Il Diaconato Permanente: identità
Il Laicato e il Diaconato
IL DIACONATO PERMANENTE:
IDENTITÀ, FUNZIONE E PROSPETTIVE
Eccellenza Reverendissima Mons.
Roberto O. González Nieves, O.F.M.
Chi siamo? La costituzione Lumen gentium del Concilio Vaticano II, nel numero 33 dice: "I laici congregati nel Popolo di Dio e formando l’unico Corpo di Cristo sotto l’unico capo, sono stati chiamati, come membra vive, a contribuire alla crescita e alla santificazione incessante della Chiesa con tutte le loro forze, ricevute da parte del Creatore per mezzo della grazia del Redentore".
Negli ultimi decenni il laicato è andato crescendo nella Chiesa. Dopo le definizioni del Concilio Vaticano I sul papato e quelle sull’episcopato del Concilio Vaticano II, è sorta una chiamata dello stesso Vaticano II verso il laicato, non solo come oggetto di speculazione teologica e come partecipe nell’apostolato gerarchico della Chiesa, bensì come membro della Chiesa con una missione evangelizzatrice nel mondo. Alla fine del primo millennio, in occidente era già decaduto il diaconato e in tanti luoghi esisteva soltanto come passo verso il presbiterato. Vediamo come il Concilio Vaticano II esorta tutti i fedeli a contribuire alla crescita della Chiesa.
Oggi, sparsi in ogni parte del mondo, i laici di ambedue i sessi, come ministri straordinari, amministrano la comunione dentro e fuori del tempio; leggono dal leggio, cantano e dirigono le parti musicali, annunciano la Preghiera Universale e fanno le suppliche nella liturgia. Ci sono laici e persone di vita consacrata che sono cancellieri diocesani, amministrano parrocchie e anche sono incaricati della carità diocesana. Nei luoghi di missione esistono suore che battezzano solennemente e religiosi e laici sono testimoni qualificati del sacramento del matrimonio. Cioè, queste e altre cose
indicano che è arrivata l’ora in cui i laici partecipano più pienamente alla Nuova Evangelizzazione.
indicano che è arrivata l’ora in cui i laici partecipano più pienamente alla Nuova Evangelizzazione.
Risorge il Diaconato nell’occidente
Le necessità pastorali della Chiesa hanno spinto il Papa e i Vescovi a chiamare laici e persone di vita consacrata ad adempiere la funzione di insegnare e santificare. Ma in questo interessante momento, e senza togliere nulla a questi ministeri laicali, il Concilio Vaticano II restaura il diaconato come ministero permanente nella Chiesa. E sorge una domanda: ma perché si vuole risuscitare il diaconato quando tutto ciò che in esso si svolge un laico lo svolge allo stesso modo? Il francescano inglese del XIV secolo, William of Ockham enunciò la famosa e conosciuta frase, "il coltello di Ockham" (Quodlibeta n. 5.9.1, art.2, ca.1324), che richiama al senno e rifiuta la stravaganza; dice così in latino: "entia non sunt multiplicanda sine necessitate"; in altri termini: Perché complicare quello che è semplice? Su questo profilo la restaurazione del diaconato nella Chiesa latina pare sia una vera duplicità di ministeri che già esistono e che danno un buon risultato.
Gli scolastici dicono che "l’essere precede l’agire". Nessuno fa quello che non può e nessuno da quello che non ha. "L’essere" laico contiene la potenzialità come laico di fare tutto quanto suddetto (e ancora di più). Perciò ci chiediamo: cosa aggiunge l’ordinazione diaconale al laico? Perché dare l’ordinazione che da il carattere sacramentale ad un ufficio che apparentemente non ha necessità dell’ordinazione e neanche del carattere? Questi argomenti seguono la logica del mondo degli affari, la quale si definisce come pragmatismo.
Si tratta di un mistero
Il Signore dice che "i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce" (Lc. 16,18). Lui loda i negozianti, non i loro metodi. Ma qui si tratta di un mistero, non di un affare.
Diaconato, presbiterato e laicato
Ora arriva il diaconato, ma non come sostitutivo del presbiterato, non come una minaccia per il laicato, bensì come araldo: angelo dell'Evaghelismos, cioè dell’annunciazione. Un altro Gabriele che annunci la Buona Novella della Salvezza! "Lo Spirito Santo scenderà sopra di te e ti coprirà con la sua ombra la potenza dell’Altissimo" (Lc. 1,35). L’imposizione delle mani crea il diacono come ministro ordinato che, senza essere sacerdote, non è un laico; e che, senza essere laico non è sacerdote, ma sì ordinato; e neppure è Vescovo.
