Il vescovo nigeriano lascia. Val più la tribù del battesimo
- Ecclesia
- 22-02-2018
Monsignor Opkaleke era stato nominato nel 2012 vescovo di Ahiara, Nigeria. L'ostilità di clero e fedeli è stata implacabile, irremovibili nel rifiutare “un estraneo”: appartiene a una tribù rivale rispetto a quella maggioritaria di Ahiara. Nonostante l'appoggio del Papa, il vescovo ha dovuto mollare.
“Quando nella Chiesa cattolica, la cui essenza stessa significa comunione, fraternità, unità, i membri si dividono per questioni etniche e tribali, dobbiamo seriamente porci la domanda profetica: abbiamo davvero compreso il significato del nostro tempo e della nostra fede?”. Padre Donald Zagore, teologo, missionario della Società delle Missioni Africane, ha commentato così per l’Agenzia Fides la notizia delle dimissioni di Monsignor Peter Wbere Opkaleke, vescovo di Ahiara, Nigeria, che Papa Francesco ha accettato il 19 febbraio.
Monsignor Opkaleke era stato nominato nel 2012, ma non ha mai messo piede nella sua sede vescovile per l’implacabile ostilità di clero e fedeli, irremovibili nel rifiutare “un estraneo” come pastore: “lui non è il nostro vescovo, piuttosto siamo pronti a continuare senza un vescovo”. Il fatto è che gli abitanti della diocesi di Ahiara, situata nello stato sudorientale di Imo, sono quasi tutti di etnia Mbaise, una delle molte tribù del grande gruppo etnico Ibo. Anche Monsignor Opkaleke, originario del vicino stato di Anambra, è un Ibo, ma di un’altra tribù, ed è per quest’unico motivo che la popolazione non ha accettato la sua nomina ed è insorta. La cattedrale è stata persino bloccata con barricate per impedirgli di entrare, se mai avesse osato presentarsi. Ancora adesso i rappresentanti ufficiali della Chiesa cattolica non hanno accesso alla cattedrale e alla curia.
Monsignor Opkaleke è stato consacrato altrove ed è stato assegnato al seminario di Ulakwo a Owerri, la capitale dello stato, in attesa di poter raggiungere Ahiara. Ma ogni tentativo di farlo accettare dai suoi fedeli è fallito e sono trascorsi così cinque anni. Nel giugno del 2017 una delegazione della diocesi, ricevuta dal Papa in Vaticano, ha confermato il fermo rifiuto dell’ “estraneo”, ribadendo che sarebbe stato possibile e giusto trovare tra i sacerdoti di etnia Mbaise una persona dotata dei requisiti necessari per essere scelta come vescovo. La reazione di Papa Francesco è stata durissima. A sua volta ha replicato che quella del clero di Ahiara è una posizione insostenibile e soprattutto intollerabile. Quindi ha concesso ai sacerdoti di Ahiara un mese di tempo per pentirsi: entro quel termine, tutti erano tenuti a indirizzare al Pontefice una lettera chiedendogli perdono per il loro comportamento, pena ipso facto la sospensione a divinis e la rimozione dall’incarico. La lettera doveva essere individuale e personale, doveva “esprimere chiaramente una obbedienza totale al Papa” e l’impegno “ad accettare il vescovo nominato e inviato dal Papa”. “Il popolo di Dio è scandalizzato” aveva aggiunto Papa Francesco definendo peccato mortale un simile atto di disobbedienza: “questo non è un caso di tribalismo – aveva voluto precisare – è un caso di appropriazione della vigna del Signore”, con riferimento alla parabola dei vignaioli omicidi.
Ma neanche questo duro ammonimento ha scosso il clero di Ahiara. Alla fine Monsignor Opkaleke ha annunciato le proprie dimissioni con una lettera pastorale pubblicata il mercoledì delle Ceneri.
“Purtroppo – prosegue il commento di padre Zagore pubblicato dall’Agenzia Fides – ci rendiamo conto, giorno dopo giorno, che il sangue della cultura, dell’etnia, della tribù rimane più forte e più importante dell’acqua santa del battesimo. Il paradigma della ‘Chiesa famiglia di Dio’ in Africa, sembra spesso un discorso privo di significato, che assume a tratti l'aspetto di una farsa. Ci stiamo spostando sempre di più dalla ‘Chiesa famiglia di Dio’ alla Chiesa tribale. Va detto con forza che questo atteggiamento è tutto tranne che cristiano”.
Quella di Ahiara è “solo la punta dell’iceberg” del tribalismo, conclude padre Zagore, e non è neanche un caso isolato. Nel 2011 in Sierra Leone la decisione del Vaticano di sostituire con un sacerdote africano il vescovo italiano Giorgio Biguzzi, che per raggiunti limiti d’età lasciava l’incarico ricoperto per 24 anni, aveva destato l’entusiasmo dei fedeli e del clero della diocesi di Makeni. Ma la gioia aveva presto lasciato il posto a una rabbia incredula non appena si era sparsa la notizia che la scelta del successore era caduta su padre Henry Aruna, un sacerdote di etnia Mende, la seconda etnia della Sierra Leone, ma concentrata nel sud, mentre Makeni è al nord ed è il territorio dei Temne, l’etnia più numerosa. Anche a Makeni le porte della cattedrale sono state sbarrate, la popolazione è insorta. Monsignor Aruna, l’ “usurpatore”, è stato ordinato, un anno dopo la nomina nella capitale Freetown, per evitare disordini, e a Makeni non si è mai insediato. In quel caso la Santa Sede ha scelto di lasciare l’incarico vacante e ha chiamato a gestire la diocesi un amministratore apostolico, padre Natalio Paganelli, un missionario saveriano, elevato poi nel 2015 alla dignità episcopale per la diocesi di Gadiaufala, con l’incarico di vescovo amministratore di Makeni. Monsignor Aruna è stato nominato nel 2013 vescovo ausiliario della sua diocesi di origine, quella di Kenema, nel sud Mende, e nel 2015 vescovo di Nasbinca, in Algeria.
I fedeli “ribelli” di Ahiara almeno per ora non vedranno soddisfatta la loro richiesta di un pastore Mbaise. Il 19 febbraio Papa Francesco ha nominato un amministratore apostolico per la diocesi. Si tratta di Monsignor Lucius Iwjuru Ugorji, vescovo di Umuahia, la capitale dello stato di Abia che confina con quello di Imo. Lo scorso anno il Pontefice aveva preso in considerazione anche la possibilità di sopprimere la diocesi di Ahiara, riunendola a quella della capitale Owerri da cui era stata staccata nel 1987.
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