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martedì 8 gennaio 2019



Il mondo è una folla sterminata di vagabondi e mendicanti, con nessun altra speranza che la compassione. Che è dire senza altra speranza che Cristo. Solo Lui guarda alle folle fermandosi su ciascuno. Solo il suo sguardo, che sgorga dall’abisso di misericordia di Dio, fa di ogni uomo sperduto nella massa anonima una creatura unica e irripetibile. Ovunque ci troviamo, immersi nelle occupazioni, anche nella curva esagitata di uno stadio quale sembra l’impazzita società nella quale viviamo, Lui ci guarda come quando una telecamera mette a fuoco il protagonista tra la moltitudine dei passanti. I suoi occhi giungono al cuore, e lo svelano disorientato, “senza pastore”. 

Oggi, come duemila anni fa, il male che aggredisce il mondo è la mancanza di un Pastore che illumini la Verità, indichi la Via per giungere alla Vita cui ogni uomo anela. Mercenari che spadroneggiano, ingannano e uccidono ve ne sono a miriadi, ma, nel mondo, di pastori neanche l'ombra; nessuno che abbia realmente a cuore le sorti di ciascun uomo, nessuno che ami al punto di farci sentire unici e importanti. Nessuno che conosca il cuore dell’uomo e i suoi autentici bisogni, solo slogan ben ancorati a quello che sembra, oggi come ieri, l’unico problema, il denaro, e quindi il pane per riempire la pancia. In questo “deserto” di corpi, anime e vite gettati come vuoti a perdere, si posa anche oggi lo sguardo di Gesù. Ed è subito misericordia, compassione che si fa annuncio. 

Gesù capovolge lo schema ideologico e antropologico che si trova alla base di ogni messianismo politico o filosofico, così radicati nel cuore di ciascuno, e a volte infiltrati anche nella Chiesa. Egli rivela l’ordine che Dio aveva dato “in principio” alla creazione, e così illumina l’autentico disordine generato dal peccato. La superbia della creatura che si è allontanata dal Creatore chiudendosi ad una relazione di abbandono confidente e obbediente, ha gettato l’umanità nel “deserto”, dove non vi è alimento ed è preclusa la vita, immagine di ogni luogo ormai lontano dal Paradiso. 






Gesù ha compassione di chi vi abita ramingo ed esule, perché ne comprende il dramma, la solitudine e il disorientamento frutti del peccato. L'uomo deve sudare per mangiare, e spesso non basta. La sua compassione è autentica perché, invece di preoccuparsi innanzi tutto della loro pancia vuota, Egli intuisce, dal sintomo di una carne indebolita, dove si nasconde il focolaio dell’infezione; per questo “scende dalla barca”, Pastore che va incontro a ciascuna pecora perduta, per amarla come fosse l’unica sulla terra, ne condivide la “passione” caricandosela sulle spalle, e si mette “a insegnare loro molte cose”, perché non ne conoscono neanche una. 

E’ nel cuore e nella mente dell’uomo che si cela il virus generato dall’orgoglio, la presunta sapienza carnale e mondana che è, invece, stoltezza che schiude abissi di vuoto e dolore. Non sappiamo nulla e non comprendiamo perché la vita è un deserto che attraversiamo a stento e affamati. Gesù lo sa, e per questo, prima del miracolo con cui sazierà la carne, annuncia le sue “molte cose”, i segreti del cuore di Dio, l’amore infinito del Padre, la misericordia e il perdono, la Grazia di un cuore e una mente nuovi, perché anche la carne possa essere trasfigurata. E' questo l'ordine che Egli, Buon Pastore, riporta nel disordineprima l’annuncio che compie il perdono, e poi il ristoro della carne, segno di una vita rinnovata perché saziata dal suo amore.


La parola di Gesù ci accompagna sino al “crepuscolo”, giunge sulla soglia della nostra fame, dell'insoddisfazione, della delusione. E si fa pane, l’unico che sazia, perché compie quanto scritto nel Libro della Sapienza a proposito della manna: “sfamasti il tuo popolo con un cibo degli angeli, dal cielo offristi loro un pane già pronto senza fatica, capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto. Questo tuo alimento manifestava la tua dolcezza verso i tuoi figli; esso si adattava al gusto di chi l'inghiottiva e si trasformava in ciò che ognuno desiderava.” (Sap 16,20s). La manna era bianca, immagine del latte spirituale che Pietro ci invita a bramare “per crescere con esso verso la salvezza: se davvero avete già gustato come è buono il Signore.” (1 Pt 2, 1-3). 