Quando Gabriele annunciò Maria, la Madre di Dio disse: Come può essere? Così rispose non perché non credeva, ma perché non capiva. Quando l’angelo parlò non diede delle lunghe spiegazioni, né fece una conferenza. Neanche Ella rispose con una conferenza. Soltanto disse: "Sono la serva del Signore, si compia in me quello che hai detto" (Lc. 1,35). Quando i Padri conciliari restaurarono il diaconato nella Chiesa di Occidente fu perché animati dalla fiducia che la Chiesa aveva bisogno di questo ministero in un contesto, come abbiamo detto, tra il laicato e il presbiterato, come un braccio che mancava al vescovo. Il diaconato non è una protesi, come un membro artificiale, è un braccio vivo nelle cui vene scorre il sangue di Cristo-Servo, il Figlio della serva del Signore.
Il diacono dà la sua risposta al decreto conciliare. Eccomi: mandami! (Is. 6,8). Risponde perché crede che porterà a compimento quello che il Concilio ha stabilito. Se manca una teologia definitiva del diaconato, non manca però la fede nella sua realtà rivelata.
Come abbiamo detto, l’istituzione del diaconato venne dal Nuovo Testamento. Tutti conosciamo il Protomartire, il Protodiacono Santo Stefano. San Luca, negli Atti degli Apostoli, dice che questi hanno imposto le loro mani su "sette uomini di buona fama, peni di Spirito Santo e sapienza" affinché si prendessero delle vedove di lingua greca. Anche loro erano di lingua greca e sciolsero gli apostoli delle preoccupazioni temporali affinché potessero dedicarsi all’orazione e alla predicazione (At. 6,3).
La parola diacono viene dal greco ‘diaconia’ che, in due diversi sensi, si utilizza più o meno cento volte nel Nuovo Testamento, essendo questo il loro significato: ministero/ministro o servizio/servo (John N. Collins, Diakonia, Oxford University Press, 1990, pag 3).
Nei primi anni della Chiesa vediamo che il diaconato emerse come ufficio ben definito. San Paolo nella lettera ai Filippesi, scritta verso l’anno 57, fa riferimento ai diaconi come ordine nella Chiesa (Fil. 1,11). Egli parla inoltre dettagliatamente di essi nella prima lettera a Timoteo (1 Tim. 3,8-10; 12-13).
Un aiuto sacramentale unico
Come Santo Stefano, il protomartire che predicò presso il sinedrio, e San Filippo che catechizzò l’eunuco etiope, i diaconi sin dall’inizio si dedicarono unicamente al servizio della mensa. L’Ordine Sacro consacra il diacono al ministero di Cristo Servo. "Il diacono riceve il sacramento dell’Ordine affinché serva come ministro alla santificazione della comunità cristiana in comunione gerarchica con il vescovo e i presbiteri. Al ministero del Vescovo, e in modo subordinato a quello dei presbiteri, il diacono presta un aiuto sacramentale, perciò intrinseco, organico e inconfondibile. È chiaro che la sua diaconia presso l’altare – perché ha la sua origine nel sacramento dell’ordine – si differenza essenzialmente da qualsiasi ministero liturgico che i pastori possano affidare ai fedeli non ordinati. Il ministero liturgico del diacono è diverso dello stesso ministero ordinato sacerdotale" (Directorium, N. 28; Lumen gentium, 29). Il diacono non è sacerdote, il suo ministero è servire.
Sant'Ignazio di Antiochia scrive (ca. A.D. 105): "Diaconi dei misteri di Gesù Cristo… non siete voi ministri di pranzi e di bevande, ma servitori della Chiesa di Dio" (Ad Trall. III,1). E aggiungendo dice che il vescovo occupa nella Chiesa il posto del Padre Eterno e si deve rispettare il diacono come lo stesso Gesù Cristo". Rispetto che proviene dal lavoro di servizio in favore della Chiesa.
Il Ministero Diaconale è triplice
Il ministero diaconale è triplice. Il diacono si ordina per il ministero della parola, della liturgia e della carità. Ministeri triplice perché nel diacono, essendo - come è - persona, questi tre uffici sono concentrici. Voglio dire che girano attorno a Cristo Servo come centro nella persona del diacono. Non si può parlare di circonferenza senza assegnare prima il centro, per poter così poggiare il compasso. Il centro definisce la circonferenza come Cristo Servo definisce il triplice ministero diaconale.
MINISTERO DELLA PAROLA
L’Episcopato e il Diaconato
Il Concilio Vaticano II, parlando dell’episcopato come apice dell’ordine sacro (e non soltanto come pienezza) posiziona il vescovo al centro della vita della Chiesa particolare. I presbiteri e i diaconi sono le sue braccia, ma con diverse funzioni.
