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martedì 3 marzo 2020


EMILIANO JIMENEZ. IL PADRE NOSTRO



Il Padre nostro

Come esempio di preghiera cristiana, Matteo colloca in questa sezione la preghiera del Padrenostro. È la preghiera che mostra l'originalità dell'orazione cristiana, totalmente differente dall'orazione dei farisei o dei pagani. Il Signore ci ha assicurato che Dio ascolta la nostra preghiera. Ma non si limita a questo, bensì ci insegna persino le parole con le quali rivolgerci a Dio Padre. Ci ha insegnato la preghiera del Padre-nostro, la preghiera del Signore, la preghiera che nasce dal cuore dei figli di Dio. Per i primi cristiani, la scoperta che Dio è Padre e può essere invocato come Padre li riempì di una gioia ineffabile. Al centro del discorso della montagna, Matteo colloca il Padrenostro, perché è il centro di quanto ci ha rivelato Gesù Cristo, il Figlio Unigenito del Padre, che ci ha reso partecipi della filiazione divina. Rinati nell'acqua e nello Spirito Santo siamo stati costituiti figli di Dio e possiamo, pertanto, invocarlo come Padre. Gesù dice apertamente ai suoi discepoli: «Voi dunque pregate così»
(Mt 6,9). Se Cristo non ce lo avesse insegnato e non ci avesse autorizzato, nessuno di noi avrebbe osato rivolgersi a Dio invocandolo come Padre, servendosi della stessa parola usata dal Figlio. Dio è nostro Padre e desidera che glielo diciamo, che lo invochiamo come tale. Tre volte al giorno lo invocano con la orazione dei figli, secondo la raccomandazione della Didachè. Il Padre nostro è la preghiera che rivolge al Padre lo Spirito santo, infuso nei nostri cuori dal Figlio Unigenito. Lo Spirito Santo ci spinge a chiedere in sintonia con la volontà del Padre. Dio Padre santifica sempre il suo nome, regna su tutto l'universo, fa la sua volontà in cielo e sulla terra, dà il pane e il perdono ai suoi figli ogni giorno, ci salva dalla tentazione e ci libera dal maligno. Lo Spirito Santo, che supplisce alla nostra ignoranza, ci fa pregare secondo gli stessi desideri di Dio Padre, volere quello che Egli vuole, sperare ciò che Egli desidera comunicare. La preghiera che Gesù insegna ai suoi discepoli inizia, dunque, invocando Dio come Padre: «Padre nostro che sei nei cieli» (Mt 6,9). È così che Gesù prega Dio, suo Padre. La parola adoperata da Gesù nell'invocare Dio è «Abbà» (Mc 14,36), la parola con la quale il bambino si rivolge al proprio padre, espressione della massima familiarità e fiducia possibili. E Gesù associa i suoi discepoli a questa fiducia, introducendoli nell'intimità della sua relazione con il Padre. Questa espressione è tanto sorprendente che nelle comunità paoline sopravvive il termine aramaico, accompagnato dalla traduzione greca (Rm 8,15; Gal 4,6). Pregare da cristiani significa in primo luogo pregare come Gesù, osando usare l'intima invocazione di «Abbà», «Papà», come Egli la usava e come ci insegnò a usarla, sebbene per noi sia una temerarietà. Così si esprime la Chiesa nella sua liturgia, introducendo il Padrenostro nella celebrazione eucaristica con la formula: «Fedeli alla parola del Signore e seguendo il suo divino insegnamento, osiamo dire». Il Padrenostro è la preghiera del discepolo che si rivolge a Dio nell'assemblea liturgica. E la preghiera della comunità cristiana. Ma è la pre-ghiera singolare di ogni cristiano, figlio di Dio, nato dall'acqua e dallo Spirito Santo. Una volta che l'orante ha stabilito la sua comunicazione con Dio quale Padre suo, la prima cosa che implora è che «sia santificato il suo Nome» (Mt 6,9). E la petizione più urgente che il vero figlio di Dio sente nell'intimo del suo essere. Il resto verrà dopo. Il credente, che vive sotto l'influsso della parola di Dio, soffre interiormente per la continua profanazione del nome divino tra gli uomini. Il disprezzo di Dio, l'idolatria, le perversioni morali, cioè l'opposizione a Dio e al suo disegno d'amore sugli uomini e sulla creazione, è una ferita che si apre nell'anima del credente che vive nel mondo. Il profeta Ezechiele lo vive nella sua carne e ce lo grida, mettendo sulla bocca dello stesso Dio: «Giunsero fra le nazioni dove erano spinti e disonorarono il mio nome santo, perché di loro si diceva: Costoro sono il popolo del Signore e tuttavia sono stati scacciati dal suo paese. Ma io ho avuto riguardo del mio nome santo, che gli israeliti avevano disonorato fra le genti presso le quali sono andati. Annunzia alla casa di Israele: Così dice il Signore Dio: Io agisco non per riguardo a voi, gente d'Israele, ma per amore del mio nome santo, che voi avete disonorato fra le genti presso le quali siete andati. Santificherò il mio nome grande, disonorato fra le genti, profa-nato da voi in mezzo a loro. Allora le genti sapranno che io sono il Signore - parola del Signore Dio - quando mostrerò la mia santità in voi davanti ai loro occhi» (Ez 36,20-23; cfr. 39,7; 28,22; 20,39; 43,7s). La seconda petizione - «venga il tuo Regno» - è intima-mente unita alla prima. Il nome di Dio è santificato quando è riconosciuta e accettata la sua regalità, la sua sovranità sul mondo. Gesù è venuto ad annunciare