La proiezione sulla facciata della Basilica di San Pietro di pesci, scimmie e tigri ha infastidito molti. Il direttore Cascioli si è chiesto chi, nella Curia vaticana, abbia avuto questa strabiliante idea da attuarsi, tra l’altro, proprio nella festa dell’Immacolata Concezione. Senza nulla togliere all’importanza della domanda, vorrei spostare però l’attenzione su alcune cause culturali di simili atteggiamenti. Per farlo è necessario un passo indietro.
Il 19 gennaio 2013, Benedetto XVI aveva tenuto un discorso al Pontificio Consiglio Cor Unum che, come si sa, si occupa di carità. Egli aveva detto che «la giusta collaborazione con istanze internazionali nel campo dello sviluppo e della promozione umana non deve farci chiudere gli occhi davanti a queste gravi ideologie» fino al punto «da dover rifiutare finanziamenti e collaborazioni che, direttamente o indirettamente, favoriscono azioni o progetti in contrasto con l’antropologia cristiana».
Il cardinale Robert Sarah, allora presidente di quel dicastero pontificio, aveva rincarato la dose, come in seguito è anche emerso dai suoi recenti libri: purtroppo si impone «la constatazione che alcuni membri della Chiesa che lavorano nel campo della carità si sono lasciati sedurre e inquadrare dall’etica puramente laica delle agenzie di aiuto della governance mondiale, fino a fare dei partenariati incondizionati e adottare gli stessi obiettivi di destrutturazione antropologica». «In gradi
diversi», aveva continuato il cardinale, «alcune istituzioni cattoliche si sono lasciate coinvolgere dall’etica della governance mondiale, impastandola con il Vangelo e con la dottrina sociale. Hanno anche utilizzato quel caratteristico linguaggio ambiguo, si sono allineate alle sue condizioni di sostegno finanziario». Si era allora nell’anno della fede e questi insegnamenti dicevano che anche la carità, compresa quella ecologica, ha bisogno della luce della dottrina della fede.
Mi sembra che il caso del gioco di moderne ombre cinesi sulla facciata di San Pietro possa rientrare in questa fattispecie. Se così fosse, il problema sarebbe più ampio di quello delle dirette responsabilità personali. La tendenza tra i cattolici a collaborare con tutti oggi è molto diffusa. Ma non basta che uno si dica per la giustizia, o per l’ambiente, o per l’emancipazione della donna, o per la lotta all’Aids per giustificare la collaborazione cattolica nei suoi confronti. La morale naturale e la dottrina della fede esigono una coerenza sia in noi e sia in coloro con cui collaboriamo. É ormai risaputo che il nuovo materialismo laicista non propone mai degli obiettivi tutti negativi. In genere gli organismi internazionali, le Ong ideologicamente orientate, le grandi Fondazioni globali propongono pacchetti con aspetti positivi, come per esempio l’accesso delle ragazze all’istruzione di base, assieme ad aspetti negativi, come il loro libero accesso all’aborto sicuro.
I cattolici che vi collaborano finiscono per prendere tutto il pacchetto e per collaborare con il male. Anche le istituzioni che hanno finanziato le ombre cinesi in Vaticano sono, da questo punto di vista, molto sospette. Se si dimentica di esaminare alla luce della dottrina della fede l’intera proposta, ci si imbarca in avventure dall’esito perverso. Bisogna, invece, precisare e distinguere. La cosa medesima avviene nel campo dell’ecologia. Non si può collaborare con tutti. Ci sono progetti di salvaguardia dell’ambiente, lautamente finanziati, che però, accanto alla lotta alla desertificazione, realizzano anche la sterilizzazione forzata per impedire l’aumento della popolazione. Bill e Melinda Gates, per esempio, hanno dichiarato più volte di finanziare progetti di riduzione delle nascite per combattere l’anidride carbonica e quindi fronteggiare il riscaldamento globale. Collaboriamo anche con loro?
Qualcuno sostiene che però non si può pretendere a garanzia delle collaborazioni cattoliche la verità tutta intera. Se un’organizzazione si cura degli animali, magari da presupposti riduttivamente animalisti, si può e si deve collaborare con essa, valorizzando il bene parziale che per farlo lievitare verso un bene più grande. É un’ingenuità. In molti casi non si tratta di un bene ridotto, ma di un male e non si può mai perseguire il bene attraverso il male. Si può collaborare per progetti mirati, ma anche in questo caso con grande attenzione. Si pensa di fare un tratto di strada insieme e poi, eventualmente dividersi davanti a nodi di incompatibilità etica, ma intanto facendo quel tratto si è collaborato al finanziamento e al rafforzamento di quella istituzione che poi userà il vantaggio conseguito per altri scopi.
Il vero problema che sta dietro a questi atteggiamenti che Benedetto XVI chiedeva di rivedere è che si fatica sempre di più a impostare alla luce della fede una visione coerente delle cose o, come diceva Romano Guardini, una weltanschauung. Considerare l’ambiente solo come ambiente oppure anche come il creato non è indifferente circa il modo di salvaguardare l’ambiente. Salvaguardare l’ambiente accettando forme di animalismo ideologico non ci permetterà alla fine nemmeno di salvaguardare l’ambiente. É in gioco, con tutto ciò, il senso di una presenza “cattolica” non culturalmente generica e non solo vagamente o vuotamente umanitaria. Non si può ridurre Dio a un minimo comun denominatore.
