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mercoledì 7 febbraio 2018

Spiacere a tutti per non mentire a nessuno


Dal libro “Le chiavi pesanti” di Domenico Agasso, S.Paolo 1979 – pag.123 – 129
Venticinque giorni dopo scoppiò la vera bomba: fu pubblicata l’enciclica Humanae vitae, con la data del 25 luglio 1968. Una delle più brevi, 31 capitoletti, riassunti ancor più brevemente, in tre sole parole, dagli immediati commenti: «No alla pillola». Cioè “no” a sistemi anticoncezionali usati già in tutto il mondo, con grandioso impulso all’industria farmaceutica, e ormai familiari a molti cattolici. Di più: la “pillola” era penetrata anche nei confessionali, nei consigli o nei consensi dei sacerdoti a un gran numero di fedeli. Dal papa, naturalmente, nessuno si attendeva via libera a ogni forma di impedimento alle nascite.
Ma molti pensavano che, magari con circonlocuzioni sapienti, egli avrebbe aperto un qualche varco, tenendo conto dei molti problemi che veramente angustiavano quantità di sinceri cattolici, decisi a vivere insieme l’amore coniugale e quello di Dio; e quasi scandalizzati al pensiero che la Chiesa potesse metterli l’uno contro l’altro. Invece, Paolo VI fu chiaro e rigoroso:
«È assolutamente da escludere, come via lecita per la regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto l’aborto direttamente voluto e procurato, anche se per ragioni terapeutiche. È parimenti da escludere la sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna. È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione».
Paolo VI considerava leciti altri mezzi, come quello basato sul calcolo dei periodi infecondi, poiché in quel caso «i coniugi usufruiscono legittimamente di una disposizione naturale». D’altro canto, per lui la questione non era chiusa lì, potendo gli scienziati «dare un grande contributo al bene del matrimonio e della famiglia e alla pace delle coscienze se, unendo i loro studi, cercheranno di chiarire più a fondo le diverse condizioni che favoriscono una onesta regolazione della procreazione umana». Queste non erano parole di Paolo VI, ma del Concilio, che il Papa riportava. Quanto ai problemi dei Paesi in via di sviluppo circa la demografia, essi non si possono risolvere con «metodi e mezzi che sono indegni dell’uomo e che trovano la loro spiegazione soltanto in una concezione materialistica dell’uomo stesso e della sua vita.
La vera soluzione si trova soltanto nello sviluppo economico e nel progresso sociale, che promuovono e rispettano i veri valori umani». E quest’altra citazione era ripresa testualmente da Giovanni XXIII, nella Mater et Magistra. Il problema delle nascite ha tali dimensioni e tanti aspetti da preoccupare – in materia di limitazione – anche il non cattolico e il non credente. Anche ad essi si rivolgeva Paolo VI. (L’enciclica, come le precedenti, era pure indirizzata «a tutti gli uomini di buona volontà»). Attenzione, diceva il Papa, a non fornire straordinari e scandalosi alibi, o scappatoie per eludere il problema dello sviluppo e della giustizia: «Altra è la via mediante la quale i pubblici poteri possono e devono contribuire alla soluzione del problema demografico: ed è la via di una provvida politica familiare, di una saggia educazione dei popoli, rispettosa della legge morale e della libertà dei cittadini […]
Né si potrebbe senza grave ingiustizia rendere la divina Provvidenza responsabile di ciò che dipendesse invece da minore saggezza di governo, da un senso insufficiente di giustizia sociale, da egoistico accaparramento o ancora da biasimevole indolenza nell’affrontare gli sforzi e i sacrifici necessari per assicurare l’elevazione del livello di vita di un popolo e di tutti i suoi figli». Connesso a questo, il problema della libertà, minacciata di confisca. Qualsiasi governo può imporre la regolazione artificiale delle nascite – cioè proibire a dei genitori di avere quanti figli desiderano – come misura indispensabile al benessere. Se si ammette che una famiglia possa e debba ricorrere a questi mezzi per risolvere i problemi di casa, ne deriva che il potere civile potrà fare altrettanto; e applicare lo stesso criterio, obbligatorio, per risolvere i problemi della collettività. «In tal modo», continuava Paolo VI, «gli uomini, volendo evitare le difficoltà individuali, familiari o sociali che s’incontrano nell’osservanza della legge divina, arriverebbero a lasciare in balia dell’intervento delle autorità pubbliche il settore più riservato e personale dell’intimità coniugale». L’enciclica non intimava «crescete e moltiplicatevi», non imponeva di fare più figli. Però avvertiva: può accadere che altri vi comandi di farne di meno; che le dimensioni della vostra famiglia vengano stabilite non già da voi, ma dal governo, dall’autorità, da estranei. O anche, indirettamente, da forze più indebite ancora.
