Torturati, offesi, vilipesi, ricattati, picchiati, ma i cristiani ad Aleppo in Siria e Erbil in Irak offrono la loro sofferenza per la salvezza anche dei persecutori
Rimini, Staff Reporter
Giornata di grande intensità emotiva e di fede quella di ieri al Meeting di Rimini.
Padre Douglas Al-Bazi, parroco di Mar Eillia ad Erbil, in Iraq, e padre Ibrahim Alsabagh, francescano parroco della comunità di Aleppo in Siria, hanno raccontato le loro storie e quelle di popolazioni che stanno soffrendo una persecuzione più sanguinosa dei primi secoli.
Nel presentare l’incontro don Stefano Alberto, docente di teologia all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha commentato: “Proprio nella terra dove Dio, chiamando Abramo, ha destato la coscienza dell’uomo facendosi dare del Tu, si è manifestata una violenza cieca del fanatismo”.
Dopo aver ricordato che fino al 2003 in Iraq c’erano circa due milioni di cristiani e oggi ne sono rimasti poco più di duecentomila, padre Douglas Al-Bazi ha spiegato “Sono nato in questo paese e ho amici musulmani, noi cristiani siamo il sale di questo paese. Oltre tutto siamo la fascia più istruita della popolazione”.
Padre Douglas è stato rapito e torturato per nove giorni. La sua prigionia è stata durissima, è un miracolo che abbia avuto il coraggio di rimanere.
“Mi hanno spaccato il naso, - ha raccontato - colpito col martello in bocca e su una spalla e un disco
della colonna vertebrale. Per quattro giorni sono stato lasciato senz’acqua. Tenevano alto il volume della televisione per non farsi sentire e mi colpivano ogni sera. Poi mi lasciavano incatenato con un lucchetto”.
Per sopravvivere e non perdere il senno e la fede, padre Douglas ha utilizzato dieci anelli della catena come Rosario e il lucchetto per il Padre nostro.
“Ci sono stati anche momenti di calma, - ha continuato - dove quelle stesse persone che mi picchiavano la sera poi mi interrogavano su come comportarsi con la moglie ed io dicevo loro di essere carini con lei”.
Interrompendo il racconto padre Douglas si è rivolto alla platea: “Vi sembro spaventato? La stessa cosa si può dire della mia gente Gesù ci ha detto di portare la propria croce, ma l’importante non è questo ma seguire, sfidare, impegnarsi. Se ci distruggeranno in Medio Oriente, l’ultima parola sarà ‘Gesù ci ha salvato'”.
In maniera sobria e intensa padre Douglas ha confessato che prima o poi lo uccideranno, e comunque se questo accadrà – ha chiesto – “pregate per la mia gente, aiutate e salvate la mia gente. Non sono preoccupato tanto per me quanto per la mia gente”.
Commovente e appassionata la testimonianza di padre Ibrahim.
Il religioso francescano ha raccontato delle terribili condizioni in cui si sopravvive ad Aleppo: “Viviamo nell’instabilità, mancano le risorse alimentari, scarseggia l’acqua, siamo sotto i bombardamenti e le malattie si diffondono”.
“Vengono a chiederci l’acqua che noi prendiamo dal pozzo del convento. Cerchiamo di cogliere in tutto questo i segni dello Spirito, condividendo questa esigenza e altri mille problemi e aprendo a tutti, cristiani e musulmani”.
Per far capire lo spirito con cui i cristiani continuano a fare il bene in un clima infernale, Padre Ibrahim ha raccontato il commento di un musulmano che viene a prendere l’acqua: “A guardare come la gente viene a prendere acqua, - ha detto - senza litigi, senza urlare, io mi meraviglio. Da altre parti ci si picchia e si grida. Voi siete diversi”.
E’ evidente che molti cristiani sognano di scappare, hanno paura. “Ma molti tra noi cristiani – ha spiegato il padre francescano - sono convinti che il Signore già ai tempi di san Paolo ha piantato l’albero della vita nel Medio Oriente. Noi non vogliamo portare via questo albero”.
Ad una donna che gli ha confessato il disagio e della preoccupazione per i tanti cristiani fuggiti, padre Ibrahim, ha risposto: “Non è stato forse il Signore che vuole cambiare la gente intorno a noi, perché il profumo di Cristo arrivi anche a loro? Non è un disagio, ma un compito che il Signore ci ha affidato”.
Per quanto riguarda i francescani di Aleppo, padre Ibrahim ha detto: “Amiamo di più, perdoniamo di più, ma non ce ne andiamo”.
Nonostante le tristi condizioni e le violenze del conflitto armato, padre Ibrahim ha parole di compassione e perdono.
“Non possiamo limitarci ad invitare a resistere. L’azione che portiamo è positiva: Gesù ci insegna nel Vangelo a elargire il perdono ai crocifissori anche quando non lo richiedono.”
Commosso fino alle lacrime, padre Ibrahim ha concluso “Non sappiamo quando finirà. La cosa importante è testimoniare Cristo. Testimoniare la vita cristiana amando, perdonando e pensando anche alla salvezza di chi ci fa il male. Offriamo la nostra sofferenza per la loro salvezza, preghiamo per loro.”
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