Ogni giorno, come una risacca, riemerge in noi il medesimo desiderio, la solita concupiscenza: "alla destra e alla sinistra" del potere, per dirigere la vita e sfuggire alla morte. Come Giacomo e Giovanni siamo figli della carne: nostra madre, come ogni madre, aspira ai primi posti, illudendosi di sfuggire così al dolore e al fallimento. Concepiti nel peccato "non sappiamo cosa chiedere" a Dio e alla vita, sempre in cerca di fatti ed emozioni nuove, di qualcosa che ci colmi che neanche conosciamo. Facciamo i capricci e basta, come i bambini. E, ciechi sulla nostra debolezza, ci "sdegniamo" delle pretese altrui. Ma la vita ogni giorno ci porta "a Gerusalemme", e la Quaresima ce lo ricorda. La storia ci presenta un "calice" attraverso le difficoltà, i problemi e i fallimenti. Per esempio, questo calice è tuo marito; forse non lo hai mai guardato così, o forse sì, ma non ne hai mai bevuto sino in fondo. Hai sorseggiato un pochino, e subito la sua violenza, la superficialità e l'indifferenza, la debolezza cronica che lo rende incapace di prendere decisioni, ti ha dato alla testa; e il demonio ha avuto buon gioco per dirti di non accostarti più a lui, che nel vino è mescolato il veleno, un'altro sorso e moriresti. Quanti giorni sono che non gli parli? Quante mormorazioni mentre gli stiri le camice? Per questo la Quaresima viene in tuo aiuto, così come a ciascuno di noi, tutti disposti superbamente a bere di qualunque calice, per poi sputarne immediatamente il vino appena sorseggiato. In questo tempo la Chiesa ci invita di nuovo a prendere il calice che Cristo ci porge. E' il suo, perché tuo marito, come tua moglie, tuo figlio e ogni altra persona, tutti sono stati riscattati e comprati al caro prezzo del sangue di Cristo. Non potremo sperimentare la Pasqua senza accostarci al calice del Signore, senza berne sino in fondo per gustare il suo amore. E' vero, c'è del veleno, il demonio non ha mentito; c'è il peccato, e la morte che ne consegue. Ma ha nascosto l'altra parte della realtà, la verità più importante. Proprio il vino che vi è dentro è il sangue di Cristo, spremuto e pigiato nel tino della sua Croce. E' più forte del peccato e della morte, ha assorbito e reso innocuo il veleno. Bere oggi al calice di Cristo significa, infatti, partecipare della Nuova Alleanza, attingere alla Coppa che chiude, come un sigillo, il Seder della notte di Pasqua, per uscire con Lui nella notte dove si è infilato Giuda per offrirsi proprio a lui. In quel giardino Gesù ci ha mostrato la libertà; nessuno più libero di Lui, libero di donarsi spontaneamente a chi lo tradiva perché certo dell'amore del Padre. Convertirci significa quindi bere al calice di Cristo per gustare, misteriosamente, proprio al culmine del dolore, la libertà che si fa pienezza e anticipo della terra promessa. Non temere allora per qualche brivido, per il dolore che ti ha procurato tuo marito. Esci con Cristo da te stessa e consegnati a Giuda, allo sposo che mentre ti baciava ti ha tradito. Proprio lì sperimenterai la Pasqua del tuo matrimonio, la resurrezione dell'amore autentico che si incarna nel "servizio" gratuito e disinteressato. E' di questo che ha bisogno ogni matrimonio, come ogni altra relazione, con i figli, con gli amici, con i nemici. Solo entrando nella storia concreta di ogni giorno si può sperimentare la libertà conquistata da Cristo quando ha superato la barriera della morte. E lì, all'ultimo posto, dietro a tutti - alla moglie, al marito, ai fratelli, al figlio, al collega - l'orizzonte si allarga e diveniamo "i primi", ovvero le "primizie" di coloro che hanno vinto la morte. L'ultimo posto, infatti, è l'unico che compie il naturale desiderio di essere i primi: primi come Gesù, il Primogenito, guardando tutto dal basso verso l'alto, capovolgendo criteri e gerarchie, nella follia di un conteggio che fa saltare la matematica dell'orgoglio. E' il paradosso divino al quale siamo chiamati: il Padre "celeste" guarda tutto dall'alto abbracciando il senso pieno di ogni esistenza, dal concepimento alla morte, dove ogni particolare è incastonato nel suo progetto totale, proprio perché, nel suo Figlio, ha deposto lo sguardo sull'ultimo posto della terra, il più distante dal Cielo. In esso, infatti, si comincia a contare dall'ultimo posto, quello del suo Re e Signore: così "tra di voi" nella Chiesa, nelle famiglie cristiane, ovunque vi sia un fratello del Primo tra i risorti dalla morte. Coraggio allora, il Signore "ci chiama a sé" e ci annuncia che "berremo al suo calice". Non importa se non sappiamo "il posto" che ci sarà assegnato nel Regno dei Cieli: lì la carne non saprà distinguere un posto da un altro, perché "Cristo sarà tutto in tutti". Sulla terra, l'ultimo posto che ha preso il Signore, ci ammaestra e prepara a quello che occuperemo in Cielo: dove siamo con Cristo è già il Paradiso; piccoli con il più piccolo per essere i più grandi con il più grande nell'amore
mercoledì 28 febbraio 2018
