Abbiamo vissuto una settimana all’insegna dei ricordi, delle tradizioni, delle usanze ereditate dai nostri genitori, ci siamo improvvisati attori, registi, sceneggiatori di fatti più grandi di noi e siamo potuti risalire alla nostra infanzia, all’incanto di ogni fanciullezza. Abbiamo visto giovani interpretare Gesù Cristo, uomini maturi fare Pilato, anziani fare i sommi sacerdoti, il solito, segnato a dito, fare Giuda. Poi ci siamo fatti passare di mano in mano quella croce. Potevamo essere tentati solo di esprimere tradizioni, folklore, appuntamenti con la storia. Abbiamo potuto fare a anche a scuola qualche gesto. Stasera la cosa cambia di netto: ieri era possibile stare indifferenti, stare sulle nostre, non scomodarci troppo; oggi non è più possibile, dobbiamo fare il salto della fede.
Stasera ci viene chiesta la fede. Non possiamo appendere nelle scuole o negli edifici pubblici il risorto, ci vuole un atto di fede; appendiamo solo un crocifisso, che richiama solo storia e pietà, anche se molti ci negano anche quella. Stasera facciamo il salto nell’oltre. Riconosciamo che l’uomo della debolezza e della croce, l’immagine dei nostri infiniti dolori è il Dio della risurrezione, è il nostro liberatore, è la vita piena e senza fine. Colui che è morto così miseramente senza nessun stoico coraggio è il Figlio di Dio. Dice uno dei quattro vangeli nel racconto di questa giornata memorabile: Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un gran
terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa
E’ un discorso difficile, perché occorre affidarsi; occorre avere il coraggio di leggere il terremoto di cui si parla nel vangelo come definitivo, come quello che ci toglie da ogni disperazione. Questo terremoto ci consola, questo terremoto vogliamo chiedere a Dio. E’ il terremoto della vita che dà inizio alla costruzione di un nuovo mondo.
E’ il cambiamento radicale del nostro modo di pensare, degli stili della nostra esistenza, della speranza oltre ogni paura e dolore. Non è il terremoto che ci fa paura e che ogni tanto colpisce il nostro mondo e soprattutto l’Italia. E’ questo terremoto di Pasqua, il terremoto della vittoria sul male e sulla morte, il terremoto che ha fatto saltare i macigni dalle tombe e dal cuore. “Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all'imboccatura dell'anima che non lascia filtrare l'ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l'altro. E' il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell'odio, della disperazione, del peccato”
E’ questo terremoto che noi vogliamo augurare a tutti, che imploreremo con forza da Dio per tutti i martiri anche di questi giorni, di questi ragazzi sgozzati, crocifissi perché cristiani. Ho detto messa in una scuola in questi giorni e ho trovato giovani che a fatica hanno fatto un segno di croce, per non farsi tirare in giro dopo dai compagni. Questo spesso è il coraggio delle nostra fede, il nostro coraggio quando siamo nella movida o nelle nostre vite private. La nostra fede per mestiere, il nostro forzato credere per non creare problemi dove siamo.
Ma Dio è grande e ci dimostra continuamente il suo amore e la sua misericordia. Risurrezione è sapere che abbiamo un futuro più grande di ogni nostra attesa, più forte delle nostre miserie, più autentico dei nostri giuramenti. Resurrezione è non permetterci in nessuna situazione di dire la parolaccia “ormai”. Perché risurrezione significa che c’è sempre più futuro che passato, perché la vita non è la quantità di giorni che ci rimangono, ma la qualità dell’esistenza che viviamo e che si prolungherà senza fine nella braccia di Dio. Resurrezione è uno spazio di futuro che ci garantisce da ogni morte definitiva e questo ce lo ha regalato Gesù, il Nazzareno, il condannato a morte, sepolto e risuscitato.
Siamo contenti e orgogliosi di offrire la nostra comunità credente a questi cinque nuovi battezzati; chiediamo loro perdono se il nostro esempio tenterà di affievolire quella gioia che stanotte provano; ma vorremmo essere sempre all’altezza della fede che Dio loro stanotte ha regalato, la loro giovinezza di fede ci aiuti tutti.
Stasera ci viene chiesta la fede. Non possiamo appendere nelle scuole o negli edifici pubblici il risorto, ci vuole un atto di fede; appendiamo solo un crocifisso, che richiama solo storia e pietà, anche se molti ci negano anche quella. Stasera facciamo il salto nell’oltre. Riconosciamo che l’uomo della debolezza e della croce, l’immagine dei nostri infiniti dolori è il Dio della risurrezione, è il nostro liberatore, è la vita piena e senza fine. Colui che è morto così miseramente senza nessun stoico coraggio è il Figlio di Dio. Dice uno dei quattro vangeli nel racconto di questa giornata memorabile: Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro. Ed ecco che vi fu un gran
terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa
E’ un discorso difficile, perché occorre affidarsi; occorre avere il coraggio di leggere il terremoto di cui si parla nel vangelo come definitivo, come quello che ci toglie da ogni disperazione. Questo terremoto ci consola, questo terremoto vogliamo chiedere a Dio. E’ il terremoto della vita che dà inizio alla costruzione di un nuovo mondo.
E’ il cambiamento radicale del nostro modo di pensare, degli stili della nostra esistenza, della speranza oltre ogni paura e dolore. Non è il terremoto che ci fa paura e che ogni tanto colpisce il nostro mondo e soprattutto l’Italia. E’ questo terremoto di Pasqua, il terremoto della vittoria sul male e sulla morte, il terremoto che ha fatto saltare i macigni dalle tombe e dal cuore. “Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all'imboccatura dell'anima che non lascia filtrare l'ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l'altro. E' il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell'odio, della disperazione, del peccato”
E’ questo terremoto che noi vogliamo augurare a tutti, che imploreremo con forza da Dio per tutti i martiri anche di questi giorni, di questi ragazzi sgozzati, crocifissi perché cristiani. Ho detto messa in una scuola in questi giorni e ho trovato giovani che a fatica hanno fatto un segno di croce, per non farsi tirare in giro dopo dai compagni. Questo spesso è il coraggio delle nostra fede, il nostro coraggio quando siamo nella movida o nelle nostre vite private. La nostra fede per mestiere, il nostro forzato credere per non creare problemi dove siamo.
Ma Dio è grande e ci dimostra continuamente il suo amore e la sua misericordia. Risurrezione è sapere che abbiamo un futuro più grande di ogni nostra attesa, più forte delle nostre miserie, più autentico dei nostri giuramenti. Resurrezione è non permetterci in nessuna situazione di dire la parolaccia “ormai”. Perché risurrezione significa che c’è sempre più futuro che passato, perché la vita non è la quantità di giorni che ci rimangono, ma la qualità dell’esistenza che viviamo e che si prolungherà senza fine nella braccia di Dio. Resurrezione è uno spazio di futuro che ci garantisce da ogni morte definitiva e questo ce lo ha regalato Gesù, il Nazzareno, il condannato a morte, sepolto e risuscitato.
Siamo contenti e orgogliosi di offrire la nostra comunità credente a questi cinque nuovi battezzati; chiediamo loro perdono se il nostro esempio tenterà di affievolire quella gioia che stanotte provano; ma vorremmo essere sempre all’altezza della fede che Dio loro stanotte ha regalato, la loro giovinezza di fede ci aiuti tutti.
+ Domenico
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