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giovedì 24 maggio 2018

L’equazione terrorismo-Islam? “Una menzogna e una sciocchezza”


Intervista del Papa con L’Eco di Bergamo per l’arrivo in città del corpo di Giovanni XXIII: «Compito della Chiesa non è far cambiare i governi, ma far entrare la logica del Vangelo nel pensiero e nei gesti dei governanti»





ciità del vaticano

«Sarà anche sulla bocca di tanti, ma quell'equazione è una menzogna e una sciocchezza». Così Papa Francesco ha definito l’equiparazione che molti fanno tra islamici e terroristi. Lo ha fatto nell’ampia intervista con il direttore dell’Eco di Bergamo, pubblicata nell’edizione del 24 maggio 2018, in occasione dell’arrivo in città dell’urna con le spoglie di san Giovanni XXIII, che torna così per la prima volta nella sua terra. Il ruolo più importante delle religioni, ha affermato Bergoglio, «è quello della promozione della cultura dell'incontro, insieme alla promozione di una vera educazione a comportamenti di responsabilità nel prenderci cura del creato». 
   
Francesco ha ricordato il “Papa Buono”, da lui canonizzato, definendolo «un uomo, un santo che non conosceva la parola nemico, al quale non piacevano parole come “crociate” o “proselitismo”, che invece cercava sempre ciò che unisce». Lui era «consapevole che la Chiesa è chiamata a servire l'uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non solamente quelli della Chiesa cattolica, consapevole che il Papa deve costruire ponti…». 
  
Nell’intervista Francesco è tornato a parlare di immigrazione. «La vera accoglienza non può che essere totalmente disinteressata, quella che costa sacrifici. La situazione internazionale è complessa, si sa, ma in ogni caso sono convinto che i muri si alzano per paura, per non vedere la sofferenza del fratello che può disturbare, si alzano per proteggere quello che invece andrebbe condiviso».  

«Alzare un muro – ha continuato il Pontefice – è chiudere il proprio cuore, sigillarlo come una tomba. Non è una questione di generosità e neppure di solidarietà. Qui c’è tanto lavoro da fare, occorre creare una nuova cultura, una nuova mentalità, educare le nuove generazioni a pensare, e pensarsi, come un’unica famiglia umana, una comunità senza confini». 
  
Francesco ha risposto anche a domande sul lavoro e la disoccupazione sottolineando che: «Una vera cultura del lavoro non vuole dire solo saper produrre, ma relazionarci ai modelli di consumo sostenibile. Svendiamo il lavoro al consumo? In questo modo, con il lavoro – ha spiegato - svenderemo anche tutte queste sue parole sorelle: dignità, rispetto, onore e libertà». 

Già ora, secondo Bergoglio, «la disoccupazione giovanile è un peccato sociale e la società è responsabile di questo. La Chiesa sta facendo quello che può». Certo «si può fare di più» perché «la società ha bisogno dei giovani, come la Chiesa»; per questo è nata la decisione di indire un Sinodo dei giovani che, ha auspicato il Papa, «deve essere un grande esercizio di ascolto ecclesiale: ascoltare dai giovani le loro storie. Per capire anche come rinnovarci come Chiesa nello stare accanto a loro senza far finta che per generazioni e generazioni non sia cambiato niente…». 
  
A livello globale, ha aggiunto il Pontefice, «mi preoccupano i disequilibri che sono sempre legati ad uno sconsiderato sfruttamento: degli uomini e delle risorse della natura. Però il vero compito della Chiesa non è far cambiare i governi, ma far entrare la logica del Vangelo nel pensiero e nei gesti dei governanti». Parole significative per comprendere l’atteggiamento della Santa Sede di fronte ai governi nel mondo. Parole che riecheggiano quelle pronunciate in un dialogo con il cardinale Jaime Ortega y Alamino, all’epoca arcivescovo dell’Avana, a Cuba. Il colloquio era avvenuto alcuni mesi prima della rinuncia di Papa Ratzinger, il quale indicava al porporato cubano la via del dialogo, definendola «l’unica strada». E aggiungeva: «La Chiesa non è nel mondo per cambiare i governi, ma per trasformare con il Vangelo il cuore degli uomini, e questi uomini cambieranno il mondo secondo quel che disporrà la provvidenza». 