Ogni giorno, come una risacca, riemerge in noi il medesimo desiderio, la solita concupiscenza: "alla destra e alla sinistra" del potere, per dirigere la vita e sfuggire alla morte. Come Giacomo e Giovanni siamo figli della carne: nostra madre, come ogni madre, aspira ai primi posti, illudendosi di sfuggire così al dolore e al fallimento. Concepiti nel peccato "non sappiamo cosa chiedere" a Dio e alla vita, sempre in cerca di fatti ed emozioni nuove, di qualcosa che ci colmi che neanche conosciamo. Facciamo i capricci e basta, come i bambini. E, ciechi sulla nostra debolezza, ci "sdegniamo" delle pretese altrui. Ma la vita ogni giorno ci porta "a Gerusalemme", e la Quaresima ce lo ricorda. La storia ci presenta un "calice" attraverso le difficoltà, i problemi e i fallimenti. Per esempio, questo calice è tuo marito; forse non lo hai mai guardato così, o forse sì, ma non ne hai mai bevuto sino in fondo. Hai sorseggiato un pochino, e subito la sua violenza, la superficialità e l'indifferenza, la debolezza cronica che lo rende incapace di prendere decisioni, ti ha dato alla testa; e il demonio ha avuto buon gioco per dirti di non accostarti più a lui, che nel vino è mescolato il veleno, un'altro sorso e moriresti. Quanti giorni sono che non gli parli? Quante mormorazioni mentre gli stiri le camice? Per questo la Quaresima viene in tuo aiuto, così come a ciascuno di noi, tutti disposti superbamente a bere di qualunque calice, per poi sputarne immediatamente il vino appena sorseggiato. In questo tempo la Chiesa ci invita di nuovo a prendere il calice che Cristo ci porge. E' il suo, perché tuo marito, come tua moglie, tuo figlio e ogni altra persona, tutti sono stati riscattati e comprati al caro prezzo del sangue di Cristo. Non potremo sperimentare la Pasqua senza accostarci al calice del Signore, senza berne sino in fondo per gustare il suo amore. E' vero, c'è del veleno, il demonio non ha mentito; c'è il peccato, e la morte che ne consegue. Ma ha nascosto l'altra parte della realtà, la verità più importante. Proprio il vino che vi è dentro è il sangue di Cristo, spremuto e pigiato nel tino della sua Croce. E' più forte del peccato e della morte, ha assorbito e reso innocuo il veleno. Bere oggi al calice di Cristo significa, infatti, partecipare della Nuova Alleanza, attingere alla Coppa che chiude, come un sigillo, il Seder della notte di Pasqua, per uscire con Lui nella notte dove si è infilato Giuda per offrirsi proprio a lui. In quel giardino Gesù ci ha mostrato la libertà; nessuno più libero di Lui, libero di donarsi spontaneamente a chi lo tradiva perché certo dell'amore del Padre. Convertirci significa quindi bere al calice di Cristo per gustare, misteriosamente, proprio al culmine del dolore, la libertà che si fa pienezza e anticipo della terra promessa. Non temere allora per qualche brivido, per il dolore che ti ha procurato tuo marito. Esci con Cristo da te stessa e consegnati a Giuda, allo sposo che mentre ti baciava ti ha tradito. Proprio lì sperimenterai la Pasqua del tuo matrimonio, la resurrezione dell'amore autentico che si incarna nel "servizio" gratuito e disinteressato. E' di questo che ha bisogno ogni matrimonio, come ogni altra relazione, con i figli, con gli amici, con i nemici. Solo entrando nella storia concreta di ogni giorno si può sperimentare la libertà conquistata da Cristo quando ha superato la barriera della morte. E lì, all'ultimo posto, dietro a tutti - alla moglie, al marito, ai fratelli, al figlio, al collega - l'orizzonte si allarga e diveniamo "i primi", ovvero le "primizie" di coloro che hanno vinto la morte. L'ultimo posto, infatti, è l'unico che compie il naturale desiderio di essere i primi: primi come Gesù, il Primogenito, guardando tutto dal basso verso l'alto, capovolgendo criteri e gerarchie, nella follia di un conteggio che fa saltare la matematica dell'orgoglio. E' il paradosso divino al quale siamo chiamati: il Padre "celeste" guarda tutto dall'alto abbracciando il senso pieno di ogni esistenza, dal concepimento alla morte, dove ogni particolare è incastonato nel suo progetto totale, proprio perché, nel suo Figlio, ha deposto lo sguardo sull'ultimo posto della terra, il più distante dal Cielo. In esso, infatti, si comincia a contare dall'ultimo posto, quello del suo Re e Signore: così "tra di voi" nella Chiesa, nelle famiglie cristiane, ovunque vi sia un fratello del Primo tra i risorti dalla morte. Coraggio allora, il Signore "ci chiama a sé" e ci annuncia che "berremo al suo calice". Non importa se non sappiamo "il posto" che ci sarà assegnato nel Regno dei Cieli: lì la carne non saprà distinguere un posto da un altro, perché "Cristo sarà tutto in tutti". Sulla terra, l'ultimo posto che ha preso il Signore, ci ammaestra e prepara a quello che occuperemo in Cielo: dove siamo con Cristo è già il Paradiso; piccoli con il più piccolo per essere i più grandi con il più grande nell'amore
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