Il 19 gennaio 2013, Benedetto XVI aveva tenuto un discorso al Pontificio Consiglio Cor Unum che, come si sa, si occupa di carità. Egli aveva detto che «la giusta collaborazione con istanze internazionali nel campo dello sviluppo e della promozione umana non deve farci chiudere gli occhi davanti a queste gravi ideologie» fino al punto «da dover rifiutare finanziamenti e collaborazioni che, direttamente o indirettamente, favoriscono azioni o progetti in contrasto con l’antropologia cristiana».
Il cardinale Robert Sarah, allora presidente di quel dicastero pontificio, aveva rincarato la dose, come in seguito è anche emerso dai suoi recenti libri: purtroppo si impone «la constatazione che alcuni membri della Chiesa che lavorano nel campo della carità si sono lasciati sedurre e inquadrare dall’etica puramente laica delle agenzie di aiuto della governance mondiale, fino a fare dei partenariati incondizionati e adottare gli stessi obiettivi di destrutturazione antropologica». «In gradi
diversi», aveva continuato il cardinale, «alcune istituzioni cattoliche si sono lasciate coinvolgere dall’etica della governance mondiale, impastandola con il Vangelo e con la dottrina sociale. Hanno anche utilizzato quel caratteristico linguaggio ambiguo, si sono allineate alle sue condizioni di sostegno finanziario». Si era allora nell’anno della fede e questi insegnamenti dicevano che anche la carità, compresa quella ecologica, ha bisogno della luce della dottrina della fede.
Mi sembra che il caso del gioco di moderne ombre cinesi sulla facciata di San Pietro possa rientrare in questa fattispecie. Se così fosse, il problema sarebbe più ampio di quello delle dirette responsabilità personali. La tendenza tra i cattolici a collaborare con tutti oggi è molto diffusa. Ma non basta che uno si dica per la giustizia, o per l’ambiente, o per l’emancipazione della donna, o per la lotta all’Aids per giustificare la collaborazione cattolica nei suoi confronti. La morale naturale e la dottrina della fede esigono una coerenza sia in noi e sia in coloro con cui collaboriamo. É ormai risaputo che il nuovo materialismo laicista non propone mai degli obiettivi tutti negativi. In genere gli organismi internazionali, le Ong ideologicamente orientate, le grandi Fondazioni globali propongono pacchetti con aspetti positivi, come per esempio l’accesso delle ragazze all’istruzione di base, assieme ad aspetti negativi, come il loro libero accesso all’aborto sicuro.
I cattolici che vi collaborano finiscono per prendere tutto il pacchetto e per collaborare con il male. Anche le istituzioni che hanno finanziato le ombre cinesi in Vaticano sono, da questo punto di vista, molto sospette. Se si dimentica di esaminare alla luce della dottrina della fede l’intera proposta, ci si imbarca in avventure dall’esito perverso. Bisogna, invece, precisare e distinguere. La cosa medesima avviene nel campo dell’ecologia. Non si può collaborare con tutti. Ci sono progetti di salvaguardia dell’ambiente, lautamente finanziati, che però, accanto alla lotta alla desertificazione, realizzano anche la sterilizzazione forzata per impedire l’aumento della popolazione. Bill e Melinda Gates, per esempio, hanno dichiarato più volte di finanziare progetti di riduzione delle nascite per combattere l’anidride carbonica e quindi fronteggiare il riscaldamento globale. Collaboriamo anche con loro?
Qualcuno sostiene che però non si può pretendere a garanzia delle collaborazioni cattoliche la verità tutta intera. Se un’organizzazione si cura degli animali, magari da presupposti riduttivamente animalisti, si può e si deve collaborare con essa, valorizzando il bene parziale che per farlo lievitare verso un bene più grande. É un’ingenuità. In molti casi non si tratta di un bene ridotto, ma di un male e non si può mai perseguire il bene attraverso il male. Si può collaborare per progetti mirati, ma anche in questo caso con grande attenzione. Si pensa di fare un tratto di strada insieme e poi, eventualmente dividersi davanti a nodi di incompatibilità etica, ma intanto facendo quel tratto si è collaborato al finanziamento e al rafforzamento di quella istituzione che poi userà il vantaggio conseguito per altri scopi.
Il vero problema che sta dietro a questi atteggiamenti che Benedetto XVI chiedeva di rivedere è che si fatica sempre di più a impostare alla luce della fede una visione coerente delle cose o, come diceva Romano Guardini, una weltanschauung. Considerare l’ambiente solo come ambiente oppure anche come il creato non è indifferente circa il modo di salvaguardare l’ambiente. Salvaguardare l’ambiente accettando forme di animalismo ideologico non ci permetterà alla fine nemmeno di salvaguardare l’ambiente. É in gioco, con tutto ciò, il senso di una presenza “cattolica” non culturalmente generica e non solo vagamente o vuotamente umanitaria. Non si può ridurre Dio a un minimo comun denominatore.
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