Nel preciso momento dell’Orazione Consacratoria dell’Ordine Episcopale, due diaconi sostengono i Santi Vangeli aperti sulla testa dell’ordinando. Finita la consacrazione e dopo l’unzione della testa del nuovo vescovo con il santo crisma, il consacrante principale prende il Vangelo e lo consegna al nuovo vescovo con queste parole: "Riceve il Vangelo e annuncia la parola di Dio con il desiderio di insegnare e con ogni pazienza" (Orazione consacratoria, Ordinazione dei Vescovi, Spagna).
Lo Spirito Santo, di cui il crisma è segno, è la forza vitale che dinamizza la parola del Vangelo e che il nuovo vescovo predicherà, perché alla stessa maniera che il Padre si manifesta al mondo per mezzo del Figlio, egli lo realizza con il potere della vita divina che è lo Spirito Santo. Il nuovo vescovo, che Cristo ha chiamato per nome, pieno di Spirito Santo come gli apostoli nel giorno della Pentecoste, segue le sue tracce e si avvia ad annunciare la Buona Novella in un mondo moribondo che aspetta la parola vivificatrice.
Secondo il rito di ordinazione, al diaconato – primo aspetto del ministero diaconale – corrisponde il ministero della parola. Dopo aver invocato sugli ordinandi "lo Spirito Santo", il vescovo continua pregando "affinché fortificati con la tua grazia dei sette doni disimpegnino con fedeltà il loro ministero". (Orazione consacratoria). Una volta rivestiti con la stola e la dalmatica, ricevono dalle mani del vescovo uno dopo l’altro il Santo Vangelo con queste parole: "Ricevi il Vangelo di Cristo di cui sei stato costituito messaggero; converti in fede viva quello che leggi, e quello che è diventato fede viva in te, insegnalo e compi quello che hai insegnato" (Rito Ordini).
È importante sottolineare il parallelismo fra i due riti di ordinazione, quello episcopale e quello diaconale, in tutto ciò che fa riferimento alla consegna del Vangelo. In entrambe si conferisce lo Spirito Santo affinché infiammi la predicazione del Vangelo. Non è una semplice coincidenza. Nelle ordinazioni episcopali, presbiterali e diaconali del rito bizantino si utilizza lo stesso (identico) testo consacratorio per le tre ordinazioni, inserendo le parole di "vescovo", "presbitero" o "diacono" secondo convenienza. Abbiamo fatto già riferimento al mistero della sacramentalità del ministero apostolico, il cui punto di partenza è la continuazione della missione di Cristo. Il Vescovo, successore degli apostoli, gode dell’ufficio di annunziare il Vangelo. I presbiteri dividono quest’ufficio con il Vescovo. Ma i diaconi, che non ricevono l’ordinazione sacerdotale, ricevono nella ordinazione diaconale, come ministri di Cristo Servo, l’ufficio di predicare il Vangelo e di annunziarlo all’assemblea. Inoltre il diacono deve convertirlo in fede viva, insegnarlo e compierlo.
Così come l’episcopato è la pienezza del sacerdozio, è anche pienezza del diaconato. In alcuni giorni speciali, durante l’Eucaristia, il Vescovo indossa la dalmatica al di sotto della casula, e nella Messa della Cena del Signore lava i piedi indossando la dalmatica come Cristo servo.
La Parola di Dio sulla bocca del diacono
L’essere umano, in riferimento alla sua crescita e guardando l’evoluzione socio-biologica, quando nasce, la prima cosa che fa è respirare per poter vivere. Più tardi, deve essere vivo quando pensa. Ma, per comunicare il pensiero è necessario parlare e per poter parlare dobbiamo essere vivi e respirare. Senza il respiro non soltanto non c’è la vita, ma senza il respiro non si parla: non si può bloccare la respirazione e contemporaneamente parlare. La parola o se pronuncia nel respiro o semplicemente non si parla.
Nell’ordine sacramentale, la parola si fa uomo nello Spirito
Santo. Diciamo che la Madre di Dio concepì "per opera e grazia" dallo Spirito Santo. Ella disse Fiat, sia fatto! Fiat che, pieno dallo Spirito Santo, annuncia la nuova creazione. Maria concepì nella mente e nel cuore, come anche nel suo seno materno perché lo Spirito Santo è la vitalità stessa, il Santo Immortale, l’alito divino e senza di lui nessuna creatura può esistere, e tantomeno può concepire la parola di Dio nella sua mente e predicarla con la bocca con efficacia. Nelle ali dello Spirito dimora la Parola che estende il Regno di Dio finché faccia nuove tutte le cose (Ap 21,5).
