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giovedì 9 aprile 2015

“Je suis Christ”, io sono Cristo: i cristiani sono rivestiti di Cristo, non indossano gli slogan del mondo. Per questo offrono la loro vita…

di antonelloiapicca

118Nella Veglia Pasquale il nostro Pastore Papa Francesco ci ha indicato il cammino che ci attende: “entrare nel sepolcro”, come “l’esperienza delle discepole di Gesù, che interpella anche noi”. Entrare nella storia che, mai come in questo tempo, ha preparato tombe per i cristiani di ogni latitudini. Tombe reali per quelli del Kenya, della Nigeria, del Pakistan., dell’Irak e della Siria. Tombe come carceri nei Paesi dove regnano ancora le ideologie funeste che hanno insanguinato il secolo scorso. Tombe come annichilimento della Verità nei territori dell’Occidente sviluppato che si dice civile, sui quali sembra essere sceso il buio dei falsi miti di progresso.
Ma non solo. Tombe dietro l’angolo della nostra vita di ogni giorno, nelle relazioni tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra colleghi e amici, messe a dura prova da nuove e più perniciose tentazioni. Sepolcri che ci attendono dunque, gravidi di Mistero. Il Papa, infatti, invitandoci ad entrare con le donne nel sepolcro, ci ha svelato il significato più concreto e reale della Pasqua, che non si esaurisce nella Notte Santa, ma ha in essa il suo mirabile inizio: “Per questo, in effetti, siamo qui: per entrare, entrare nel Mistero che Dio ha compiuto con la sua veglia d’amore. Non si può vivere la Pasqua senza entrare nel mistero. Non è un fatto intellettuale, non è solo conoscere, leggere… E’ di più, è molto di più!”.
C’è molto di più nel martirio dei cristiani! C’è molto di più nell’incedere impazzito dell’ideologia gender. C’è molto di più in ogni evento di morte che si nasconde nel futuro di ciascuno di noi. Per questo “entrare nel mistero ci chiede di non avere paura della realtà: non chiudersi in sé stessi, non fuggire davanti a ciò che non comprendiamo, non chiudere gli occhi davanti ai problemi, non negarli, non eliminare gli interrogativi”. Ecco,
la Pasqua appena celebrata, che si dilata come una grande liturgia di festa e vittoria per cinquanta giorni, ci chiama alla realtà. A misurarci con la concretezza della risurrezione di Gesù Cristo nella storia bagnata di sangue, in un cammino che ci conduca alla fede autentica e adulta.
C’è, infatti, un Mistero da scoprire nella realtà della storia, perché l’Incarnazione di Cristo e il suo Passaggio attraverso la morte puntavano proprio alla nostra vita, all’esistenza reale di ogni persona, in ogni angolo della terra, di ogni generazione. Nel corso della nostra vita, abbiamo tutti elaborato una serie di criteri con i quali leggiamo e interpretiamo la storia. E così hanno fatto i filosofi, i tanti maestri del pensiero, con le loro ideologie tradotte in scelte politiche, spesso devianti verso tirannie e dittature opprimenti per la libertà delle persone. Abbiamo ciascuno una nostra chiave per comprendere i fatti che ci accolgono nella storia. E, spesso ne restiamo sedotti, avvinghiandoci ad essa come a un bombola di ossigeno, nell’illusione di trarne sicurezze per vivere o, nella maggior parte dei casi, per sopravvivere… E spesso non ci rendiamo conto che, pur verniciata di cristianesimo, le scanalature della chiave coincidono con quelli del mondo. La usiamo, ma apriamo la porta sbagliata, quella che dà sul retrobottega e non sul Cielo. E’ grave quello che sta accadendo ai nostri fratelli, e ci addolora infinitamente. Come ci rattrista l’indifferenza dei più. E ci sentiamo colpevoli, perché, come ha detto Papa Francesco, “ci voltiamo dall’altra parte”.
