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venerdì 7 agosto 2015

Leggere Ratisbona per riscoprire verità e ragione

di Robi Ronza                                       06-08-2015
Di fronte alle urgenze e alle confusioni del presente diventa a mio avviso sempre più importante non dimenticare la storica lectio magistralis che Benedetto XVI tenne a Ratisbona il 12 settembre 2006. Nota anche come “Discorso di Ratisbona”, la lectio fu oggetto di una campagna di disinformazione a causa delle quale in ambiente musulmano si dovettero purtroppo registrare reazioni scomposte e anche cruente.  Ciò provocò tra l’altro un oscuramento del suo sostanziale contenuto che ruota tutto attorno al legame necessario tra fede cristiana, verità e ragione (il riferimento all’Islam, che provocò tanto putiferio, è in effetti un semplice spunto).
Accessibile a chiunque grazie a Internet il discorso di Ratisbona (clicca qui), che riprende in estrema sintesi quanto Giovanni Paolo II nel 1998 aveva scritto nella sua enciclica Fides et Ratio, è oggi ancora più attuale di quando venne pronunciato. Viviamo in un’epoca di disorientamento e di confusione che per molti aspetti è più simile al Tardo Antico che al nostro passato recente. Forse poi  ancor più che in quell’epoca, compresa tra gli ultimi secoli dell’Impero romano e i primi della nuova Europa medioevale, oggi è in crisi la fiducia che grazie alla ragione si possa pacificamente giungere alla verità, ossia a qualcosa di vero e di buono per tutti. Come oggi si vede tutti i giorni, questa crisi giunge purtroppo fin dentro il popolo cristiano, fin dentro la Chiesa. Sorprende per contrasto la fermezza di cui si trova ampia documentazione, ad esempio, ne La conversione al cristianesimo nei primi secoli, la magistrale opera di Gustave Bardy che l’editore milanese Jaca Book ha ripubblicato in traduzione italiana pochi anni fa.
Tutti gli argomenti che oggi vengono addotti per fare del dialogo non un metodo bensì un contenuto fine a se stesso, nonché per sommergere qualsiasi punto fermo sotto un’alluvione di melassa spacciata per amore all’altro, in quei primi secoli valevano cento volte più di adesso. Eppure, anche a rischio della vita, quegli antichi testimoni documentati nel libro di Bardy si dimostrano ben più capaci di restare fedeli a se stessi di molti che nell’Europa, e in genere nell’Occidente di oggi, al loro confronto rischiano ben poco (almeno per ora, anche se non si sa fino a quando).
È pur vero, tuttavia, che rispetto agli uomini del Tardo Antico noi abbiamo uno specifico svantaggio. Viviamo in un
tempo in cui è venuta meno come mai prima la speranza che raggiungere la verità sia possibile. L’epoca che aveva preteso di avere il monopolio della ragione infine l’ha persa per strada. E con essa appunto ha perso anche la speranza della verità. A questo punto tocca sorprendentemente alla fede andare in soccorso della ragione. D’altra parte, sottolinea Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona «La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio», non è soltanto un pensiero greco, ma vale comunque. C’è, aggiunge Benedetto, una «profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia». Una concordanza che nessuna successiva “inculturazione” può rimettere in gioco. Tanto meno, osserviamo noi, l’inculturazione (se mai ce ne fosse bisogno) con l’attuale cultura di massa dell’epoca della globalizzazione, che tra l’altro non è affatto così universale come pretende di essere.
Ciò detto si apre il problema della ricerca di punti di appoggio immediato in una società sempre più “liquida”, ma non è questo il nocciolo della questione. Nella misura in cui non si possono più costruire case sulla roccia si costruiranno case natanti, nuove arche capaci di stare a galla anche sul pelago liquido della post-modernità. Non vale però la pena di scambiare la fede e la ragione con un “volemmose bbene” che non è di aiuto per nessuno, nemmeno per coloro che si vogliono aiutare.

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