Santo. Diciamo che la Madre di Dio concepì "per opera e grazia" dallo Spirito Santo. Ella disse Fiat, sia fatto! Fiat che, pieno dallo Spirito Santo, annuncia la nuova creazione. Maria concepì nella mente e nel cuore, come anche nel suo seno materno perché lo Spirito Santo è la vitalità stessa, il Santo Immortale, l’alito divino e senza di lui nessuna creatura può esistere, e tantomeno può concepire la parola di Dio nella sua mente e predicarla con la bocca con efficacia. Nelle ali dello Spirito dimora la Parola che estende il Regno di Dio finché faccia nuove tutte le cose (Ap 21,5).
Abbiamo visto come, quando il Vescovo ordinante procede alla "traditio istrumentorum" dell’ordinazione diaconale, risuonano le parole "sei stato costituito messaggero" del Vangelo di Cristo. Il testo latino dice: "Accipe Evangelium Christi, cuius praeco effectus es…". La parola da sottolineare è praeco. (Conosciamo l’ufficio di banditore. Il verbo "predicare"; nella notte santa della Pasqua, il diacono annuncia il "praeconium pascale" e diciamo che un vescovo si preconizza, cioè, si costituisce, si annuncia). Il diacono, mediante l’ordinazione, si trasforma nel praeco del Vangelo. Il testo spagnolo traduce "messaggero". Il testo inglese "herald". La traduzione inglese è più felice perché implica l'incarico ufficiale di annunciare. Gli apostoli furono mandati da Cristo, che è la persona che invia ed è stato rappresentato come messaggero: Shaliah nel Nuovo Testamento significa che l’inviato rap-presenta chi invia. Il Diacono partecipa di quest’ufficio.
Il diacono, dal momento della sua ordinazione riceve dal Vescovo, successore degli apostoli, l’imperativo di annunciare il Vangelo. Questo porta in sé un cambiamento nel più profondo del suo essere. Nella persona del diacono il soffio dello Spirito Santo si unisce adesso al suo respiro fisico affinché quello che lui predica ed insegna non sia mera voce umana. Da questo momento la predicazione e l’insegnamento del diacono deve essere la voce di Cristo, vero Dio e vero uomo.
Formazione
Dal punto di vista meramente umano, affinché il diacono sia uno strumento in cui risuoni la parola di Dio è necessario che egli riceva formazione sia umana che spirituale, sia teologica che pratica: l’arte di parlare in pubblico, di predicare e di insegnare. Come catechista deve conoscere la Bibbia, non a misura di professore ma per poterla vivere e mettere in pratica nelle varie occasioni della vita dei fedeli. Certamente il ministero della parola porta in sé l’implicito obbligo di conoscere il Vangelo, di proclamarlo, viverlo e diffonderlo.
Lo Spirito dei sette doni che si conferisce mediante l’ordinazione è quello di intelligenza, consiglio e fortezza, scienza, pietà e santo timore di Dio (Is. 11, 2-4). Lo Spirito agisce sulla natura umana. Perciò la formazione è importante affinché i doni trovino un terreno fecondo nel diacono.
Da sottolineare che molti diaconi lavorano nella catechesi battesimale e matrimoniale. In questo non si esaurisce l’attività diaconale. Il diacono, ministro della parola, incarna questa stessa nel ministero della liturgia e della carità.
Il Ministero della liturgia
Il diacono manifesta presso la Chiesa la sua diakonía quando la riassume sacramentalmente nella liturgia. Le sue azioni e il suo agire liturgico sono parti integranti della stessa e non soltanto addobbi. Nella liturgia ogni cristiano ha il diritto e il dovere di dare la sua partecipazione in maniera diversa… "Ognuno, ministro o semplice fedele, al momento di svolgere il proprio ufficio, farà tutto e solo quello che gli corrisponde" (SC n.28). Ricordiamo che la Chiesa e la liturgia non sono realtà separate; la Chiesa, sia sotto l’aspetto particolare che universale, si trova presente nella liturgia, che è il suo sacramento. Non esiste la Chiesa senza la liturgia e neanche la liturgia senza la Chiesa. La Chiesa Universale sussiste e partecipa di essa per mezzo della liturgia. Se siamo cattolici, membra vive della Chiesa Universale, lo siamo in quanto celebriamo ed entriamo nella sua piena realtà.
