senso. Gesù ci dona oggi shabbat in tutto il suo splendore, nel suo sapore unico di festa e libertà. Oggi ci scioglie dalle catene delle menzogne e ci conduce a mangiare e a bere i frutti della terra, la vita autentica per la quale siamo nati.    

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