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sabato 5 dicembre 2015

«Non tacete, non sostenete chi ci uccide, incalzate i vostri governi». I cristiani iracheni chiedono aiuto

di Andrea Zambrano                                     05-12-2015
Anderious Oraha, iracheno cristiano e la copertina del suo libroLa nostalgia ha il sapore degli involtini di foglie di vite. Anderious Oraha ne va ghiotto, ma qui in Italia, dove si trova dal 2007 come rifugiato politico, il sapore non è quello del formaggio di pecora «il migliore di tutto l’Iraq» che mangiava nella sua Al Qosh. É qui, nella “valle del monastero”, fertilissimo lembo di terra oggi ad appena 5 km da Isis che si infrangono i ricordi di Oraha. In Italia Anderious è pressoché sconosciuto, nonostante le origini greche del suo nome, Andrea, lo dovrebbero rendere famigliare. Così come sono volti sconosciuti il milione e passa di profughi cristiani che hanno lasciato l’Iraq e la Siria dopo che le bandiere nere del Califfo hanno iniziato a sventolare in una delle culle del cristianesimo mediorientale.
Ad Al Qosh fino agli Anni ’70 non c’era nemmeno una moschea. Solo gli insegnanti e i governatori lo erano. Sembra impossibile anche solo pensarlo oggi eppure è così, perché la tradizione cristiana qui è bimillenaria e i cristiani sono stati i primi ad abitare questa terra. I primi dopo Sumeri Assiri Amorrei, inquilini della Terra dei fiumi, Tigri ed Eufrate. Ma comunque primi di sicuro rispetto agli islamici. Anche le bande nere del Califfo lo ammettono, ma questa primogenitura ormai non conta più nulla. Oggi, dei due milioni di caldei-cattolici presenti in Iraq da quasi 2000 anni, resta un piccolo drappello che resiste vegliando di notte e facendo i turni, in perenne e tremenda attesa che le bandiere nere del Califfo entrino nelle case buie al buio della notte. Sono appena 250mila. Gli altri? Uccisi, massacrati o deportati. Come Anderious.
Lui, i suoi fratelli rimasti a Baghdad o ad Al Qosh e Mosul li sente ogni giorno al telefono. «Tre o quattro volte», spiega
alla Nuovabq dopo un incontro nel reggiano organizzato dalla parrocchia di San Martino in Rio con il vescovo Massimo Camisasca e l’inviato di guerra Fausto Biloslavo. «Nessuno qui in Italia lo sa. La gente ancora mi chiede: “Davvero? Ci sono cristiani in Iraq?” e mi guarda come terrorista, come nemico».  L’umiliazione della fuga dalla sua Baghdad Anderious l’ha messa nero su bianco nel libro Una storia irachena (Edizioni Xi.It, 2014). Pagine di dolori e drammi, di speranze, di ricominciare da meno di zero. Ma con una fede profonda, tenace, che fa a pugni con l’Italia post cristiana che ogni giorno vede litigare sui presepi nelle scuole. A Baghdad Oraha era un affermato stringer . Lo stringer è il factotum risolvi-problemi. Un apri porte dei giornalisti inviati nei conflitti bellici. Ogni giornalista, se non è embedded, ne ha uno. Che cosa fa? Tutto, a volte gli salva anche la vita, ma gli procura interviste, gli facilita le cose, lo introduce negli ambienti che vuole conoscere e raccontare.
Anderious seguiva tutti i giornalisti italiani e quando Al Qaeda lo ha monitorato è stato bollato come un amico dell’Occidente. Per giunta cristiano. Nel 2007 Oraha riceve un biglietto sotto la porta del suo negozio. «Infedele, devi andartene». Era firmato dal consiglio dei Mujahidin il 29 maggio 2007. «Abbandona la tua casa entro 24 ore, altrimenti caleremo la spada della giusta punizione su di te e ti uccideremo come la nostra religione ci ordina di fare». Ai loro occhi Anderioius era doppiamente colpevole: cristiano e pro Occidente. Un’infamia da pagare a caro prezzo. «A nulla servì essere stato militare per 14 anni, di cui otto al fronte, e aver servito la mia patria. Per loro ero salibun, un crociato». Per Oraha inizia così un calvario: chiede aiuto ad alcuni giornalisti italiani che lo mettono in contatto con l’ambasciata del nostro Paese. Ottiene il visto per l’Italia e parte con la moglie e i 4 figli. I pochi risparmi raccolti in un sacchetto, un’auto a folle velocità per 800 km verso la “strada della morte” che porta in Siria, sempre scrutati da Al Qaeda. E poi l’umiliazione di dover spendere oltre 600 dollari per convincere la guardia a farlo passare in Siria dove ancora il regime di Assad non era stato compromesso dalle milizie del Califfo.