È molto importante che il diacono conosca il suo ufficio nella liturgia; che abbia l'intelligenza delle rubriche e la flessibilità per potersi adeguare alle diverse circostanze come quelle delle differenti interpretazioni che tante volte sono tali a seconda delle parrocchie. Il diacono è responsabile di fronte alla Chiesa, presente nell’assemblea del culto, di un buon servizio, facendo tutto e solo quel che li corrisponde. Nell’altare deve essere il portavoce delle preghiere e delle necessità dei fedeli. Così proclamerà al popolo il Vangelo e pronuncerà le preghiere proprie del suo ufficio.
Servire senza presiedere
Ci sono persone che tendono a circoscrivere la funzione liturgica del diacono al sacramento del battesimo e del matrimonio, e ad altre cose che il diacono "può" fare, dimenticando l’ufficio che definisce il diaconato, cioè servire senza presiedere, facilitando e senza oscurare gli altri ministri. Il diacono serva l’assemblea, il celebrante ed altri ministri avendo cura di tutto, senza che nessuno se ne accorga.
Il diacono "aiuta" sia all'interno che al di furori della liturgia. Nelle cerimonie "assiste i sacerdoti e rimane sempre accanto loro; sull’altare serve il messale e il calice; se non ci sono altri ministri, compie le funzioni loro assegnate secondo le necessità" (Norme sul Messale Romano, 127). Quello che si afferma della Messa si afferma degli altri riti della Chiesa.
Il diacono che deve assistere il celebrante, deve sapere "quando", "come" e "perché" di tutto quello che il celebrante fa o dice in quel momento. Il diacono sia "il braccio destro del celebrante" con dignità, umiltà ed efficacia. Se non svolge con intelligenza il proprio ufficio, si può dire che "dà fastidio" e blocca la fluidità delle cerimonie.
Nell’introduzione all’edizione spagnola dell’Ordinazione Generale del Messale Romano-Spagna (Andrès Pardo, OSB. Consorcio de Editores, 1978) sta scritto che "il vero maestro o direttore della celebrazione deve essere un ministro che abbia una funzione all’interno di essa, deve essere il diacono, che non può rimanere come figura meramente decorativa e come colui che accompagna il celebrante principale" (Parte introduttiva del Messale Romano. Spagna).
Se quello che ho detto è vero possiamo chiederci perché la maggioranza dei diaconi attuali hanno un agire limitato nella liturgia romana. Adesso è necessario considerare le cause e circostanze che hanno contribuito a questa inerzia diaconale. Ove possibile, lo faremo in ordine cronologico.
In primo luogo: anche se il diaconato cessò quasi completamente nel corso di un millennio nella Chiesa di occidente, la liturgia latina ha mantenuto vivo l’ufficio diaconale in tutte le cerimonie della Chiesa. Certamente, il diaconato non si estingue all’interno della Chiesa. Ma, poiché la maggioranza delle volte non c'erano diaconi, il loro ufficio fu svolto dai presbiteri, indossando la dalmatica. Le riforme del Concilio Vaticano II hanno proibito che i presbiteri indossassero i paramenti propri dell’ordine diaconale, ma lasciarono che, in assenza del diacono, i presbiteri indossassero i paramenti sacerdotali, potendo esercitare l’ufficio diaconale soprattutto nelle celebrazioni presiedute dal vescovo.
"I presbiteri che partecipano alle celebrazioni episcopali facciano soltanto quello che tocca loro; se non ci sono diaconi, li sostituiscano ma senza indossare le vesti diaconali" (Cerimoniale dei Vescovi. Promulgato dal Papa Giovanni Paolo II. Consiglio Episcopale Latinoamericano 1991, nº 21 e 22).
Sono passati dieci anni tra la fine dell’antica Messa Solenne, con diacono e suddiacono, e la restaurazione dell’ordine del diaconato. Pare che questo lasso di tempo sia stato sufficiente affinché la comunità ecclesiale dimenticasse la "messa di tre sacerdoti" con un ministero diaconale così intenso. Tornarono i diaconi, ma il loro ufficio della liturgia era già sconosciuto da molti oppure si vedeva come realtà molto ridotta. Quello che non successe in un millennio, successe in dieci anni. Certamente le rubriche dei riti rinnovati furono poche. Soltanto con la promulgazione del nuovo Cerimoniale dei Vescovi del 1991 si sono chiariti tanti punti oscuri o erroneamente interpretati. Perciò dobbiamo consultare il Cerimoniale.
