Tutti abbiamo problemi con lo specchio. Non ci piacciamo, spesso ci disprezziamo. Ma l’aspetto fisico c’entra solo marginalmente. Il fatto è che il demonio, con la sua menzogna, ci ha resi sordi e balbuzienti, come suggerisce l’originale greco. I suoi sofismi sono come una bomba che ci scoppia a pochi metri, fa saltare i timpani. Per questo non possiamo più ascoltare la voce di Dio che ci annuncia il suo amore infinito; e ci ritroviamo a “tartagliare” parole incomprensibili perché si parla ciò che si ascolta, e le menzogne del demonio sono un linguaggio innaturale per l'uomo creato da Dio. L'incapacità di comunicare ascoltando e parlando è il segno di una vita che il demonio, separandola dal Padre e isolandola dagli altri, ha reso brutta. Dove manca l’amore svanisce il senso delle cose che si fanno, ci si chiude nell’egoismo, e tutto diventa sciatto, incolore, insapore. Per questo non ci piacciamo e ci disprezziamo scivolando in uno stato perenne di angoscia, nevrosi e insoddisfazione. Per questo, e non solo per i modelli mondani, le nostre figlie lambiscono la voragine dell'anoressia e della bulimia, e così spesso ci cadono dilaniandoci il cuore. Il demonio ci inganna nascondendoci il sole che fa “bella” la nostra vita, ovvero l'amore di Dio che bruciando i peccati nel perdono fa risplendere in noi la sua immagine. Chi non si sente amato da Dio si vede brutto, sempre. E chi si vede brutto può fare qualunque cosa, trascinando gli altri nel buio della propria vita ormai senza valore. E non possiamo farci nulla, serve un miracolo, di quelli che solo Gesù può fare. Non illudiamoci, è inutile esigere perché un sordomuto è isolato dal mondo e ha perciò bisogno di qualcuno che lo conduca a Gesù e lo preghi a suo nome. Chi da tanto non ascolta Dio infatti, non ha parole da rivolgergli. Ma Lui passa oggi per Sidone, in pieno territorio della Decapoli, cioè nel pieno della vita pagana di chi non conosce o ha tagliato con l'unico vero Dio, lasciamoci condurre dalla Chiesa che prega per noi nel deserto dell'intimità con Cristo. Qui sono all'opera le sue dita creatrici e la sua saliva, ovvero la sua carne e le sue parole che sono i sacramenti e la predicazione, con cui compie in noi il Mistero Pasquale: la sua carne trafitta trafigge la corazza d'orgoglio che ci fa sordi, mentre la sua saliva, che reca impresse le parole della sua stessa bocca, scioglie la nostra lingua come rugiada del mattino. “Effatà, apriti!” sono le parole che rinnovano in noi la Grazia del battesimo come nel seno dischiuso della Chiesa in parto, perché la Parola di Dio partorisce ciò che annunzia, mentre quello che il suo dito disegna è tutto "bello" perché tutto gli assomiglia: "Una funzione essenziale della vera bellezza consiste nel comunicare all’uomo una salutare scossa, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo risveglia aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto" (Benedetto XVI). Verso il Cielo dove Gesù guarda sospirando l'alito creatore di Vita. Come in un bacio il Signore ci dona se stesso deponendo sulla nostra lingua le sue Parole di Vita, e con una carezza di misericordia il Signore apre le nostre orecchie per annunciarle correttamente. Un cristiano, infatti, è colui che, dopo aver ascoltato sa parlare “con-rettitudine” di Dio, cioè nella lode e nella gratitudine, perché ha sperimentato che nell’amore ha fatto bella ogni cosa nella sua vita: "Attraverso le dita di carne il sordomuto ha sentito che gli si toccavano la lingua. Attraverso le dita palpabili, ha percepito la divinità intoccabile quando il nodo della sua lingua venne sciolto. Infatti l’architetto e l’artigiano del corpo è venuto fino a lui e, con una parola dolce, ha creato senza dolore, delle aperture nei suoi orecchi sordi; allora, anche questa bocca chiusa, finora incapace di dare alla luce la parola, ha messo al mondo la lode di colui che ha fatto portare frutto alla sua sterilità" (Sant’Efrem Siro).
