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sabato 21 marzo 2020

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L'ESALTAZIONE UMILIATA NELLA VERITA'
Pregare non basta. Anzi. Salire al Tempio a pregare ed uscirne assolutamente identici è una possibilità tutt'altro che remota. Presumere di se stessi è infatti un veleno che infetta anche i momenti più sacri. La presunzione, dal latino praesuntionem, participio passato di praesumere, prae-innanzi e sumere-attribuirsi, è aver chiuso in anticipo il cuore a qualunque altra possibilità, parere, alla stessa Verità. Quante volte nelle discussioni in famiglia, con il coniuge, con i figli, con i genitori, e poi nella comunità, o con gli amici, ci attribuiamo ragione a priori, forti di chissà quali esperienze, studi, letture; sempre "pre" e mai "post", sempre avanti e mai dietro, in un atteggiamento opposto a quello del discepolo che segue il suo Maestro, umilmente, nella verità che ci colloca nell'autentica povertà e indigenza, ignoranti nella fede come nella vita. Come Pietro che, presuntuosamente, salta avanti a Gesù intimandogli di non andare a Gerusalemme a compiere la sua missione, perchè la Croce mai e poi mai... Prigionieri di un Io sconfinato, consideriamo gli altri solo dei poveri scarti di noi stessi, schiavi della presunzione di essere gli unici giusti sempre nel giusto. Io sono diverso, un ritornello che risuona spesso in questa società edonistica e carnale dove il diverso a tutti i costi rivendica più diritti degli altri. La presunta diversa immacolatezza morale nella politica, la propria diversa onestà al lavoro, e poi nello studio, in amore, in famiglia, nello sport, anche nella Chiesa che opta per la "tolleranza zero" verso chi si ritiene pubblicano, gettando così con l'acqua anche il bambino. Ovunque, io sono unico, diverso, migliore. E anche chi crede di essere immune da questo virus, sprofondato nelle proprie incapacità intellettuali, chi pensa d'essere inferiore agli altri, forse meno brillante, scopre che, alla fine, è proprio in questa "presunta" inferiorità che trova unicità e diversità dalle quali giudicare e disprezzare. Non a caso il disprezzo degli altri, inseparabile compagno della presunzione, è un criterio infallibile nel discernimento degli spiriti. Dal presumere di se stessi al presumere di pregare ed essere pii, il passo è breve. "Per questo, bisogna non soltanto pensare a praticare il bene, ma anche vegliare con cura sui nostri pensieri, per tenerli puri nelle nostre opere buone. Perché se sono fonte di vanità o di superbia nel nostro cuore, combattiamo allora soltanto per vana gloria, e non per la gloria del nostro Creatore" (S. Gregorio Magno).
Il fariseo infatti, superficiale nei confronti dei propri pensieri, "pregava così tra sé". Ma l'originale greco invece utilizza un'espressione diversa: "il fariseo stando in piedi pregava rivolto verso se stesso". Il centro del dialogo è lui stesso. Lui è dio. Per questo la "presunta" giustificazione gli perviene dalle sue stesse opere. Il Tempio è solo un luogo puramente convenzionale, la passerella dell'ipocrisia. La preghiera diventa per lui "un puro occuparsi di se stesso, recidendo così la radice dell'autentica adorazione" (J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo); adorando se stesso abbandona Dio, l'unica fonte di giustificazione, e torna a casa senza giustificazione. E' di fronte a Dio come davanti ad uno specchio nel quale non vede che se stesso travestito da dio. Tanti sforzi per nulla! "Con la vanità, ha concesso al suo nemico di poter entrare nella città del suo cuore, che purtuttavia egli aveva chiuso con i chiavistelli dei suoi digiuni e delle sue elemosine. Tutte le altre precauzioni sono dunque inutili, quando rimane in noi qualche apertura attraverso la quale il nemico possa entrare... dalla breccia di una sola colpa..." (S. Gregorio Magno).
