Commissione Giustizia del Senato, 30 luglio 2015, primo pomeriggio. L’insolazione che rischiano i turisti dell’Urbe a causa delle temperature torride pare aver colpito la maggioranza degli onorevoli senatori riuniti in Commissione, nonostante il refrigerio loro offerto dagli efficienti impianti di condizionamento d’aria. Va in scena, infatti, un teatrino surreale dall’epilogo davvero inquietante. L’ottimo senatore Lucio Malan presenta un ordine del giorno nel quale si legge, tra l’altro, che «il Senato impegna il Governo a non violare i due diritti fondamentali riconosciuti, garantiti e tutelati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, i propri valori religiosi nell’educazione, e il diritto di priorità dei genitori nella scelta di educazione da impartire ai propri figli (artt. 18 e 26); a garantire e tutelare il diritto dei genitori ad educare i propri figli».
Parrebbe un’affermazione quasi lapalissiana in un sistema istituzionale che si autodefinisce democratico. Chi oserebbe mai mettere in dubbio la sacra Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo? E invece no! Nel bislacco mondo sublunare delle istituzioni italiane c’è chi ha osato, eccome. Non soltanto la senatrice Cirinnà, ma molti onorevoli componenti della Commissione strepitano come vestali scandalizzate alla proposta del povero Malan, accusato di aver messo in dubbio l’onore del governo. Sì, perché, con una motivazione pelosa e ipocrita, i senatori sconcertati contestano l’ordine del giorno in quanto, così come formulato, esso avrebbe potuto insinuare il dubbio che lo stesso governo avesse intenzione di violare i diritti fondamentali dell’uomo. Il buon senso popolare definisce questo atteggiamento “coda di paglia”.
Interviene, con la saggezza che gli è consueta, il presidente della Commissione Francesco Nitto Palma, il quale tenta di
riportare i senatori alla ragione attraverso la proposta di una modifica a quella parte dell’ordine del giorno oggetto di scandalo. Lo stesso presidente suggerisce, infatti, di riformulare ulteriormente il testo dell'ordine del giorno, prevedendo che il governo sia chiamato ad impegnarsi nel «continuare a garantire e a rafforzare» la tutela dei diritti fondamentali riconosciuti ed affermati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nonché eliminando il riferimento testuale ai richiamati articoli 18 e 26.
A questo punto, i senatori contestatari sono costretti a gettare la maschera, dimostrando che il problema non era tanto la formulazione del documento, quanto il contenuto di merito dello stesso. Così, quei componenti della Commissione Giustizia non hanno mostrato alcun ritegno nel votare contro o nell’astenersi, che – com’è noto – al Senato equivale al voto contrario. L’ordine del giorno, quindi, è stato clamorosamente bocciato con otto voti a favore (Fi, Ncd, Lega, senatore Orellana del Gruppo Misto) e dodici fra astenuti (M5S e alcuni Pd) e contrari del Partito Democratico (Cirinnà, Del Giudice, Lumia). I resoconti dei lavori della Commissione Giustizia del Senato consegneranno alla storia questa vergogna.
Resterà scritto a peritura memoria che un’istituzione “democratica” ha deciso di bocciare un ordine del giorno di questo tenore: «Il Senato impegna il Governo a continuare e a rafforzare la tutela dei due diritti fondamentali riconosciuti, garantiti e tutelati dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: la libertà di manifestare isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, i propri valori religiosi nell'educazione, e il diritto di priorità dei genitori della scelta di educazione da impartire ai propri figli; a garantire e tutelare il diritto dei genitori ad educare i propri figli».
Si potrebbe sdrammatizzare la vicenda rievocando il classico “pasticcio all’italiana”, e imputare tutto alla dabbenaggine, alla superficialità, al pressapochismo dei senatori, giustificandoli col fatto di non essersi resi conto, di non aver compreso appieno la portata del documento sul quale hanno espresso voto contrario. Noi temiamo, invece, che quel voto nasca da una lucida e deliberata volontà, e rappresenti l’inquietante prodromo della deriva totalitaria che si sta profilando all’orizzonte del nostro Paese, il segno premonitore di quella dittatura del pensiero unico» che papa Francesco continua coraggiosamente a denunciare. Cupi presagi di un totalitarismo alle porte.
Parrebbe un’affermazione quasi lapalissiana in un sistema istituzionale che si autodefinisce democratico. Chi oserebbe mai mettere in dubbio la sacra Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo? E invece no! Nel bislacco mondo sublunare delle istituzioni italiane c’è chi ha osato, eccome. Non soltanto la senatrice Cirinnà, ma molti onorevoli componenti della Commissione strepitano come vestali scandalizzate alla proposta del povero Malan, accusato di aver messo in dubbio l’onore del governo. Sì, perché, con una motivazione pelosa e ipocrita, i senatori sconcertati contestano l’ordine del giorno in quanto, così come formulato, esso avrebbe potuto insinuare il dubbio che lo stesso governo avesse intenzione di violare i diritti fondamentali dell’uomo. Il buon senso popolare definisce questo atteggiamento “coda di paglia”.
Interviene, con la saggezza che gli è consueta, il presidente della Commissione Francesco Nitto Palma, il quale tenta di
riportare i senatori alla ragione attraverso la proposta di una modifica a quella parte dell’ordine del giorno oggetto di scandalo. Lo stesso presidente suggerisce, infatti, di riformulare ulteriormente il testo dell'ordine del giorno, prevedendo che il governo sia chiamato ad impegnarsi nel «continuare a garantire e a rafforzare» la tutela dei diritti fondamentali riconosciuti ed affermati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nonché eliminando il riferimento testuale ai richiamati articoli 18 e 26.
A questo punto, i senatori contestatari sono costretti a gettare la maschera, dimostrando che il problema non era tanto la formulazione del documento, quanto il contenuto di merito dello stesso. Così, quei componenti della Commissione Giustizia non hanno mostrato alcun ritegno nel votare contro o nell’astenersi, che – com’è noto – al Senato equivale al voto contrario. L’ordine del giorno, quindi, è stato clamorosamente bocciato con otto voti a favore (Fi, Ncd, Lega, senatore Orellana del Gruppo Misto) e dodici fra astenuti (M5S e alcuni Pd) e contrari del Partito Democratico (Cirinnà, Del Giudice, Lumia). I resoconti dei lavori della Commissione Giustizia del Senato consegneranno alla storia questa vergogna.
Resterà scritto a peritura memoria che un’istituzione “democratica” ha deciso di bocciare un ordine del giorno di questo tenore: «Il Senato impegna il Governo a continuare e a rafforzare la tutela dei due diritti fondamentali riconosciuti, garantiti e tutelati dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: la libertà di manifestare isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, i propri valori religiosi nell'educazione, e il diritto di priorità dei genitori della scelta di educazione da impartire ai propri figli; a garantire e tutelare il diritto dei genitori ad educare i propri figli».
Si potrebbe sdrammatizzare la vicenda rievocando il classico “pasticcio all’italiana”, e imputare tutto alla dabbenaggine, alla superficialità, al pressapochismo dei senatori, giustificandoli col fatto di non essersi resi conto, di non aver compreso appieno la portata del documento sul quale hanno espresso voto contrario. Noi temiamo, invece, che quel voto nasca da una lucida e deliberata volontà, e rappresenti l’inquietante prodromo della deriva totalitaria che si sta profilando all’orizzonte del nostro Paese, il segno premonitore di quella dittatura del pensiero unico» che papa Francesco continua coraggiosamente a denunciare. Cupi presagi di un totalitarismo alle porte.
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