venerdì 9 febbraio 2018
Tutti abbiamo problemi con lo specchio. Non ci piacciamo, spesso ci disprezziamo. Ma l’aspetto fisico c’entra solo marginalmente. Il fatto è che il demonio, con la sua menzogna, ci ha resi sordi e balbuzienti, come suggerisce l’originale greco. I suoi sofismi sono come una bomba che ci scoppia a pochi metri, fa saltare i timpani. Per questo non possiamo più ascoltare la voce di Dio che ci annuncia il suo amore infinito; e ci ritroviamo a “tartagliare” parole incomprensibili perché si parla ciò che si ascolta, e le menzogne del demonio sono un linguaggio innaturale per l'uomo creato da Dio. L'incapacità di comunicare ascoltando e parlando è il segno di una vita che il demonio, separandola dal Padre e isolandola dagli altri, ha reso brutta. Dove manca l’amore svanisce il senso delle cose che si fanno, ci si chiude nell’egoismo, e tutto diventa sciatto, incolore, insapore. Per questo non ci piacciamo e ci disprezziamo scivolando in uno stato perenne di angoscia, nevrosi e insoddisfazione. Per questo, e non solo per i modelli mondani, le nostre figlie lambiscono la voragine dell'anoressia e della bulimia, e così spesso ci cadono dilaniandoci il cuore. Il demonio ci inganna nascondendoci il sole che fa “bella” la nostra vita, ovvero l'amore di Dio che bruciando i peccati nel perdono fa risplendere in noi la sua immagine. Chi non si sente amato da Dio si vede brutto, sempre. E chi si vede brutto può fare qualunque cosa, trascinando gli altri nel buio della propria vita ormai senza valore. E non possiamo farci nulla, serve un miracolo, di quelli che solo Gesù può fare. Non illudiamoci, è inutile esigere perché un sordomuto è isolato dal mondo e ha perciò bisogno di qualcuno che lo conduca a Gesù e lo preghi a suo nome. Chi da tanto non ascolta Dio infatti, non ha parole da rivolgergli. Ma Lui passa oggi per Sidone, in pieno territorio della Decapoli, cioè nel pieno della vita pagana di chi non conosce o ha tagliato con l'unico vero Dio, lasciamoci condurre dalla Chiesa che prega per noi nel deserto dell'intimità con Cristo. Qui sono all'opera le sue dita creatrici e la sua saliva, ovvero la sua carne e le sue parole che sono i sacramenti e la predicazione, con cui compie in noi il Mistero Pasquale: la sua carne trafitta trafigge la corazza d'orgoglio che ci fa sordi, mentre la sua saliva, che reca impresse le parole della sua stessa bocca, scioglie la nostra lingua come rugiada del mattino. “Effatà, apriti!” sono le parole che rinnovano in noi la Grazia del battesimo come nel seno dischiuso della Chiesa in parto, perché la Parola di Dio partorisce ciò che annunzia, mentre quello che il suo dito disegna è tutto "bello" perché tutto gli assomiglia: "Una funzione essenziale della vera bellezza consiste nel comunicare all’uomo una salutare scossa, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo risveglia aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto" (Benedetto XVI). Verso il Cielo dove Gesù guarda sospirando l'alito creatore di Vita. Come in un bacio il Signore ci dona se stesso deponendo sulla nostra lingua le sue Parole di Vita, e con una carezza di misericordia il Signore apre le nostre orecchie per annunciarle correttamente. Un cristiano, infatti, è colui che, dopo aver ascoltato sa parlare “con-rettitudine” di Dio, cioè nella lode e nella gratitudine, perché ha sperimentato che nell’amore ha fatto bella ogni cosa nella sua vita: "Attraverso le dita di carne il sordomuto ha sentito che gli si toccavano la lingua. Attraverso le dita palpabili, ha percepito la divinità intoccabile quando il nodo della sua lingua venne sciolto. Infatti l’architetto e l’artigiano del corpo è venuto fino a lui e, con una parola dolce, ha creato senza dolore, delle aperture nei suoi orecchi sordi; allora, anche questa bocca chiusa, finora incapace di dare alla luce la parola, ha messo al mondo la lode di colui che ha fatto portare frutto alla sua sterilità" (Sant’Efrem Siro).
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