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lunedì 28 settembre 2015

Il Papa saluta l'America e lancia un appello «Difendete la famiglia, qui si gioca il futuro»

di Massimo Introvigne                                          27-09-2015
La folla a Philadelphia saluta papa FrancescoDomenica 27 settembre 2015 il Papa ha concluso a Filadelfia il suo viaggio negli Stati Uniti. Prima della Messa nella nottata italiana che ha concluso di fronte a un milione di persone l’Incontro mondiale delle famiglie, Francesco aveva visitato sabato 26 lo storico Independence Mall, celebrando la libertà religiosa, e iniziato con una veglia di preghiera il suo dialogo con il popolo delle famiglie. Poi, domenica, gli incontri con i vescovi e con i detenuti dell’Istituto di correzione Curran-Fromhold. Nella città della Rivoluzione americana il Papa ha riaffermato con parole particolarmente forti l’impegno della Chiesa per la libertà religiosa, che non è solo libertà di culto ma diritto delle religioni a essere parte integrante della società e della cultura, e per la famiglia, senza la quale- ha detto – la società si corrompe e la stessa Chiesa non esisterebbe.
All’Independence Mall, il luogo – ha detto il Pontefice – dove «le libertà che definiscono questo Paese sono state proclamate per la prima volta», Francesco ha ricordato «le grandi lotte che hanno portato all’abolizione della schiavitù,
all’estensione del diritto di voto, alla crescita del movimento dei lavoratori, ed allo sforzo progressivo per eliminare ogni forma di razzismo e di pregiudizio diretti contro le ondate successive di nuovi americani». Fare memoria del passato è importante. «Un popolo che ricorda non ripete gli errori del passato; al contrario, guarda fiducioso le sfide del presente e del futuro. La memoria salva l’anima di un popolo da tutto ciò o da tutti coloro che potrebbero tentare di dominarla o di utilizzarla per i loro interessi». Gli Stati Uniti hanno messo al centro della loro Costituzione, ha ricordato il Papa, «il diritto alla libertà religiosa» come «diritto fondamentale». I padri fondatori della nazione americana sapevano che la libertà religiosa è più della semplice libertà di culto. «La libertà religiosa implica certamente il diritto di adorare Dio, individualmente e comunitariamente, come la propria coscienza lo detta. Ma la libertà religiosa, per sua natura, trascende i luoghi di culto, come pure la sfera degli individui e delle famiglie. Perché il fatto religioso, la dimensione religiosa, non è una subcultura, è parte della cultura di qualunque popolo e qualunque nazione».
La libertà religiosa richiama «la dimensione trascendente dell’esistenza umana e la nostra irriducibile libertà di fronte ad ogni pretesa di qualsiasi potere assoluto». La storia mostra le «atrocità perpetrate dai sistemi che pretendevano di costruire questo o quel ‘‘paradiso terrestre’’ dominando i popoli, asservendoli a principi apparentemente indiscutibili e negando loro qualsiasi tipo di diritto», a partire dalla libertà di religione. Se cade la libertà religiosa, ha detto Francesco citando lo storico gesuita francese Michel de Certeau, non c’è più difesa contro quella «uniformità che l’egoismo del forte, il conformismo del debole, o l’ideologia dell’utopista potrebbero cercare di imporci».
La voce del Papa si è levata per denunciare «un mondo dove le diverse forme di tirannia moderna cercano di sopprimere la libertà religiosa, o – come ho detto prima – cercano di ridurla a una subcultura senza diritto di espressione nella sfera pubblica, o ancora cercano di utilizzare la religione come pretesto per l’odio e la brutalità». Dietro alla negazione della libertà religiosa si nasconde la «globalizzazione del paradigma tecnocratico» che «mira consapevolmente a un’uniformità unidimensionale». Francesco ha ricordato l’impegno per la libertà religiosa dei «Quaccheri che hanno fondato Filadelfia» e delle altre comunità che hanno contribuito alla formazione degli Stati Uniti. Oggi i loro ideali sono minacciati da una certa idea della globalizzazione. «La globalizzazione – ha affermato Francesco – non è cattiva. Anzi, la tendenza a globalizzarci è buona, ci unisce. Ciò che può essere negativo è il modo di realizzarla. Se una globalizzazione pretende di rendere tutti uguali, come se fosse una sfera, questa globalizzazione distrugge la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo. Se una globalizzazione cerca di unire tutti, ma rispettando ogni persona, la sua ricchezza, la sua peculiarità, rispettando ogni popolo, con la sua ricchezza, la sua peculiarità, questa globalizzazione è buona e ci fa crescere tutti».
