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venerdì 28 agosto 2015

Se la Chiesa del Dialogo si ritira dalla battaglia

05-08-2015 - di Stefano Fontana

La Chiesa cattolica è ancora in grado di fare battaglie culturali (non dico religiose) o sa solo dialogare? La Nuova Bussola Quotidiana sta mettendo in evidenza come a proposito di unioni civili, omosessualismo e gender, parte consistente e autorevole della Chiesa italiana abbia già rinunciato ad una battaglia di idee e abbia già percorso il tragitto, teorico prima ancora che pratico, verso il dialogo. Quando il dialogo non è con le persone ma con le idee sbagliate, esso comporta già una loro accettazione. Ci sono parroci e vescovi che disapprovano lo stile di lotta delle “Sentinelle in Piedi”. Lo considerano, nonostante la sua modalità inoffensiva, impositivo e non dialogico.
Ora, come ha spiegato questo quotidiano, emergono gli intellettuali che chiedono un doveroso dialogo con l’ideologia gender, fingendo di non vedere che essa è ormai ben altro dalla vecchia questione dei tempi degli “studi di genere”. Diocesi istituiscono tavoli di discussione in cui invitano anche l’onorevole Cirinnà, la firmataria del disegno di legge sulle unioni civili. Dirigenti di associazioni ecclesiali sostengono che nelle scuole è inutile e dannoso che i genitori scrivano lettere alla dirigenza o ritirino i figli per protesta contro l’ideologia gender che vi viene insegnata, mentre dovrebbero invece partecipare in forma di dialogo e tutto si stempererebbe nella normalità. Coloro che in questa fase sentono che c’è una battaglia culturale da
combattere su questi temi, sentono anche di essere solo una parte, non si può dire quanto piccola o grande, della Chiesa e del mondo cattolico. Ma chiediamoci: perché sembra che la Chiesa non sia più capace di fare battaglie di idee?
Ammettiamo che la rivelazione di Dio non avvenga dall’esterno del mondo e della nostra storia, ma avvenga dall’interno della natura e della storia, tramite la nostra esperienza e abbia quindi un carattere esistenziale. Ammettiamo che i cattolici non siano in possesso di verità che Dio, aprendo il Cielo stellato, ha comunicato, ma che la Sua comunicazione avvenga dall’interno di quanto ci capita nella vicenda della nostra vita. Ammettiamo che Dio non ci abbia rivelato un “ordine” frutto della Sua sapiente creazione, una nostra natura come progetto da completare, il nostro fine come vocazione già inscritta nella nostra natura ed elevata fin dall’inizio al soprannaturale. Ammettiamo che Cristo non ci abbia dato risposte. In questo caso i cattolici sarebbero, insieme a tutti gli altri uomini, persone che cercano. La differenza sarebbe solo che essi sanno per fede che in questo loro cercare si rivela Dio e che l’unico suo comandamento sia stato proprio questo: di cercare, camminando insieme a tutti gli altri uomini.
Se supponiamo tutto questo, risulta evidente che il dialogo, da metodo diventa sostanza. E non solo il dialogo con gli altri uomini, ma il dialogo con le cose che accadono nel mondo, con le dinamiche dell’esistenza, con le ideologie. In questo caso la Chiesa non può più “dire” una verità ma solo dialogare. C’è chi dice che proprio dialogando la Chiesa può affermare meglio le sue verità, ma è solo una scusa che assume ancora il dialogo come metodo e non come sostanza. Nella situazione che ho brevemente descritto sopra, non c’è più il bene e il male, divisi in modo netto, almeno in certe occasioni. In tutte le situazioni di vita c’è del bene e del male e il dialogo tra gli uomini dovrebbe aiutarci a discernere, ma mai in modo definitivo. Anche il peccato risulta avvolto nella complessità dell’esistenza e difficilmente decifrabile.
Capita così che in un’unione omosessuale ci può essere del bene che va considerato e apprezzato, che in una convivenza ci possano essere degli aspetti positivi che vanno fatti emergere ed eventualmente sviluppati. Nessuna situazione di vita è però condannabile. Nessuna idea è da combattere. Le cosiddette azioni intrinsecamente cattive (gli intrinsece mala della morale cattolica) non esistono e diventa inutile dire a chi condivide questa teologia che l’adulterio, l’esercizio del sesso fori del matrimonio, l’omosessualità sono sempre atti sbagliati. Per lui di atti sempre sbagliati non ne esistono, perché ogni atto è dentro una narrazione, va quindi contestualizzato ed affrontato non dottrinalmente ma esistenzialmente.
In questo contesto teologico in cui il dialogo diventa sostanza è logico che i contenuti diventino accidente. Con queste premesse è logico che la pastorale (dialogica) assuma il primo posto e la dottrina l’ultimo: quando nelle parrocchie si parla di gender, in realtà, se ne discute. Oppure, come oggi si dice, ognuno porta la propria “narrazione”. Poiché la posizione teologica che ho sommariamente descritto sopra è molto diffusa nella Chiesa, anche italiana, e viene ormai quasi sistematicamente insegnata e condivisa negli ambiti pastorali, si comprende perché la Chiesa non sia in grado oggi di fare una battaglia di idee sul gender, e come essa cerchi invece il compromesso, o l’incontro, o il dialogo. La Chiesa non pensa oggi di avere una propria cultura, pensa di avere la cultura del dialogo.
Ecco spiegato anche perché coloro che invece si battono contro il gender lo fanno perché non condividono la teologia che ho richiamato sopra. Alla base non ci sono solo posizioni personali o la pressione di interessi vari, c’è una grande questione teologica che ci stiamo trascinando da molto e molto tempo. Chiedere al Papa, come hanno fatto i firmatari della “Richiesta Filiale”, di chiarire dottrinalmente i termini della questione omosessualità, della questione gender e affini, è come chiedergli implicitamente di chiarire decenni di teologie diverse dentro la Chiesa. Altrimenti che bisogno ci sarebbe di un simile chiarimento? Il Magistero ha già parlato, solo che le sue parole cadono su terreni teologici ormai molto diversi. Il punto è questo.
Stefano Fontana

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