Capita così anche di fronte agli ultimi eventi di sangue che, proprio a Pasqua, hanno strappato con violenza inaudita la vita a tanti cristiani in Kenya e in altre parti del mondo, per il solo fatto, si legge e ripetiamo quasi tutti, di essere cristiani. E, giustamente, molti si sono indignati per l’indifferenza del mondo, chiedendosi come mai, pochissimo tempo fa, tutti erano pronti a indossare la maglietta con su scritto “je suis Charlie”, mentre ora, per i cristiani uccisi, nessuno che ne indossi una “je suis chretienne”. Sembra un ragionamento di una logica stringente e inoppugnabile. Eppure…
Eppure il Papa ci avverte in questa Pasqua che “entrare nel mistero significa andare oltre le proprie comode sicurezze, oltre la pigrizia e l’indifferenza che ci frenano, e mettersi alla ricerca della verità, della bellezza e dell’amore, cercare un senso non scontato, una risposta non banale alle domande che mettono in crisi la nostra fede, la nostra fedeltà e la nostra ragione”. E tutto questo spargimento di sangue cristiano, le minacce dell’ideologia gender nelle nostre scuole, le nubi che s’addensano sul nostro futuro, insieme a tutti i sepolcri che si spalancano nella nostra vita concreta di ogni giorno, ammettiamolo, ci “mettono in crisi”, scuotendo la fede, la fedeltà e la ragione. Perché ovunque si respiri la morte è nascosto “qualcosa di molto di più” di ciò che riesce a vedere il mondo, e che lo fa ovviamente disinteressandosene, avendo da tempo lasciato Dio fuori dalla porta. Nel martirio c’è un Mistero che interpella noi, chiamandoci ad entrarvi senza aver paura della realtà. Realtà e Mistero, è questo il cortocircuito benedetto della Pasqua!
No, la realtà non è mai solo quello che i nostri occhi riescono a percepire. La realtà non è mai spiegabile da un luogo comune, da una maglietta con stampato sopra uno slogan ad effetto. La realtà è il grembo del Mistero che, a Pasqua, si rivela come il fatto più concreto che ci sia. Tanto concreto da prendere la realtà e trasformarla in qualcosa di mai visto. Quel qualcosa che hanno visto “le donne discepole di Gesù” entrando nel sepolcro, quelle fasce e quel sudario intercettati dallo sguardo stupito di Giovanni che, proprio per averli visti così distesi e ordinati, credette.
Ma per “passare”, per fare realmente Pasqua con Cristo, occorre entrare con umiltà nel Mistero celato dal sepolcro, con “l’umiltà di abbassarsi, di scendere dal piedestallo del nostro io tanto orgoglioso, della nostra presunzione; l’umiltà di ridimensionarsi, riconoscendo quello che effettivamente siamo: delle creature, con pregi e difetti, dei peccatori bisognosi di perdono. Per entrare nel mistero ci vuole questo abbassamento che è impotenza, svuotamento delle proprie idolatrie… adorazione. Senza adorare non si può entrare nel mistero”.
La Pasqua che ci ha accolto con la vittoria di Cristo sui nostri peccati e sulla morte che ne consegue, è proprio questo “passaggio” nell’abbassamento che resetta le nostre certezze, per aprirsi al Mistero di una vita nuova. Gesù risorto, infatti, non è lo stesso di prima, per questo, la sola carne non può riconoscerlo. E’ necessario un parametro nuovo che non ci appartiene; occorre un segno che possiamo riconoscere e che ci sospinga al di là dei nostri limiti; un anello che congiunga la nostra realtà alla sua realtà; una chiave diversa dalla nostra, che apra in noi la porta per entrare, esattamente come siamo, poveri, deboli, precari e limitati, laddove ora Egli è, il Regno celeste. Occorre un indizio che parli al cuore e dischiuda gli occhi perché riconoscano lo stesso Gesù visto e ascoltato in quella presenza nuova e sorprendente. Occorre che ci faccia uno con Lui, come accade nel Battesimo.
Per entrare nel sepolcro della storia e incontrarci con il Mistero, occorre che esso ci coinvolga esistenzialmente, sino a diventare noi stessi partecipi della Pasqua di Gesù. Tornare cioè al Mistero per eccellenza, il nostro Battesimo, nel quale, come scrisse San Cirillo di Gerusalemme nelle sue Catechesi Mistagogiche: “Dopo per mano siete stati condotti alla santa piscina del divino battesimo come il Cristo dalla croce alla tomba che vi è davanti. Ognuno è stato interrogato se crede nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Avete fatto la confessione salutare e vi siete immersi per tre volte nell’acqua e di nuovo siete risaliti simboleggiando la sepoltura di tre giorni del Cristo. Come il nostro Salvatore passò tre giorni e tre notti nel cuore della terra, così anche voi con la prima emersione avete imitato il primo giorno del Cristo sottoterra e nella immersione la notte. Colui che è nella notte più non vede e chi, invece, è nel giorno vive la luce, così nella immersione, come nella notte, nulla vedete, ma nella emersione di nuovo vi trovate come nel giorno. Nello stesso tempo siete morti e rigenerati. Quest’acqua salutare fu la vostra tomba e la vostra madre”.
