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martedì 1 settembre 2015

Il martirio del beato Melki nel 1915 Storia di una persecuzione che continua a ripetersi

di Stefano Magni                              01-09-2015
Flaviano Michele MelkiFlaviano Michele Melki è stato proclamato Beato il 29 agosto, a Harissa, in Libano. E’ un nuovo martire riconosciuto, ucciso in odio alla fede un secolo fa. Il suo nome figura fra i 102mila assiri, eliminati fisicamente nel 1915 assieme a un milione e mezzo di armeni. Gli assiri vennero sterminati dall’Impero Ottomano nello stesso periodo del genocidio armeno e per le medesime ragioni: erano cristiani ed etnicamente non turchi, un “corpo estraneo” che i Giovani Turchi, allora al potere, volevano cancellare. La beatificazione di Melki, ora, è un messaggio di “consolazione, coraggio e speranza” ai cristiani del Medio Oriente e di altre parti del mondo che “anche oggi” sono perseguitati, come ha detto Papa Francesco nell’Angelus di domenica.
Vescovo siro-cattolico di Gazarta e Mardin, nella Turchia sudorientale, Melki non solo rifiutò il suggerimento di fuggire dalla Turchia, ma rientrò a Djezirah (Gazarta) per proteggere le vite dei fedeli in un momento di estremo pericolo. “Io verserò il sangue per le mie pecorelle”, disse prima di affrontare gli aguzzini. E il suo sangue fu versato il 29 agosto 1915, quando venne arrestato e ucciso assieme al vescovo caldeo Jacques Abraham. Venne torturato e sottoposto alla scelta di convertirsi all’islam o morire, infine fu decapitato dopo il suo deciso rifiuto di abiurare alla fede cristiana.
Il 29 agosto è il giorno del Martirio di San Giovanni Battista. E’ una storia, quella della persecuzione, che continua a
ripetersi. Lo stesso vescovo martire Melki, ordinato nel 1913, aveva alle sue spalle una storia di sofferenza e sangue: la sua chiesa e la sua casa erano state bruciate e sua madre uccisa nel corso dei grandi pogrom del 1895, tragico preludio al genocidio del 1915. La storia del suo martirio, nell’agosto di un secolo fa, getta una luce nuova quanto sinistra sulla natura dello sterminio voluto dai Giovani Turchi. Melki avrebbe potuto salvare la vita se si fosse convertito all’islam. Nel suo caso, dunque, fu persecuzione religiosa più ancora che etnica. Non a caso, il genocidio iniziò pochi mesi dopo la proclamazione ufficiale della Jihad (guerra santa) da parte delle massime autorità religiose dell’Impero Ottomano, nel novembre del 1914.
E’ una storia che continua a ripetersi anche oggi, quella della persecuzione dei cristiani ad opera degli jihadisti dell’Isis, negli stessi luoghi e purtroppo anche con protagonisti simili. Il patriarca Ignace Youssef III Younan, che ha presieduto la cerimonia di beatificazione, ha descritto l’evento a Radio Vaticana come “una consolazione che non si può descrivere, perché in questi tempi così difficili – per le sofferenze che patiamo, per le stragi che hanno luogo in Iraq e in Siria, per le violazioni dei diritti dell’uomo che vengono compiute, di fronte ai tanti cristiani che sono dovuti fuggire o sono stati rapiti – per noi questo è un segno di speranza e una grazia che ci è stata data dal Signore”. Quello in corso in Iraq e Siria è un nuovo genocidio, ad opera dei jihadisti dello Stato Islamico, come denuncia padre Douglas al Bazi. E anche in questo caso il ruolo della Turchia odierna, quella del governo islamico di Erdogan, è ambiguo quando non complice passivo. Quello compiuto dall’Isis è un tentativo di sradicare per sempre i cristiani dalle loro terre e di cancellare ogni traccia del cristianesimo. In Iraq non è rimasto più nessun cristiano a Mosul e nella piana di Ninive, per la prima volta nella storia di quel paese. Il patriarca si chiede che fine abbiano fatto famiglie di cristiani rapite a Qaryatayn, in Siria, lo scorso luglio: “Sono state massacrate? Forzate ad abiurare la loro fede? Vendute nel mercato degli schiavi? Non sappiamo nulla”. Nella cerimonia di beatificazione non sono stati dimenticati nemmeno i due vescovi di Aleppo, Youhanna Ibrahim (siro-cattolico)  e Boulos Yazigi (greco-ortodosso), dei quali non si hanno notizie da più di tre anni. Così come non si sa nulla di padre Paolo Dall’Oglio, rapito a Raqqa nel 2013 e di padre Jacques Mourad, rapito lo scorso maggio nell’antico monastero di S. Elian, ora completamente raso al suolo dall’Isis.
Mentre queste righe vengono scritte, continua l’avanzata dello Stato Islamico in Siria, così come la sua sistematica opera di distruzione. Non si hanno notizie precise sulla sorte toccata al tempio di Bel, a Palmira. I jihadisti lo hanno minato e dichiarano di averlo distrutto, nonostante fonti governative siriane abbiano almeno parzialmente smentito la notizia. Sull’avanzata dell’Isis sappiamo, invece (dall’Osservatorio per i Diritti in Siria) che le milizie sono giunte fino alla periferia di Damasco. L’offensiva del Califfo, dunque, punta al cuore del potere siriano, mira a impadronirsi dell’intero paese. La situazione è talmente critica che il pellegrinaggio della Madonna di Fatima a Damasco previsto per la settimana prossima, è stato rinviato a data da definirsi. Il rinvio è stato chiesto dal patriarca siriano greco-cattolico di Antiochia, Gregorio III Laham. “Essendosi aggravata molto la situazione a Damasco – scrive il patriarca - non è opportuno compiere il pellegrinaggio, tanto desiderato, della Madonna pellegrina di Fatima”. Gregorio III Laham chiede comunque di rimandare l’avvenimento ad un momento “più favorevole” e di non dimenticare i cristiani siriani nelle preghiere dei fedeli.

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