il regno di Dio (Mt 4,17) e desidera che si stabilisca tra gli uomini. Con Cristo è certamente arrivato il regno di Dio. Ma si trova nel mondo come un granello di senape. Questo inizio già garantisce il finale. L'orante desidera e chiede che il seme del regno di Dio germini, cresca e diventi un albero che possa dare ombra a tutti gli uomini (Mt 13,31-32). La terza petizione prolunga le prime due, chiedendo che «si faccia la volontà di Dio, come in cielo così in terra». Accettando la volontà di Dio, l'uomo realizza il regno di Dio sulla terra e in questo modo il suo nome è santificato tra gli uomini. Tuttavia, la petizione del Padrenostro acquista una specie di urgenza, scoprendo la volontà salvifica del Padre, manifestata inviando il Figlio suo a salvare il mondo. Gesù ci rivela che «il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli» (Mt 18,14). Gesù, nella sua preghiera al Getsemani, nel momento di affrontare la morte in favore degli uomini, dice al Padre: «Sia fatta la tua volontà» (Mt 26,42), ripetendo letteralmente le parole del Padrenostro. L'orante è angosciato per la situazione della terra, si preoccupa per la condizione degli uomini e anche per il continuo rifiuto della salvezza di Dio. Rinnegando Dio, opponendosi alla sua volontà, l'uomo si chiude all'amore di Dio. Il cristiano, nella sua preghiera sacerdotale, si colloca tra Dio e gli uomini, difendendo la causa di Dio e quella degli uomini, che in realtà è una sola, poiché Gesù ci ha detto: «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Gv 6,38-40). Il discepolo, consacrato al regno, spera e chiede a Dio il pane necessario per mantenersi al suo servizio. E il pane di oggi. È il pane sovrannaturale. E il pane della volontà di Dio: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano». San Giovanni Crisostomo commenta: «Cristo non ci invita a chiedere ricchezze, cose delicate, vesti preziose o cose simili,ma solo il pane, e il pane quotidiano, senza preoccuparci per il domani. Per questo dice: dacci il pane quotidiano e, non contento di questa precisione, aggiunge: oggi, per allontanare da noi ogni preoccupazione per il giorno seguente». In questa petizione c'è una velata allusione alla manna che Dio concedeva di giorno in giorno al suo popolo nella sua marcia attraverso il deserto: «Ecco che cosa comanda il Signore: Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne, un omer a testa, secondo il numero delle persone con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli della propria tenda [...] Così fecero gli israeliti [...] avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne. Poi Mosè disse loro: Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino [...] Essi dunque ne raccoglievano ogni mattina secondo quanto ciascuno mangiava; quando il sole cominciava a scaldare, si scioglieva» (Es 16,16-21). Dal pane materiale il credente passa facilmente a supplicare il pane spirituale della parola e dell'Eucaristia. San Cipriano scrive: «Noi supplichiamo che il nostro pane, cioè Cristo, ci sia concesso ogni giorno». Cosciente della sua fragilità, il cristiano vive del quotidiano perdono di Dio. E chi vive grazie al perdono è chiamato a per-donare. Gesù illustra questa petizione con la parabola del servo spietato al quale il suo signore condona una somma immensa e poi lui non condona a un compagno una somma insignificante (Mt 18,23ss). Il discepolo di Gesù comprende l'incoerenza di questa condotta e ogni giorno prega Dio: «rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Le ultime due petizioni sono intimamente unite. Il cristiano sa che la sua salvezza non è garantita dai suoi meriti. La precarietà della sua vita lo mantiene legato a Dio. Il timore di perdere la grazia ricevuta lo fa vivere nell'umiltà, supplicando: «E non indurci in tentazione, ma liberaci dal male». La tentazione dalla quale Dio lo deve liberare non è una tentazione qualunque, ma la tentazione nella quale è in gioco la sua condizione di discepolo. Si tratta del rischio dell'apostasia. Il Maligno può rubargli la parola di Dio (Mc 4,15) e persino la fede. La memoria dei prodigi di Dio si può cancellare con un avvenimento. La croce è la manifestazione del volto glorioso di Dio nell'amore del Figlio suo Gesù Cristo. Ma Satana può capovolgerla e farla apparire come la negazione della bontà di Dio. Per questo il cristiano conclude la sua preghiera con il grido: «Non indurci in tentazione, ma liberaci dal male!». Nell'orto del Getsemani, trovando i discepoli addormentati nell'ora della prova, Gesù dice loro: «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt 26,41). La prova arriva per tutti e in essa, data la precarietà della nostra esistenza, corriamo il rischio di perdere la nostra fede in Dio. Il maligno si serve della croce per portare il credente a dubitare dell'amore di Dio. La preghiera vigilante è il modo di non cadere nelle trappole del tentatore che gira sempre intorno al credente. San Pietro ci invita ad «affidare a Dio tutte le vostre preoccupazioni, poiché egli ha cura di voi. Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (1Pt 5,89).