Il pubblicano invece non osa neanche ad alzare lo sguardo, posato invece sulla terra che definisce la verità su se stesso. Il testo greco suggerisce che egli non si sentiva semplicemente un peccatore, ma il peccatore. Non ha null'altro in cui confidare se non la misericordia di Dio. La mano tesa a percuotersi il cuore dal quale sgorga ogni malvagità, per spezzettarlo e farne un cuore contrito ed umiliato. "Dio ascoltò il gemito del pubblicano e, giustificandolo, mostrò a tutti che egli si lascia sempre piegare se gli chiediamo il perdono delle colpe con gemiti e lacrime" (Tropario della Domenica detta del Fariseo e Pubblicano). Isacco il Siro scrisse nel sesto secolo: "Non dire mai che Dio è giusto. Se lo fosse, saresti all'inferno. Confida solo nella sua ingiustizia, che è misericordia, amore, perdono". Il pubblicano ha sperato contro ogni speranza come Abramo, che non si fermò di fronte alla sua sterilità, ma credette a Colui che aveva promesso l'impossibile, e questo gli fu accreditato come giustizia. La folle ingiustizia divina, la misericordia che non ha riscontro in nessun codice umano, giustifica l'ingiustificabile. "Rendi degni della tua beatitudine coloro che per te si trovano mendicanti di spirito.... L'umiltà guadagna la giustizia proprio con l'estrema indigenza di questa: anche noi possiamo acquisirla!" (Tropario).
Nel pubblicano, peccatore pubblico e reietto, rinveniamo le sembianze del Signore Gesù, l'esatto opposto del Fariseo: Lui non è mai rivolto verso se stesso, ma perennemente rivolto verso il seno del Padre ("eis ton kolpon", Gv 1,18). La sua confidenza nel Padre lo ha spinto sino all'audacia. Sulla Croce Gesù ha gridato implorando perdono per tutti noi; è sceso all'ultimo posto, nel buio di morte di ogni pubblicano, "a distanza" - e che distanza... - sino a sentire l'abbandono del Padre, e così dare una voce umiliata a tutti noi innalzati nella menzogna e per questo umiliati nella morte. Gesù si è fatto pubblicano tra i pubblicani, disprezzato dai religiosi e clericali come dagli agnostici e laicisti ad oltranza: nella penombra non si vede bene e non si comprende che, in Gesù, la stessa struttura del Tempio risulta rovesciata, esattamente come canta la Vergine Maria nel Magnificat. Il Santo dei Santi non si trova più laddove il fariseo si era inoltrato a presentare la propria pretesa giustizia. Il cuore del Tempio, le viscere di misericordia di Dio, sono precipitate laddove è sceso Cristo, accanto al pubblicano umiliato e così esaltato sino all'intimità con il Padre.
Nell'attitudine del Pubblicano si riscontrano i tratti di chi ha percorso un cammino di fede e conversione attraverso la discesa dei vari gradini dell'umiltà che portano alle acque della piscina battesimale. Nella sua preghiera umile perchè umiliata dalla scoperta della propria realtà, e contrita nell'accettare d'essere un povero peccatore, lo vediamo pronto ad immergersi nella viscere della misericordia rigeneratrice. Il pubblicano, nell'abisso del suo nulla ha incontrato Cristo sino ad assumerne la stessa confidenza filiale; così anche noi, proprio laddove gli eventi illuminati dalla Parola, dall'insegnamento della Chiesa e dalla Grazia ci hanno umiliato svelandoci la verità, possiamo imparare con Cristo ad abbandonare presunte e inutili autogiustificazioni e a volgere noi stessi al seno misericordioso di Dio.
"Questa è la sorte di chi confida in se stesso, sarà loro pastore la morte". Ma sì! Ben venga la morte, la distruzione degli ideali che ci infilzano ai sogni. Che giunga presto la piccola pietruzza a distruggere la statua di quei miserevoli Nabucodonosor che siamo. Il carattere della moglie, la ribellione del figlio o i pantaloni a vita bassa della figlia, quel professore o la vicina di casa. Una malattia, la morte di chi ami di più; anche un terremoto. Tutto ad uccidere il nostro uomo vecchio, per diventare finalmente come il pubblicano, stravolti, impauriti, insicuri, contriti e umiliati, per entrare nella vita nuova sussurrando "Signore pietà di me..... davvero mi ami così?". Come Pietro che ha imparato a non presumere di se stesso dagli eventi che ha vissuto, sino alle lacrime, sino all'incontro decisivo con la misericordia fatta carne nello sguardo del Signore risorto sulle sponde del Mare di Galilea.