In secondo luogo: con la riforma post-conciliare si stabilì formalmente la partecipazione laicale a tante funzioni liturgiche (cf. Direttorio, nº 41) che ebbero origine prime del pontificato di Papa Giovanni XXIII, in quello che si chiamava la "messa dialogata" (in essa il popolo rispondeva in latino tutto ciò che prima toccava al chierichetto e anche recitava l’ordinario in latino assieme al celebrante) come anche nella "messa comunitaria" (in essa il popolo cantava una parafrasi vernacola dell’Ordinario della Messa) che il movimento liturgico aveva sostenuto. Così, per esempio, si formalizzò il termine Orazione Universale dei fedeli. In mancanza del diacono e non essendoci un presbitero in dalmatica che esercitasse tale ufficio, le preghiere di questa Orazione Universale furono consegnate al laico. Oggi questo modo di agire è molto diffuso anche se, come ben sappiamo, il ministro idoneo sia il diacono, così com’è stabilito dalle rubriche (C.E. 25).
Come accade con l’Orazione Universale succede anche con altre funzioni che sono propriamente diaconali. Per esempio, proclamare le monizioni al popolo (Cerimoniale dei Vescovi, 26), servire il celebrante sull’altare sia col libro che con il calice (ibd. 25).
In terzo luogo: Il diaconato si restaura in un mondo che non ne conosce il significato. Di più, quando un diacono arriva a una parrocchia che non ha avuto mai questo ministero, pare che questi "toglie" o "ruba" ministeri ad altre persone, per esempio, al celebrante, al monitore, all'incensiere, ai chierichetti, ai ministri straordinari della comunione, e così ad altri per sottolineare quelli che servono nella messa. La sua presenza pare sia una minaccia ad altri ministeri recentemente istituiti ma ormai antichi che appaiono già come tradizionali. Allora qualcuno dice: "questo è stato fatto sempre dal lettore, perché deve farlo adesso un diacono?"
Bisogna ricordare che nella Messa Solenne il celebrante leggeva a voce bassa l'Introito, il Kyrie, il Gloria, l'Epistola, il Graduale, l'Alleluia, il Vangelo, il Credo, l’Antifona dell’Offertorio, il Sanctus, l'Agnus Dei e l’Antifona della comunione, soltanto per descrivere alcune parti della messa. Così faceva il celebrante mentre il coro e il popolo cantavano in latino le proprie parti e il suddiacono leggeva l’epistola. Il Vangelo era letto dal celebrante a voce bassa e poi il diacono (presbitero rivestito con la dalmatica) proclamava solennemente il Vangelo. Alcuni liturgisti pensarono che l’azione del celebrante era l’unica necessaria e che le funzioni degli altri ministri e del popolo erano superflue. L’importante era che il sacerdote facesse tutto. Perciò la Costituzione sulla Sacra Liturgia ripetete un principio molto antico ma dimenticato: "ognuno, ministro o semplice fedele, farà tutto ciò che a lui è proprio quando compie il suo ufficio" (SC, 28).
Svolgendo il suo incarico nella liturgia, il diacono deve compiere il suo ufficio e solo il suo ufficio. Per agire in questo modo, il diacono deve conoscere bene il proprio ufficio. Anzi, quello che si dice del diacono si dice allo stesso modo del presbitero e degli altri ministri. Ancora ci sono celebranti che non capiscono la presenza liturgica del diacono che serve senza presiedere. Ancora purtroppo si sente questa espressione: "chierichetto glorificato".
In quarto luogo: nella pratica è sopravvissuto al rinnovamento conciliare del Vaticano II un ministro che non è presente in nessuna delle rubriche e istruzioni e orientamenti dei riti attuali: cioè, il Maestro delle Cerimonie; pare che oggi il cerimoniere adopera una autorità tale che tende ad oscurare l’ufficio degli altri ministri, in modo speciale il diacono.
Il Cerimoniale dei Vescovi propone la necessità del maestro delle cerimonie, che abbia come compito di coordinare, organizzare, dirigere le cerimonie come preparazione delle medesime. Ma nel numero 35 si dice: "coordini opportunamente con i cantori, assistenti, ministri e celebranti tutto ciò che si deve fare o dire. Durante la celebrazione il cerimoniere deve agire con il massimo riservo, non dica niente superfluo, non si deve mettere al posto dei diaconi e di coloro che servono e assistono il celebrante". Bisogna sottolineare che il cerimoniale parla di lui soltanto nei numeri 34 – 37 dei 1210 numeri in totale.
