Commento al Vangelo della II Domenica di Avvento. Anno C -- 6 dicembre 2015
La Parola di Dio scende nel deserto, mentre la storia sembra incedere attraverso i capi delle nazioni, e le coordinate spazio-temporali sono quelle delineate dall'incipit del Vangelo di questa domenica. I grandi governano, ma la Parola di Dio sembra non curarsene, e scende nei bassifondi della storia, lontana dagli abbagli di chi crede di orientare gli eventi con la sua sola forza e intelligenza. La Parola plana nel deserto, nel luogo meno probabile secondo la sapienza della carne.
Ma Israele ne aveva già fatto esperienza. La Parola è scesa su Mosè nel deserto mentre sfuggiva alle guardie egiziane, ed era la risposta al grido di afflizione del Popolo. La Parola scende come lingue di fuoco e si fa Alleanza nel deserto, sul Monte Sinai, e sarà alleanza eterna, una promessa che nulla avrebbe mai potuto cancellare.
Nel deserto Dio ha parlato al suo Popolo, rincorrendo le sue mormorazioni e i suoi indurimenti. Perché il deserto è la verità sull'uomo, è la storia, e la storia, anche quando sembra innalzarsi superba, resta bene inchiodata ai suoi bassifondi.
Con il peccato Adamo ed Eva si sono infilati nella storia dalla porta della morte, della solitudine, dell'angoscia. Basta rileggersi il capitolo 3 della Genesi per rendersene conto, le Parole di Dio sono inequivocabili; esse dicono del dolore e del sudore, del dominio e della lotta, di una storia che si fa deserto per l'invidia del diavolo, di cui ne fanno esperienza coloro che gli appartengono.
"Vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il
deserto dell'abbandono, della solitudine, dell'amore distrutto. Vi è il deserto dell'oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell'uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi". Così parlava Benedetto XVI iniziando il suo ministero petrino, illuminando la nostra condizione.
deserto dell'abbandono, della solitudine, dell'amore distrutto. Vi è il deserto dell'oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell'uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi". Così parlava Benedetto XVI iniziando il suo ministero petrino, illuminando la nostra condizione.
Per questo la Parola scende su Giovanni Battista, il profeta che indicherà la Salvezza, proprio nel deserto, sulle rive del Giordano, laddove la superficie della terra scende al suo punto più basso. La Parola si fa profezia nelle parole di Giovanni per farsi carne in Colui che annunciava.
La Parola profetica e la Parola incarnata scendono entrambi alla fine del mondo, all'ultimo gradino compiuto dall'uomo, all'estremo deserto della sua anima. La Parola percorre, inaugurandolo, un catecumenato sino alle voragini della morte e del peccato, alla stessa schiavitù che strozza le nostre vite. In ebraico, per la durissima esperienza fatta dal Popolo d'Israele, la parola Egitto è arrivata ad essere sinonimo di deserto.
E' qui che scende anche oggi la Parola di Dio. All'Egitto nel quale viviamo schiavi obbligati dagli inganni del demonio a raccogliere terra e a far mattoni, affamati e stanchi. Ogni giorno a cercar di cucire rapporti umani sempre più sfilacciati, a renderci presentabili e rispettabili, a tentar di avere quel po' di successo che dia sapore alle nostre ore; e denaro, riposo, i figli, il matrimonio, il condominio, il lavoro, mattoni che trasportiamo con angoscia a costruire le piramidi degli altri. E nulla tra le mani, se non questa schiavitù che ci opprime.
La Parola scende e si fa profezia attraverso la Chiesa, i suoi apostoli e gli stessi fratelli, e ci annuncia la Salvezza, la vita nel nostro deserto. E' la voce di Giovanni che grida oggi nel nostro deserto a risvegliarci alla speranza, a muovere il nostro cuore alla conversione. Essa infatti si realizza nel preparare il cammino del Messia cui ci invita il Battista, il luogo per incontrare il Salvatore.
La sua strada, i suoi cammini, così si esprime Giovanni. E qui è nascosto il segreto. La conversione non è principalmente un fare cose, uno sforzarci, un pianificare. Convertirsi in questo Avvento, come in ogni istante della nostra vita, è preparare un cammino nel deserto, aprire in noi uno spazio perché si faccia strada il Signore.
Per questo siamo chiamati a un battesimo di penitenza, di “metanoia”, letteralmente “cambiare mente”: nella Chiesa, attraverso l’ascolto e la liturgia, i sacramenti e la comunione con i fratelli, imparare a guardare diversamente Dio, e poi noi stessi, le persone, la nostra vita.
E' innanzi tutto accettare che essa passi per il deserto; e, di conseguenza, raddrizzare i criteri sbilanciati per cui quello che normalmente crediamo sia giusto e vero è ingiusto e falso. Azzerare tutto e attendere, è questo l'Avvento. Spogliarci della menzogna e aspettare la salvezza. Schiudere il cuore con un grido, e lasciare che il Signore faccia in noi il suo cammino di vita e di amore, a colmare e a raddrizzare, a umiliare e a salvare.
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