Le “molte cose” insegnate da Gesù sono le sue parole che, come gocce di latte, sono capaci di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto; “molte” quanti sono gli uomini di ogni generazione, uniche e speciali per ciascuno; e che si adattano al gusto di chi le ascolta, quello autentico che Dio ci ha dato per godere della sua creazione, perché la sua opera è quello che ognuno desidera. Un matrimonio indissolubile, un'amicizia sincera, la sessualità libera dalla paura e aperta alla vita. L'amore che si dona senza riserve, che non si può "comprare in nessun villaggio". E' una grazia che scende dal Cielo come la manna, e ci trasforma in pane che si dà agli altri. Come è accaduto agli apostoli che hanno semplicemente distribuito l'amore infinito di Dio.




In questo episodio appare, in filigrana, il catecumenato che caratterizzava l’iniziazione cristiana della Chiesa primitiva; esso consisteva essenzialmente in un cammino di discesa sino alle acque del battesimo, guidati dalla “molte cose” che la Chiesa, labbra di Cristo, insegnava ai catecumeni. “Dategli voi stessi da mangiare”: annunciate il Vangelo ad ogni creatura, attraverso la vostra stessa vita raggiunta dalla Parola che l’ha redenta, i “due pesci e i cinque pani”, le due nature del Figlio di Dio, e i cinque libri della Torah compiuti in Lui. Nel loro stupore di fronte alla sproporzione tra l’incarico affidato e i mezzi a disposizione si riconosce l’eco della tentazione che abbiamo tutti: “Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane?”. 

Subito s’affaccia la preoccupazione del denaro, che rivela quale sia lo scrutinio ineludibile per ogni cristiano, per ogni testimone, per la Chiesa stessa. “Quanti pani avete?”. Andate a vedere: è questa la parola fondamentale, la domanda che risuona da duemila anni. Andare a vedere sino al fondo della nostra vita, per scoprire la debolezza, la povertà, l’inadeguatezza, il peccato. Come accadeva ai catecumeni che scendevano i gradini del fonte battesimale, sino a rimanere nudi come Adamo ed Eva, smascherate le ipocrisie e le finzioni, soli con la propria realtà ormai illuminata: solo così potevano entrare nelle acque e rinascere a vita nuova per rivestirsi di Cristo. E’ il cammino preparato per ciascuno di noi, per prepararci alla missione alla quale siamo chiamati, apostoli e pastori del gregge affidatoci. 

Per imparare a guardare gli uomini con gli occhi di Cristo e rivestirci della sua compassione; per non cedere alle tentazioni ideologiche con le quali il demonio, nei Pastori e nei teologi come in famiglia e ovunque, cerca di dissuaderci dalla Verità e dal suo annuncio, per piegarci sentimentalmente ai bisogni e ai desideri della carne degli altri, riflesso malcelato di quelli che premono anche sulla nostra carne: “Lo zelo e la compassione che devono abitare nel cuore di tutti i pastori. rischiano di essere fuorviati e rivolti verso iniziative altrettanto rovinose per l'uomo e la sua dignità, quanto la miseria che si combatte, se non si è sufficientemente attenti di fronte a certe tentazioni... Il pericolo di certe teologie è che si lascino suggerire il punto di vista immanentistico, solo terrestre… i quali non vedono, né possono vedere che la " liberazione " è innanzitutto e principalmente liberazione da quella schiavitù radicale che il "mondo" non scorge, che anzi nega: la schiavitù radicale del peccato” (S. Congregazione per la Dottrina della Fede, Libertatis Nuntius, Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della Liberazione"). 

Solo la consapevolezza fondata sull’esperienza che “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio”, può farci Pastori e Apostoli con il cuore di Cristo, liberi di annunciare il Vangelo senza scioglierlo nella melma della sapienza carnale. Non vi è altra via per amare la moglie, il marito, i figli, i colleghi: andare a vedere per deporre tra le mani del Signore la nostra povertà perché ne faccia l’alimento sovrabbondante per tutti gli uomini. Gesù, infatti, prende proprio quei cinque pani e quei due pesci e da essi trae il cibo per tutti. Questa è l’esperienza della Chiesa e di ciascuno di noi: nella debolezza appare una sorgente di vita, sulla nostra vita scende la “benedizione di Dio” che la trasforma in alimento. Così “avanzeranno dodici ceste”, le dodici tribù di Israele, immagine della Chiesa nuovo Israele. Il miracolo d’amore sovrabbondante arricchisce e colma la stessa comunità; essa vive del dare la vita annunciando il Vangelo, perché “Chi perde la sua vita per il mio Nome e per il Vangelo, la ritroverà”.

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