Io, come vescovo, posso dire con tutta sincerità che per il vescovo è molto pratico avere un cerimoniere accanto che conosca esattamente il "come" e il "perché" di tutto ciò di cui c’è bisogno, sia nelle celebrazioni in duomo, sia nelle chiese; una persona così facilita tutto, dà fiducia al vescovo, e così si fa una bella figura. Credo che non solo un diacono (come indica il numero 36 del Cerimoniale) può fare il cerimoniere, ma penso che il vescovo può scegliere un certo numero di diaconi affinché siano i suoi "familiari" e che sempre possano svolgere l’ufficio due diaconi "assistenti" (prima si chiamavano diaconi d’onore) uno alla sua destra e l’altro alla sinistra. Questi diaconi "assistenti" si occupano della persona del Vescovo (n. 26). Quando il vescovo va in visita ad una chiesa porta con sé i suoi "assistenti" che sanno molto bene il loro ufficio; per esempio, il momento della mitria, del pastorale, del messale, dell'incenso, dell'acqua santa, etc., mentre quei diaconi (o diacono) che agiscono come "ministranti" sono coloro che svolgono il loro ufficio come si svolge in tutte le messe, cioè proclamare il vangelo, servire il calice e il messale. Anche sono i "ministranti" coloro che si recano all'ambone e leggono la Preghiera Universale e le monizioni (n. 25 e 26). Come ho detto prima, ci sono vari carismi fra i diaconi e alcuni saranno più idonei per servire come "assistenti" del vescovo, altri, i "ministranti" possono svolgere le funzioni che sono loro proprie.
Dobbiamo chiedere al Signore che conceda la tregua, la proverbiale pace di Dio, in cui i maestri delle cerimonie e i diaconi possano arrivare ad un abbraccio di pace e concordia, d’amore e di rispetto mutuo.
Esistono altre ragioni e circostanze che contribuiscono affinché il diacono si veda come diminuito dal proprio ufficio e venga ridotto ad un personaggio passivo nella liturgia. C’è bisogno che i fedeli e anche i membri del clero – includendo anche alcuni diaconi – siano catechizzati sull’identità e l’ufficio del diacono. Nella mente di tante persone si passa dal laicato al presbiterato. Si parla molto dei ministri ecclesiali laicali. Dove mettere i diaconi? Che si ascolti di più nelle orazione dei fedeli: "per le vocazioni sacerdotali, diaconali e di vita religiosa". Il diacono è anche "chiamato" da Dio.
La Carità
Innanzitutto chiarire una cosa: ci sono coloro che riducono il diaconato al ministero della carità e questo ministero viene ristretto alla sola azione sociale. Questo è un pericolo di cui dobbiamo tener conto per non cadere in un concetto molto limitato sul diaconato. Esistono diaconi che hanno uno speciale carisma per il ministero dell’azione sociale all'interno della carità, ma il diaconato non si può ridurre solamente all’azione sociale. Ci sono diaconi che sono stati formati per l’azione sociale e credono che tutto il resto rimane in un secondo o terzo posto. Si dice anche che il diacono non deve servire all'altare. Il diaconato non si può né si deve ridurre al servizio sociale.
L’altra faccia
Quando si nomina la carità subito viene in mente l’amore, "Dio è amore" (1 Gv 4,16). È una soddisfazione pensare che il diacono sia ministro d’amore perché l’amore si trova al centro della vita cristiana: ubi caritas est vera, Deus ibi est, che significa "dove c’è vera carità lì c’è Dio". Oltre il ministero della parola e quello liturgico, è compito del diacono il "ministero della carità". A questo ministero si riferisce l’elezione del "primi diaconi" fatta dagli apostoli, fra i quali si trovava Santo Stefano. Dalla situazione presentata negli Atti 6, si vede come il diacono è chiamato a questo ministero: l’amministrazione della carità; la sollecitudine per i bisognosi fu sempre parte integrante dell’ufficio diaconale finche esisterono in occidente. San Lorenzo, arcidiacono di Roma è martire della carità ed è anche il patrono dei diaconi impegnati in modo particolare verso quest’ufficio d’amore per i più poveri, che sono il tesoro più grande della Chiesa.
La Chiesa avrà sempre un luogo preferenziale per i poveri e i bisognosi. La diakonia della carità è responsabilità di tutta la Chiesa. Il fatto che nella persona del diacono questo servizio sia legato sacramentalmente alla proclamazione della parola e alla celebrazione della liturgia, dimostra che la carità, a cui tutti i cristiani sono stati chiamati, ha la sua origine in Cristo nel mistero della sua incarnazione, morte e risurrezione. Quest’ufficio che l’ordine episcopale affida al diacono in maniera speciale è un diritto ed un dovere del diacono (Cfr. Decreto Apostolicam actuositatem, 8). È un tesoro che il diacono possiede, tesoro istituito dagli apostoli. Se la moderna società cancellasse completamente la povertà, sempre ci sarà posto per la carità, e lì ci sarà il diacono.