La preghiera porta al perdono

La catechesi sulla preghiera si conclude con l'esortazione al perdono tra i cristiani. Si tratta di un prolungamento della quinta petizione. La comunità dei figli di Dio vive del perdono di Dio e del perdono reciproco: «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,14-15). C'è una falsità nella preghiera che implora da Dio il perdono delle proprie colpe, mentre non si perdonano le offese ricevute. Già lo denunciava Gesù Ben Sira: «Perdona l'offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimes-si i peccati. Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo, come oserà chiedere la guarigione al Signore? Egli non ha misericordia per l'uomo suo simile, e osa pregare per i suoi peccati? Egli, che è soltanto carne, conserva rancore; chi perdonerà i suoi peccati?» (Sir 28,2-5). E ciò che il Signore ripete nel Vangelo (Mt 18,23-25). A Dio ripugna la preghiera di chi eleva a Lui le sue mani macchiate di sangue, di odi, rancori o inimicizia: «Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi» (Is 1,15s). Perciò il perdono delle offese come atteggiamento sincero davanti a Dio è una caratteristica della comunità cristiana. Gesù non si stanca di inculcarlo nei suoi discepoli: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati» (Mc 11,25). Già nelle beatitudini, Gesù ha proclamato: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). Giacomo sintetizza con forza: «Il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio» (Gc 2,13).

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