Al popolo delle famiglie, nella veglia di preghiera, il Papa ha detto che «una società cresce forte, crescebuona, cresce bella e cresce vera se si edifica sulla base della famiglia». La Trinità stessa è una famiglia. La creazione ha affidato la Terra a una famiglia. «Tutto l’amore che Dio ha in sé, tutta la bellezza che Dio ha in sé, tutta la verità che Dio ha in sé, la consegna alla famiglia». La narrazione del Paradiso Terrestre ci mostra anche «l’astuzia del demonio», che vuole distruggere il disegno di Dio sulla famiglia. «Tra queste due posizioni camminiamo noi oggi. Sta a noi scegliere, sta a noi decidere la strada da seguire». Anche Gesù «è entrato nel mondo in una famiglia. E ha potuto farlo perché quella famiglia era una famiglia che aveva il cuore aperto all’amore, aveva le porta aperte». A Filadelfia, ha detto il Pontefice, «siamo alla festa delle famiglie. La famiglia ha la carta di cittadinanza divina. E’ chiaro? La carta di cittadinanza che ha la famiglia l’ha data Dio perché nel suo seno crescessero sempre più la verità, l’amore e la bellezza». Certo, nelle famiglie ci sono le difficoltà, c’è la croce. «Ma nelle famiglie, dopo la croce, c’è anche la risurrezione, perché il Figlio di Dio ci ha aperto questa via. Per questo la famiglia è – scusate il termine – una fabbrica di speranza, di speranza di vita e di risurrezione».
Il Papa ha raccomandato soprattutto alle famiglie «i bambini e i nonni. I bambini e i giovani sono il futuro, sono la forza, quelli che portano avanti. Sono quelli in cui riponiamo la speranza. I nonni sono la memoria della famiglia. Sono quelli che ci hanno dato la fede, ci hanno trasmesso la fede. Avere cura dei nonni e avere cura dei bambini è la prova di amore, non so se più grande, ma direi più promettente della famiglia, perché promette il futuro. Un popolo che non sa prendersi cura dei bambini e un popolo che non sa prendersi cura dei nonni è un popolo senza futuro, perché non ha la forza e non ha la memoria per andare avanti».
Incontrando i vescovi che partecipano all’Incontro mondiale delle famiglie, Francesco è tornato sulla questione dei preti pedofili, confidando di essere «continuamente perseguitato dalla vergogna». «Dio stesso piange»: «la Chiesa protegge i minori; i responsabili ne renderanno conto». I preti pedofili hanno rischiato di spezzare l’alleanza fra Chiesa e famiglie, che non è un dettaglio ma il centro della missione. «Senza la famiglia, ha affermato il Papa, anche la Chiesa non esisterebbe». Oggi riaffermare questa verità è difficile, di fronte a «una cultura che sembra stimolare le persone a entrare nella dinamica di non legarsi a niente e a nessuno», stimola i consumi e crea nuove solitudini, Inseguendo un «mi piace o l’aumento degli ‘amici’ sui social network le persone seguono la proposta della società contemporanea, in una solitudine timorosa dell’impegno e in una ricerca sfrenata di sentirsi riconosciuti».
Le cose vanno male? È vero. Ma i vescovi non possono limitarsi al lamento. Occorre andare a cercare i giovani, annunciando loro il Vangelo della famiglia, e qualche volta ponendo loro la domanda scomoda: «Perché non ti sposi?». «A Buenos Aires – ha raccontato il Papa – quante madri si lamentavano: mio figlio di trent’anni non si sposa, non so cosa fare. Signora – era la risposta – smetta di stirargli le camicie…». Il vescovo, come il sacerdote «rinuncia agli affetti familiari per destinare tutte le sue forze alla benedizione evangelica degli affetti di un uomo e di una donna che danno vita al disegno della creazione di Dio». Dunque «la Chiesa ha bisogno della famiglia e la famiglia della Chiesa», senza dimenticare le «situazioni ferite, perdute, abbandonate, devastate, private della loro dignità», cu cui i vescovi devono chinarsi con particolare amore. Ai detenuti il Papa ha ricordato l’episodio evangelico della lavanda dei piedi. Lì vediamo come Gesù «ci cerca, vuole guarire le nostre ferite, curare i nostri piedi dalle piaghe di un cammino carico di solitudine, pulirci dalla polvere che si è attaccata per le strade che ciascuno ha percorso». Gesù «non ci chiede dove siamo andati, non ci interroga su che cosa stavamo facendo»: «viene incontro a noi per calzarci di nuovo con la dignità dei figli di Dio». «Vivere comporta “sporcarsi i piedi” per le strade polverose della vita, e della storia. E tutti abbiamo bisogno di essere purificati, di essere lavati».
Il Pontefice denuncia i «sistemi penitenziari che non cercano di curare le piaghe, guarire le ferite, generare nuove opportunità. È doloroso riscontrare come a volte si crede che solo alcuni hanno bisogno di essere lavati, purificati, non considerando che la loro stanchezza, il loro dolore, le loro ferite sono anche la stanchezza, il dolore, e le ferite di tutta una società». Lo scopo legittimo della pena e della reclusione è «tendere la mano per riprendere il cammino, tendere la mano perché aiuti al reinserimento sociale». Del resto, «tutti abbiamo qualcosa da cui essere puliti, purificati. Tutti. Che tale consapevolezza ci risvegli alla solidarietà tra tutti, a sostenerci e a cercare il meglio per gli altri».

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