Dal commento alle opere di misericordia spirituale fatto dal cardinale Giacomo Biffi al Congresso eucaristico di Siena nel giugno del 1994 (messo in rete dal sito conciliovaticanosecondo.it), riproponiamo alcuni estratti:
di Giacomo Biffi
1. Istruire gli ignoranti
2. Consigliare i dubbiosi
3. Ammonire i peccatori
4. Consolare gli afflitti
5. Perdonare le offese
6. Sopportare pazientemente le persone moleste
7. Pregare Dio per i vivi e per i morti
2. Consigliare i dubbiosi
3. Ammonire i peccatori
4. Consolare gli afflitti
5. Perdonare le offese
6. Sopportare pazientemente le persone moleste
7. Pregare Dio per i vivi e per i morti
[…]
AMMONIRE I PECCATORI
Il peccato agli occhi della fede, è la peggior disgrazia che possa capitarci. Dare una mano al fratello
perché se ne liberi, significa volergli bene davvero. “Chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore – scrive l’apostolo Giacomo – salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati” (Gc 5,20). E la Lettera ai Galati: “Quando uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso per non cadere anche tu in tentazione” (Gal 6,1). La correzione fraterna è però iniziativa delicata e non priva di rischi. Non bisogna mai perdere di vista la pungente parola del Signore: “Come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave?” (Mt 7,4). Così pregava a questo proposito sant’Ambrogio: “Ogni volta che si tratta del peccato di uno che è caduto, concedimi di provarne compassione e di non rimproverarlo altezzosamente, ma di gemere e piangere, così che mentre piango su un altro, io pianga su me stesso”. E sarà bene in ogni caso restar persuasi che “la miglior correzione fraterna è l’esempio di una condotta irreprensibile”. Nella valenza più universale e più sostanziosa, questa terza proposta di bene ci insegna che appartiene alla missione propria della Chiesa adoperarsi perché non si perda nella coscienza comune il senso di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. Secondo la suggestiva pagina che apre la sacra Scrittura, l’azione creatrice di Dio comincia con una distinzione tra la luce e le tenebre (cfr. Gen 1,4), così come l’inizio della catastrofe dell’uomo è dato dal miraggio di diventare come Dio padroni del bene e del male (cfr. Gen 3,5). Perché tutto non ricada nel caos primitivo e perché il suggerimento satanico non prosegua il suo avvelenamento dei cuori, bisogna senza scoraggiarsi chiarire agli uomini che solo la legge di Dio è la misura della moralità dei nostri atti e che distinguere il bene dal male è la premessa indispensabile per una vita che sia davvero umana. E questa è la terza misericordia della Chiesa.
Il peccato agli occhi della fede, è la peggior disgrazia che possa capitarci. Dare una mano al fratello
perché se ne liberi, significa volergli bene davvero. “Chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore – scrive l’apostolo Giacomo – salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati” (Gc 5,20). E la Lettera ai Galati: “Quando uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso per non cadere anche tu in tentazione” (Gal 6,1). La correzione fraterna è però iniziativa delicata e non priva di rischi. Non bisogna mai perdere di vista la pungente parola del Signore: “Come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave?” (Mt 7,4). Così pregava a questo proposito sant’Ambrogio: “Ogni volta che si tratta del peccato di uno che è caduto, concedimi di provarne compassione e di non rimproverarlo altezzosamente, ma di gemere e piangere, così che mentre piango su un altro, io pianga su me stesso”. E sarà bene in ogni caso restar persuasi che “la miglior correzione fraterna è l’esempio di una condotta irreprensibile”. Nella valenza più universale e più sostanziosa, questa terza proposta di bene ci insegna che appartiene alla missione propria della Chiesa adoperarsi perché non si perda nella coscienza comune il senso di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. Secondo la suggestiva pagina che apre la sacra Scrittura, l’azione creatrice di Dio comincia con una distinzione tra la luce e le tenebre (cfr. Gen 1,4), così come l’inizio della catastrofe dell’uomo è dato dal miraggio di diventare come Dio padroni del bene e del male (cfr. Gen 3,5). Perché tutto non ricada nel caos primitivo e perché il suggerimento satanico non prosegua il suo avvelenamento dei cuori, bisogna senza scoraggiarsi chiarire agli uomini che solo la legge di Dio è la misura della moralità dei nostri atti e che distinguere il bene dal male è la premessa indispensabile per una vita che sia davvero umana. E questa è la terza misericordia della Chiesa.
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PERDONARE LE OFFESE
Tra le inaudite indicazioni evangeliche questa è forse la più sorprendente “Se tuo fratello pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte al giorno ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai” (Lc 17,4). E’ già un’impresa difficile; ma almeno qui si tratta di un offensore che si scusa. In realtà, l’insegnamento complessivo di Cristo è più ampio e incondizionato: “Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati” (Mc 11,25). A questa scuola gli apostoli insegnano: “Non rendete a nessuno male per male (Rm 12,17); anzi, “benedite coloro che vi perseguitano” (Rm 12,14). E’ un linguaggio che abbiamo in orecchio e non ci impressiona più. Ma la sua attuazione pratica è lontanissima dalle consuetudini umane, nelle quali dominano i risentimenti e i rancori coltivati. Una delle cause più forti del malessere sociale è data proprio dall’imperversare dell’odio e delle vendette, che innescano una catena interminabile di rappresaglie e quindi di sofferenze. Di qui l’importanza della quinta misericordia che la Chiesa reca al mondo: l’incitamento a far prevalere in tutti la “cultura del perdono”. Ogni volta che viene celebrata l’Eucaristia si immette nella nostra storia di uomini un’energia di bene atta a fronteggiare nei cuori gli assalti sempre ricorrenti dello spirito di animosità e di rivalsa, perché ogni volta si riattualizza nel mistero il trionfo della redenzione e della clemenza divina sulla ripullulante malvagità umana.
Tra le inaudite indicazioni evangeliche questa è forse la più sorprendente “Se tuo fratello pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte al giorno ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai” (Lc 17,4). E’ già un’impresa difficile; ma almeno qui si tratta di un offensore che si scusa. In realtà, l’insegnamento complessivo di Cristo è più ampio e incondizionato: “Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati” (Mc 11,25). A questa scuola gli apostoli insegnano: “Non rendete a nessuno male per male (Rm 12,17); anzi, “benedite coloro che vi perseguitano” (Rm 12,14). E’ un linguaggio che abbiamo in orecchio e non ci impressiona più. Ma la sua attuazione pratica è lontanissima dalle consuetudini umane, nelle quali dominano i risentimenti e i rancori coltivati. Una delle cause più forti del malessere sociale è data proprio dall’imperversare dell’odio e delle vendette, che innescano una catena interminabile di rappresaglie e quindi di sofferenze. Di qui l’importanza della quinta misericordia che la Chiesa reca al mondo: l’incitamento a far prevalere in tutti la “cultura del perdono”. Ogni volta che viene celebrata l’Eucaristia si immette nella nostra storia di uomini un’energia di bene atta a fronteggiare nei cuori gli assalti sempre ricorrenti dello spirito di animosità e di rivalsa, perché ogni volta si riattualizza nel mistero il trionfo della redenzione e della clemenza divina sulla ripullulante malvagità umana.
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