Molti popoli, infatti, sono finiti in povertà perché derubati a lungo dei loro beni: ma ancora oggi si sentono rimproverare la fecondità come unica cagione della loro miseria; magari da chi li ha derubati. Piuttosto che trattarli meglio negli scambi commerciali, vi è chi preferisce plaudire alla sterilizzazione, regalare anticoncezionali, ferme restando le tariffe e le soperchierie mercantili. Naturalmente Paolo VI già sapeva che l’avrebbero attaccato da tutte le parti. Anzi, lo scrisse già nell’enciclica: «Si può prevedere che questo insegnamento non sarà forse accolto facilmente da tutti: troppe sono le voci – amplificate dai moderni mezzi di propaganda – che contrastano con la voce della Chiesa». Infatti, il rumore fu enorme, e vastissime le critiche. Anche in campo cattolico. Anzi, a cominciare da esso. Preti, teologi, isolati e a gruppi, dichiararono apertamente che non avrebbero tenuto alcun conto della Humanae vitae: anzi, avrebbero consigliato ai fedeli di fare altrettanto, enciclica o no. Vescovi e cardinali di grande autorità dichiaravano che sarebbe stato oltremodo difficile convincere i fedeli. Altri cardinali e vescovi – la maggioranza – tacevano. Un brutto silenzio, così lontano dalle ondate di telegrammi “filiali” dopo le altre encicliche. E del resto molti vescovi temevano le furie di certi loro preti o, forse di più ancora, l’amara delusione dei fedeli.
Che cosa dire? il cardinale olandese Alfrink, con la sua intatta lealtà, fece questo commento: «L’enciclica è una dichiarazione autorevole, anche se non infallibile. Ritengo che occorra formare una coscienza individuale per affrontare decisioni in materia di moralità». Infatti, l’enciclica non è un pronunciamento ex cathedra valevole per sempre; è legata al tempo. Ma c’erano preti che addirittura negavano al papa il diritto di parlare – infallibilmente o no – sulla questione. Arrivavano lettere infuocate negli episcopi, con firme di preti. Metà del clero della diocesi di Washington respinse il documento.
Furono sondate anche le suore cattoliche degli Stati Uniti, e si annunciò questo risultato: il 57 per cento considerava necessario il controllo delle nascite. «Le parole del Papa ci hanno crocifissi», scrivevano teologi e sessuologi cattolici francesi. Altri lo accusavano di pauroso balzo all’indietro, verso una sessuofobia inaccettabile. O di preparare catastrofi demografiche in un futuro non lontano. O di aver creato un nuovo caso Galilei. Alla Borsa di New York, bordate di accuse all’enciclica, che subito dopo la pubblicazione aveva bloccato il felice andamento dei titoli dell’industria produttrice della pillola.
Poi i titoli risalirono; il consumo non diminuiva. Se ne concluse che l’enciclica aveva lasciato le cose come prima, e che al Papa non si dava retta. Paolo VI diede allora l’impressione di un uomo isolato, deluso. Le critiche, l’ostilità, le aveva previste. Si era anche immedesimato nei problemi delle coppie cattoliche: e tutto avrebbe voluto, meno che presentare ai fedeli un cristianesimo dei divieti, paralizzante. Conosceva la fede di molti preti contrari all’enciclica. Poteva anche dar ragione a chi si sentiva “crocifisso” dal suo rigore. Ma nello stesso tempo era ben certo che null’altro poteva dare ai fedeli, se non questa risposta faticosa; questa spinta a rinunce e insieme anche a ricerche.
