Passano i giorni dall’incredibile voto dell’Unesco che ha infiammato la “Spianata dell’odio” di Gerusalemme e le reazioni naturalmente non si fermano, anzi non fanno che complicare sempre più lo scenario internazionale e avvelenare i rapporti fra le nazioni.
L’Italia è nel pieno della bufera, per l’incomprensibile astensione del suo rappresentante sulla risoluzione che sancisce, da parte dell’organismo delle Nazioni Unite per la cultura, la comprensione interculturale, il patrimonio storico dell’umanità e quant’altro di prezioso vi è nel mondo, una clamorosa menzogna come verità: ignora infatti ogni legame ebraico e cristiano con il luogo ove sorgono le Moschee della Roccia e Al Aqsa, ovvero la cosiddetta Spianata delle Moschee. Il documento ne parla usando esclusivamente la terminologia araba, non quella ebraica né quella inglese equivalente di Monte del Tempio.
Ma non fu proprio in quella spianata che Abramo si apprestava a sacrificare suo figlio Isacco? In cui re Salomone
costruì il Tempio, distrutto poi da Nabucodonosor nel 586 a.C.? Tempio che vi fu poi ricostruito, sempre dagli ebrei, che re Erode arricchì di mille preziosità, e che le legioni romane di Tito distrussero nel 70 d.C.? E in quel tempio non pregarono forse gli Apostoli e i primi cristiani? E da quel Tempio Gesù non scacciò i mercanti? E ne profetizzò la distruzione (non sarebbe rimasta “pietra su pietra”, disse)? E all’estremità di quella Spianata Gesù non fu processato e condannato alla morte di croce? E da questo luogo non parte ancora oggi la “Via Crucis” dei cattolici che fa memoria di quell’evento? L’Unesco di tutto questo, votando quella risoluzione, non ha tenuto per nulla conto. L’Italia ne è stata complice, “astenendosi” con altri 28 paesi fra cui la Francia. Non ha votato contro, come altri sei paesi: Stati Uniti d’America, Estonia, Lituania, Germania, Olanda e Regno Unito. Ventiquattro i voti favorevoli, quasi tutti di paesi musulmani, ma anche di Russia, Cina e Brasile.
L’esultanza del mondo islamico, e dei palestinesi in particolare, è incontenibile. Il furore degli ebrei è dilagante. Come l’amarezza dello Stato d’Israele. Impressiona la mancata reazione, pronta e sdegnata, di istituzioni cristiane, di quelle cattoliche in particolare. Sembra che non ci si renda conto che si stanno compromettendo seriamente le relazioni con i “fratelli” ebrei. Che il silenzio rischia di vanificare il dialogo ebraico-cristiano. Che il peso dell’incredibilità si stia abbattendo sulle Giornate della memoria e della cultura ebraica. E soprattutto che si stia misconoscendo la eguale considerazione - qualcuno afferma equiparazione - delle tre religioni monoteiste, affermata in migliaia di conferenze e proposta come base di dialogo e di soluzioni all’insegna della convivenza e della pace.
L’Unesco, questo è palese, non si è resa conto che Gerusalemme è troppo al di sopra di manovre diplomatiche surrettizie, di giochi di basso conio e di pericolose strumentalizzazioni, come quelle a cui sovente si è prestata a danno di Israele, persino spianando la strada, al di fuori dei risultati di un negoziato di pace, al riconoscimento internazionale dello “stato” di Palestina. La Verità non lo consente. Tant’è che con questo suo voto, con la pretesa di cancellare la storia ebraica da Gerusalemme, ha compromesso la credibilità non soltanto sua ma anche dell’organismo “Nazioni Unite”. Ora che di questo non si sia accorta l’Italia – ha dovuto attendere il montare delle reazioni vuoi imbarazzanti, vuoi di sgomento di personalità non solo ebraiche, ma anche cristiane – è davvero gravissimo. Tanto che il presidente del consiglio Matteo Renzi, prendendo di fatto le distanze dal ministro degli Esteri, ha ammesso pubblicamente l’errore e proposto di rimediare con una nuova votazione. Fra pochi giorni il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si recherà in visita di Stato in Israele e non avrebbe saputo come spiegare, soprattutto ai nostri connazionali esterrefatti, la figuraccia della nostra diplomazia.
Non si creda però che sia stato un semplice infortunio, un incidente. L’Italia, come peraltro l’ Unione Europea, non ha voluto finora riconoscere che partiti e organizzazioni palestinesi – consapevoli dopo anni di guerre, intifade, violenze e terrorismo di non poter sconfiggere con la forza lo stato d’Israele – stanno operando in tutte le istanze internazionali, e utilizzando ogni mezzo mediatico, per delegittimarlo, rivendicarne tutto il territorio, riscriverne la storia. Il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen di recente ha lanciato persino l’idea di citare in giudizio la Gran Bretagna per la famosa dichiarazione del 1917 del suo premier Balfour “colpevole” di aver preconizzato la nascita di un “focolare” ebraico nel territorio della Palestina di allora, dove dall’inizio del secolo, su impulso del movimento sionista, si era manifestata una forte emigrazione (proseguita poi sotto il Mandato britannico).
Di fatto viene contestata la nascita dello Stato ebraico, pur avvenuta nel rispetto della risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU del 1947, contro la quale si pronunciarono le nazioni arabe prima con il voto, poi con ben tre guerre, perdute. Risoluzione che contemplava la divisione del territorio del Mandato britannico, con la formazione anche di uno Stato arabo e di quello internazionale di Gerusalemme, amministrato dalle Nazioni Unite. La riprova del rifiuto dei due Stati e di un compromesso per Gerusalemme, che era stato alla base degli Accordi di Oslo del 1993, (coronati dal premio Nobel per gli israeliani Rabin e Peres e il palestinese Arafat) si è avuta con il fallimento di tutti i successivi negoziati, contrassegnati dalle più favorevoli disposizioni dei governi israeliani ai palestinesi.
Gli sconvolgimenti in corso in tutto il Vicino e Medio Oriente, il conflitto tra sunniti e sciiti che sta dilaniando l’islam e quello contro l’autoproclamato Stato Islamico, che vede coinvolte anche grandi potenze, e poi le divergenze interpalestinesi testimoniate dall’esercizio separato del potere a Gaza e in Cisgiordania, non sono certo lo scenario propizio per una ripresa del dialogo che pure era stata promossa dalla Francia. Di più, e peggio ancora, la strategia di riscrittura della storia e delle religioni minaccia le residue, esigue, speranze di una convivenza, auspicata da menti illuminate degli opposti schieramenti. Non è che in proposito si sia fatto granché in passato, ancora oggi si staglia il fallimento del piano “cultura della pace”, avviato negli anni Novanta, che doveva portare soprattutto alla revisione dei testi scolastici, alla eliminazione delle falsità e al rifiuto delle distorsioni storiche. Per giungere a una comprensione e forse anche ad un’accettazione reciproca.
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