Pregare, andare al tempio, fare sacrifici, essere impegnati nelle attività parrocchiali, la stessa filantropia volontaristica infatti non bastano, anzi. La domanda di Grazia d'un condannato a morte. Se non è questo, la nostra preghiera, la nostra relazione con Dio, resterà vuota, non varcherà la soglia delle nostre labbra e rimbalzerà sul soffitto ricadendoci addosso. Chi ha conosciuto la misericordia di Dio, chi è tornato a casa giustificato, risuscitato ad una vita giusta, santa, conforme alla volontà di Dio, ha imparato a guardare le cose secondo un criterio nuovo, opposto a quello della carne, fosse anche carne religiosa. Un pubblicano giustificato entra nel Tempio e si volge subito al fondo, certo di incontrarvi il Servo di Yahwè, il Buon Pastore alla ricerca della pecora perduta, e con Lui ogni uomo. Il Pubblicano che ha conosciuto la giustificazione vive ogni relazione in modo nuovo, da umiliato graziato: nel marito, nella moglie, nei figli, nei fratelli cerca l'indigente peccatore in attesa di misericordia, il condannato in attesa di un'impensabile grazia. Non guarda alla pretesa giustizia di chi gli è accanto, non si ferma a contestarla in sterili polemiche per averla vinta, va diritto al cuore umiliato, intercetta il dolore profondo che si nasconde, spesso, dietro a tanta tronfia sicurezza. Sa che la situazione nella quale giace ad esempio suo figlio - di fallimento, solitudine, dolore - è esattamente quella giusta per conoscere la giustificazione; non si attarda a discutere con lui, ma scende in quella "distanza" che è stata ed è anche la sua, e, con Cristo ed in Lui, si fa voce all'umiliazione di suo figlio, lo aiuta a implorare misericordia, lo ama umiliandosi con lui. Il Pubblicano giustificato va oltre l'apparenza, il Tempio della vita e della storia è, ai suoi occhi, un'architettura diversa da quella che la sapienza mondana e carnale suggerisce. Il Pubblicano che ha conosciuto la misericordia gratuita di Dio non si allontana dal fondo della storia, perchè sa che solo lì può davvero incontrare i fratelli, perchè è "a distanza" dall'apparenza che Dio scende a cercare ogni uomo.
Condannato a morte tra i condannati a morte, in attesa della medesima Grazia: così il cristiano nel mondo, così la Chiesa a far risplendere la Luce delle Genti, la misericordia giustificatrice di Dio, negli angoli più fetidi della terra. E da quella "distanza" da Dio, accompagnare ogni uomo nel "ritorno a casa giustificato": chi ha incontrato la giustificazione gratuita vedrà la sua "casa", la sua famiglia, la sua vita, trasformata nello stesso Tempio dove ha incontrato la misericordia. Tutto diviene luogo di prossimità perchè laddove e abbondato il peccato ha sovrabbondato la Grazia. La Chiesa e ciascuno di noi esiste, si sveglia ogni mattina, perchè si compia questo mistero di perdono, perchè ogni uomo incontri viscere di misericordia dove essere accolto e giustificato.
Per questo è necessario che la Chiesa innanzi tutto si ponga a pregare "a distanza", scenda nella verità, che ciascuno di noi viva nell'umiliazione che apre alla conversione. Un grande monaco della Chiesa Orientale, Silvano del Monte Athos lo aveva compreso bene: "Signore, vedi che i demoni mi impediscono di pregare con uno spirito puro. Ispirami ciò che devo fare perché i demoni mi lascino in pace". E nell'anima il Signore gli risponde: "Le anime orgogliose soffrono sempre a causa dei demoni". "Signore, insegnami che cosa devo fare perché la mia anima diventi umile". E di nuovo, nel suo cuore, riceve questa risposta: "Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!". E subito comincia a mettere in pratica quella parola. Trova la pace, e lo Spirito gli testimonia la sua salvezza"(Vita di San Silvano del Monte Athos narrata dal suo discepolo, l'archimandrita Sofronio). Accettare le conseguenze amare del nostro peccato, lo struggimento e la nostalgia della pace, il dolore per il male commesso verso chi ci è vicino, questo è rimanere all'inferno e non disperare. E dal fondo della verità più aspra attendere con speranza la Verità che giustifica.
Uomo, fratello mio - chiunque tu sia, per quanto grande sia il tuo peccato, per quanto oscura sia la tua tenebra - tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!
Fratello, se vedi il tuo peccato
sei più grande di chi risuscita i morti!
Quando guardi gli uomini, di' nel tuo cuore:
tutti saranno salvati, io solo sarò dannato.
Se pensi all'inferno, credi che esso esiste
ma solo per te che sei peccatore.
Tieni il tuo spirito agli inferi
e non disperare mai dell'amore di Dio.
Se pensi di andare all'inferno
sappi che anche là
potrai sempre cantare l'amore di Dio.
Se il tuo Signore è asceso in alto
egli è pure disceso in basso, agli inferi.
Se il tuo Signore ha preso l'ultimo posto
tu non potrai mai rubarglielo.
Se scenderai agli inferi,
troverai il Signore,
se salirai nei cieli, egli ti attende.
Da quel giorno, da quell'alba pasquale
il Tabor e il Golgota sono un unico monte!

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