Si dice che la carità comincia all’interno della propria casa. Il diacono dia l’esempio nella sua casa e nella sua famiglia. Dia esempio mediante la sua vita quotidiana. Anche a mezzo della sua predicazione del vangelo che deve essere con le parole e le opere. Dia esempio mediante l’ufficio liturgico, ricco in carità ed amore. Si nutra con l’orazione personale ed intima.
L’incontro con Dio, che è amore, porta all'incontro amoroso con il prossimo. Perciò il diacono deve conoscere le necessità dei fedeli ed esse devono includersi all’interno dell’Orazione Universale nella liturgia della messa e delle Ore come anche nella sua preghiera personale. Aggiunga anche le necessità dei fratelli diaconi e di tutto il clero. Presenti le necessità del prossimo presso la gerarchia e abbia coscienza di tutte le necessità materiali, spirituali e culturali, di pietà e delle tradizioni popolari, cioè di tutte le necessità umane.
Eserciti la carità soprattutto con i presbiteri. Dia appoggio morale e spirituale al vescovo. Faccia così anche quando lui non riceve degli altri chierici l’appoggio di cui ha bisogno. Ricordi le parole del Maestro: "Il Figlio dell’Uomo è venuto per servire e non per essere servito" (Mc. 10,45). La generosità del diacono verso il suo vescovo e verso i presbiteri deve essere l’imitazione della generosità del diacono Gesù Cristo.
Chiedo ai miei fratelli nell’episcopato che diano tutte le facilitazioni ai diaconi affinché siano loro accessibili quelle istituzioni che richiedono la loro presenza amorosa. Penso agli ospedali e alle carceri dove talvolta i governi danno poche possibilità di essere presenti.
Cerchi il diacono quelle agenzie pubbliche e private come anche comunità religiose che abbiano come scopo l’aiuto nelle diverse necessità umane. In questa maniera il diacono sarà ponte di contatto con queste agenzie e anche cooperatore con esse.
Dia formazione adeguata alle associazioni e gruppi laicali, specialmente quelli giovanili, affinché, pieni dell’amore di Cristo, visitino ed aiutino i bisognosi e lavorino in favore dei poveri.
Per ultimo, il diacono è agente di giustizia e di pace giacché mediante il suo ufficio di carità diviene responsabile nel promuovere sempre la ricerca del Regno di Dio e della sua giustizia. Il diacono è stato ordinato e consacrato per essere sacramento, segno vivo ed efficace del ministero e del servizio di Cristo nella Chiesa. Il diacono deve sempre ricordare che lui è il segno visibile di Cristo Servo in questo mondo.
La "opzione preferenziale per i poveri"
Per questo mezzo e di fronte alle vittime dell’ingiustizia, la Chiesa cerca di rendere testimonianza della solidarietà, che è il frutto dell’incontro con Gesù, segnalando che questa solidarietà non è qualcosa di "aggiunto" alla vita della fede, ma la sua conseguenza dentro al terreno della storia della conversione e della comunione create da questo incontro. Cioè, la diaconia della carità è inseparabile della diaconia della parola e della liturgia giacché gode della stessa origine che esse godono nel mistero pasquale.
Mi pare che il diacono, ministro dell’altare, è la privilegiata rappresentazione del rapporto tra Eucaristia (conversione e comunione) e la lotta per la giustizia sociale.
Per centinaia di anni i diaconi furono gli amministratori dei beni temporali delle comunità cristiane ed ebbero cura delle opere di carità. Il patrono dei diaconi, Santo Stefano, è un esempio. Adesso voglio ricordare che anche Santo Stefano è un esempio sublime della diaconia: l’incaricato dell’amministrazione dei beni tra gli apostoli fu Giuda Iscariota… perciò, il modello supremo del diacono deve essere Cristo e solo Cristo: Cristo Servo del Padre, Redentore dell’umanità. Nella sua "amministrazione", il diacono deve essere cosciente di chi è il modello e chi sono coloro a cui serve: Cristo Capo e la Chiesa suo corpo. Che non sia lui, ma Cristo Colui che vive nel diacono perché "queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte, più grande è la carità" (1 Cor. 13,13).
Triplice ministero: Conclusione
Abbiamo finito vedendo separatamente i tre uffici del triplice ministero del diacono, adesso manca di sottolineare il fatto di che esistono carismi speciali in tal modo che un diacono può sfruttare meglio un piuttosto che un altro. Così è la natura umana. Ma questo non significa che la Chiesa debba ordinare diaconi che siano soltanto predicatori, o liturgisti, o diaconi che siano soltanto elemosinieri. Questi uffici non si escludono vicendevolmente. Sono tre uffici concentrici che il diacono deve svolgergli secondo la sua chiamata e con un senso di proporzione e, soprattutto, nella persona di Cristo.
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