Sul tema della pace Francesco spiega che essa «non va legata all’assenza di guerra, piuttosto va legata allo sviluppo integrale delle persone e dei popoli; bisogna comprendere che l’impegno per i gruppi sociali e gli Stati è vivere rapporti di giustizia e di solidarietà che non possono essere solo parole». È, in sostanza, il messaggio della Pacem in terris di Giovanni XXIII, e cioè che «non c’è alcuna armonia, alcun ordine vero se non si lavora per una società più giusta, più solidale. E questo richiede il superamento da parte di tutti di ogni forma di egoismo, individualismo, interesse di gruppo, a qualunque livello». 

Nell’intervista non mancano risposte dedicate alle fake news e alla difesa della verità da parte dei giornalisti. «È sempre l’uomo con la sua libera responsabilità che può fare delle parole, della comunicazione, il luogo della comprensione e dell’incontro oppure dell’opposizione e della guerra fratricida. Capita che chi segue il proprio orgoglioso egoismo arrivi a fare un uso distorto anche della facoltà di comunicare, può ingannare o manipolare il lettore, in modo subdolo, menzognero», ha detto Francesco citando il suo messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali. 

Tutto questo è una delle cause dell’«imbarbarimento della società». E «anche nella Chiesa - ha aggiunto il Papa - quando non si vive la logica della comunione ma delle corporazioni, può avvenire che si intraprendano vere e proprie strategie di guerra contro qualcuno per il potere, che a volte si esprime in termini economici, a volte in termini di ruoli. Per questo sono le persone l'antidoto contro le falsità, non le strategie. Parlo delle persone pronte all'ascolto, alla fatica della comprensione e del dialogo, quelle che non hanno nel cuore la divisione e il rancore, che sanno usare i media con responsabilità, capaci di grandi visioni, di confronti alti». «Mi rendo conto che non è facile - ha ammesso Bergoglio - perché c’è sempre chi guarda indietro invece che avanti, come quei pastori che temono di raccogliere le nuove sfide poste alla Chiesa, quelli che Papa Giovanni ha chiamato “profeti di sventura”». 

Interrogato infine sull’avvenire del Cristianesimo in Occidente, il Papa ammette che, certo, sono più i «motivi di inquietudine» che le «ragioni di speranza», tuttavia «anche capire che questa identificazione assoluta del Cristianesimo con la cultura occidentale non ha più senso. La cosiddetta condizione post-moderna, ultima tappa o quasi del viaggio dell’Occidente, richiama un po’ l’idea di un viaggio finito con un naufragio, con i naufraghi che cercano di costruirsi una zattera. Allora la domanda che mi pongo è questa: ma il Cristianesimo ha dentro di sé la forza per rigenerarsi nella sua natura evangelica, sulla Buona Notizia del Cristo crocifisso e risorto per noi? Certo che sì. E se guardiamo alle lezioni della storia, anche europea, ci sono stati periodi più tragici dove si sono alzate voci di testimoni profeti appassionati di verità, di senso, che sono chiaramente bussole ancora utili per i naufraghi del nostro tempo».  

«Sì - assicura Bergoglio - credo non abbiano torto pensatori e teologi che dicono che il cristianesimo futuro o sarà più concretamente cattolico, universale, pienamente ecclesiale, rispettoso delle culture, l’Africa, l’Asia, l’America Latina oppure rischierà l’irrilevanza quanto alla proposta del Vangelo e alla salvezza del mondo. Credo non abbiano torto quando dicono che dovrà esserci sempre più primato di carità, impegno per la giustizia, per la pace, o non sarà». 




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