Al suo arrivo in Italia i problemi e le difficoltà dei profughi. Ma alcuni giornalisti come Toni Capuozzo, Giovanni Porzio e Gabriella Simoni lo hanno “adottato”. Oggi Anderious vive in provincia di Milano. «Ma la mia mente è ancora a Baghdad dove spero di poter tornare un giorno, quando questo incubo sarà finito». Perché «noi cristiani di Iraq e Siria abbiamo già accettato di portare la croce del nostro Signore già dal primo secolo, dai tempi di San Tommaso, che evangelizzò qui. Sappiamo che dobbiamo pagare il prezzo della nostra appartenenza a Cristo». La condizione dei cristiani iracheni ha subito una ripida involuzione nel 2003. Proprio quando la statua di Saddam Hussein cadeva sotto i colpi di masse festanti e soldati americani armati fino ai denti. «In quei giorni abbiamo pensato che le cose per noi sarebbero andate meglio, le promesse degli americani di portarci democrazia e felicità però si sono rivelate una menzogna. La nostra condizione è peggiorata. Nel 2004 vennero attaccate in contemporanea 7 chiese tra Baghdad, Kirkuk e Mosul, proprio durante la messa alle 18. Quel giorno abbiamo capito che la nostra vita non sarebbe mai più stata quella di prima».
Le milizie sciite hanno iniziato a bombardare negozi, ritrovi della comunità cattolica, chiese. Il risultato è una diaspora veloce e sconosciuta. A Karakosh c’erano 50mila abitanti, erano tutti cristiani: abbandonarono la città in una sola notte. Oggi nei campi profughi si trovano signore di 70 anni col rosario in mano che raccontano la loro tragedia come in un quadro vivente, che accende i fari non appena qualcuno si avvicina: «Vivevo con la mia famiglia, ero benestante, adesso guardo la porta nella speranza che chiunque entri mi porti un po’ di latte». La storia di Anderious e dei cristiani come lui è la storia di chi ha dovuto fare i conti con l’ansia di esportazione degli americani. «Ma la democrazia non è una Coca Cola, così dopo aver fatto cadere Saddam ci hanno lasciato il caos, le frontiere aperte degli anni post Saddam hanno fatto entrare criminalità e delinquenza dal mondo arabo. Il Museo Nazionale Iracheno venne saccheggiato in poche ore».
Da qui nasce la necessità di scrivere il libro: «Perché nessuno conosce la nostra diaspora. Oggi nella mia Al Qosh il parroco mi ha detto che tra pochi giorni, con le milizie del Califfato a un tiro di schioppo, gli ultimi 10mila cattolici saranno costretti ad andarsene. I cristiani iracheni vi stanno pregando di parlare, di alzare la vostra voce, di chiedere ai governi occidentali di aiutare questi disgraziati e di non dare le armi a chi ci sta uccidendo. Perché è vero che l’Isis combatte anche i musulmani, ma essendo noi cristiani una minoranza, alla fine siamo sempre l’obiettivo più indifeso». Tra le conseguenze della persecuzione dei caldei c’è anche la scomparsa dell’aramaico, la lingua di Gesù e di Maria, una lingua che sta scomparendo per sempre.
Islam moderato? «Non esiste. Ho vissuto in un Paese dove il 95 per cento sono musulmani, certo, non tutti sono malvagi, ma la maggior parte di loro ci odia, per loro siamo miscredenti e basta. Le prediche nelle moschee le ho sentite. Dicono: “Non uccidete il vostro fratello musulmano”. Capite? Non dicono “non uccidete il vostro fratello essere umano”. In queste condizioni il nostro martirio è destinato a diventare cronico. Ecco perché adesso vi chiediamo aiuto».   

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