Queste parole non sono reliquie del passato, ma il Mistero che si rinnova nei cristiani! Essi sono nel mondo ma non sono del mondo. Se in essi si dà in pienezza la Grazia del Battesimo allora splendono sulla terra come astri del Cielo. Anche oggi, proprio tra le pagine della cronaca, il Signore ci ricorda la sua opera d’amore con noi, e ci dona la certezza che essa non è destinata ad esaurirsi, ma si compie ogni giorno, come un inizio che non teme quello che sarà perché non ha paura di quello che già è. Ogni aspetto della nostra vita, ogni esperienza, ogni dolore, tutto in noi ci conduce nel “passaggio” che trasfigura la carne, che purifica la visione dei fatti e delle persone nella nuova luce della Pasqua: “Non è qui, è risorto!” Non è qui, in un sepolcro, nelle foto agghiaccianti del martirio, nelle devastazioni culturali e morali; non è nelle nostre opere morte. “Non è qui, è risorto” ed è vivo nei cristiani che vanno, ogni giorno, verso la Galilea, la terra di missione, ogni terra. Là potremo vedere Cristo, in quell’anticipo del Cielo che è la vita nuova ed eterna incarnata nei cristiani. In Galilea, che è il Kenya, ma anche il nostro ufficio e la scuola dei nostri figli, lo vedrete tutti nel loro amore che va oltre la morte, perché sa passare nel sepolcro nella certezza che Cristo risorto in loro non muore più. 
Cristo risorto nei cristiani è dunque il “molto di più” che possiamo scoprire avventurandoci con umiltà nel sepolcro dell’umanità. Allora si comprende che essi non sono uccisi “solo” perché cristiani, ma “proprio perché” cristiani, che significa “alter Christus”, un altro Cristo. E’ impossibile spiegare e ridurre il martirio dei cristiani a una semplice maglietta indossata a una manifestazione di massa e di emozioni. E’ inutile chiedere al mondo, ai capi delle Nazioni, a chi non conosce Cristo di indossarne una per i cristiani trucidati. Non possono identificarsi con loro come con i vignettisti francesi. Lì era in gioco una caricatura della libertà qui la libertà vera, quella conquistata da Cristo con la sua Pasqua, la libertà dalla schiavitù del peccato per amare con Lui sino alla fine. I cristiani, infatti, si sono spogliati dell’uomo vecchio, di tutte le magliette di questo mondo, per indossare le vesti bianche lavate nel sangue dell’Agnello. I cristiani sono rivestiti di Cristo! Per questo la loro vita testimonia “molto di più” che uno slogan, ma la realtà celeste che abita in loro: in ogni pensiero, parola e gesto loro affermano “je suis Christ”, io sono Cristo!
Sì, guarda la mia vita dice un cristiano, vedrai Lui. Mi odi? Mi vuoi togliere di mezzo perché non sopporti la mitezza, la castità, la fedeltà, la bellezza? Mi vuoi cancellare perché amo mia moglie o mio marito, e. pur tra tante difficoltà e cadute, siamo testimoni gioiosi che l’unica felicità è la pienezza dell’amore nell’indissolubilità del matrimonio e nella sua fecondità secondo la volontà di Dio? Vuoi ridicolizzarmi e ridurmi al silenzio perché il perdono che si realizza nella mia vita spalanca le porte di ogni relazione verso l’eternità, contestando il cieco immanentismo del mondo?
Fai pure, fate pure, anzi è per questo che Cristo ha preso dimora nella vita dei suoi fratelli. Come l’oro si prova nel crogiolo, così il destino celeste di ogni uomo è messo ogni giorno nel crogiolo della persecuzione. Per questo, al di là di tutto quello che gli organismi internazionali dovrebbero fare e non fanno per garantirne l’incolumità, i cristiani ascoltano le parole che il primo Papa, San Pietro, rivolgeva ai neofiti della Chiesa delle origini come rivolte a loro oggi: “Carissimi, non siate sorpresi per l’incendio di persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Ma nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare”.
E i cristiani si rallegrano nel martirio, come da duemila anni accade in ogni parte del mondo. Si rallegrano perché offrendo il sangue per Cristo lo sperimentano più vivo che mai in loro, e perché così prestano la propria carne a Lui per la salvezza del mondo. Nel loro martirio, di sangue e nella vita di ogni giorno, si fa plausibile la Pasqua, che cioè non esiste sepolcro capace di trattenere Cristo. Il cristianesimo non è una delle religioni fantasticate da Eugenio Scalfari, un tentativo di consolare e dare un ordine morale alla vita. E’ infinitamente di più, è un fatto, un’esperienza viva testimoniata proprio accanto e per i tagliagole, perché, come scriveva San Paolo, mentre noi cristiani moriamo, il mondo riceve la vita. Mentre cala l’indifferenza sul loro martirio, risuonano per l’eternità nel Cielo i nomi degli aguzzini salvati dal loro sangue. Questo è il Mistero della Pasqua, quello che abbiamo per primi sperimentato noi, salvati dal sangue di Cristo, il Mistero che scardina ogni certezza umana, comprese molte delle nostre, tanto religiosamente corrette, così mondanamente indignate, per piantarne una invincibile in Cielo.

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