Dopo la Populorum progressio, era impossibile non scrivere la Humanae vitae: già in quella prima enciclica aveva detto che lo sviluppo di tutti, e quindi la pace, costano. Non ci si arriva con accordi e trattati agevoli, ma con sacrifici, abbandonando per l’appunto le comodità e le sicurezze attraenti, ma provvisorie. Un altro esodo: dall’Egitto con il suo cibo abbondante ma a prezzo di schiavitù, alle marce nel deserto, verso una sudata Terra Promessa. Gli uomini e i cristiani li aveva forse amareggiati con quel “no”. Ma non li aveva illusi. Questo sarebbe stato il peccato enorme: illuderli, mimetizzare la durezza della ricerca e della conquista, camuffare la croce. E sentire, ora, che tutto il mondo era costernato per le sue parole, che i cattolici quasi si vergognavano della Humanae vitae in faccia ai fratelli separati, in faccia a tutti… Possibile che non capissero? Tutti vogliono fare un mondo diverso e migliore; e pretendono che sia questo uomo occidentale e sazio a costruirlo. Non sanno che solo un “altro uomo” sarà capace di creare con immensa fatica un “altro mondo”? Questa era la verità ai suoi occhi, e lui l’aveva soltanto detta a voce alta… Tuttavia, se le critiche furono vastissime e vivaci, a Paolo VI pervenivano anche segnali differenti. Non tanto dalla gerarchia; almeno, non da tutta. Piuttosto da gruppi e da individui, ecclesiastici e laici, studiosi, coppie di coniugi. Niente di clamoroso. Né di fazioso: Paolo VI non voleva essere un Pio IX circondato da nostalgici del Papa – re dopo gli errori e i disastri delle resistenze temporalistiche, e non lo fu. Dimesse, isolate, quasi sempre trascurate dai grandi mezzi di comunicazione, arrivavano certe voci attese, di cui è un esempio questa testimonianza di un gruppo di cattolici francesi: «Provenienti da ambiente modesto, anche se la situazione di alcuni è poi migliorata, noi sappiamo che cosa significa privarsi, rinunciare, per crescere dei figli. Privarsi del superfluo e anche del necessario, così come la necessaria disciplina sessuale: queste sono croci che il cristiano deve portare. O forse oggi si cerca di far credere alle masse che l’ideale è permettere tutto, e non lottare mai?». Voci qua e là, tuttavia, ancora isolate. E dall’altra parte c’era il vasto coro.
Prima col Credo e poi con la Humanae vitae sembrava che Paolo VI avesse creato il vuoto intorno a sé e alla Chiesa, annullato il Concilio, riportato l’orologio indietro di un secolo, mentre lasciando un po’ dire da una parte e lasciando fare un po’ dall’altra, l’avrebbero promosso condottiero del progresso. Invece, eccolo ridotto a fare l’inventario quotidiano degli attacchi e delle proteste; nessun capo di Stato gli scriveva più congratulandosi. Fedeli perplessi arrivavano in basilica per l’udienza. E lui doveva incominciare la paziente spiegazione dei suoi due gesti, confidarsi sull’enciclica: «Il sentimento della nostra responsabilità […] ci ha fatto non poco soffrire spiritualmente», O confessare i momenti di tentazione: «Quante volte abbiamo trepidato davanti al dilemma di una facile condiscendenza alle opinioni correnti, ovvero d’una sentenza male sopportata dall’odierna società, o che fosse troppo grave per la vita coniugale!». Proprio in quei mesi cominciarono i suggerimenti di dimissioni, occhieggianti qua e là in “dichiarazioni attribuite”, in scritti di ecclesiastici non nominati. Si andava ad analizzare il suo discorso di Fumone su Celestino V per piluccarvi presagi, per cercare analogie tra Giovanni Battista Montini e Pietro del Morrone: prigionieri entrambi di forze superiori, si diceva, a rischio di farsene schiacciare; prigioniero poi Paolo VI della Curia, di questo o di quel prelato, proprio come Celestino. E allora… Il “prigioniero Paolo” non era stato mai così libero come in quei giorni amari.
Non fu mai così totalmente papa, né così maestro, come in quella scelta: spiacere a tutti per non mentire a nessuno. Oggi la pensano così anche uomini che non gli furono vicini: le disapprovazioni, le incertezze, i pochi consensi, le visite rarefatte, i fedeli interdetti, i coperti inviti ad andarsene: quella è stata la sua ora più bella, Paolo VI non fu mai così grande

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