La vita ci è data per diventare "perfetti", e la "tristezza" incombe quando non riusciamo ad esserlo. Tutto ciò che è meno della perfezione non ci appaga, non ci realizza, non dà compimento ai nostri giorni; ci frustra e ci getta nel cinismo e nell'accidia, madri sempre incinta della tristezza. Non a caso il "tale" che si avvicina a Gesù è un "giovane". Se è lì davanti a Gesù, innanzitutto è perché, come ogni giovane, non sa cosa fare: se studiare o lavorare; che facoltà scegliere o dove presentare domanda di lavoro; se fidanzarsi o no con quel ragazzo; se sposarsi o aspettare; se dare ascolto a quella voce che sembra ti stia chiamando ad essere prete o suora, oppure non farci caso e metterla a tacere. In fondo, mentre tira su e arrotola la persiana dei pochi anni vissuti, il giovane chiede a Gesù se esiste qualcosa di buono per cui valga davvero la pena spendere la vita; una buona causa, un buon ideale, un buon motivo per fare e raggiungere l'eternità. Il professor Keating, protagonista del film L'attimo fuggente e modello per intere generazioni, avrebbe risposto al giovane: "Cogli l'attimo, cogli la rosa quand'è il momento". Perché il poeta usa questi versi? [...] Perché siamo cibo per i vermi, ragazzi. Perché, strano a dirsi, ognuno di noi in questa stanza un giorno smetterà di respirare: diventerà freddo e morirà. Adesso avvicinatevi tutti, e guardate questi visi del passato: li avrete visti mille volte, ma non credo che li abbiate mai guardati. Non sono molto diversi da voi, vero? Stesso taglio di capelli... pieni di ormoni come voi... e invincibili, come vi sentite voi... Il mondo è la loro ostrica, pensano di esser destinati a grandi cose come molti di voi. I loro occhi sono pieni di speranza: proprio come i vostri. Avranno atteso finché non è stato troppo tardi per realizzare almeno un briciolo del loro potenziale? Perché vedete, questi ragazzi ora sono concime per i fiori. Ma se ascoltate con attenzione li sentirete bisbigliare il loro monito. Coraggio, accostatevi! Ascoltate! Sentite? "Carpe", "Carpe diem", "Cogliete l'attimo, ragazzi", "Rendete straordinaria la vostra vita"!" (guarda il video e leggi alcuni commenti negli approfondimenti). Proprio quello che il giovane non è stato capace di fare. Come la maggior parte di noi, nonostante tanti anni passati in Chiesa... E sapete perché? "Perché aveva molte ricchezze". Attenzione, che qui stiamo scoprendo il filone di un giacimento d'oro, un tesoro capace di rivoltarti la vita come un calzino. E farla bella, così bella e straordinaria da lottare strenuamente per viverla istante dopo istante, cogliendone ogni attimo. Il giovane era già pieno; non aveva posto per quello che gli stava offrendo Gesù. Avrebbe dovuto disfarsene, ma non ce l'ha fatta. Esattamente come i giovani del professor Keating, da lui gonfiati di sogni per soddisfare se stessi; per saziarsi offrendo a se stessi ogni attimo, e quindi ogni pensiero, attività, persona, sino a suicidarsi; incapaci di reggere l'urto della Croce che è sempre l'altra faccia del peccato, che esiste, che lo si sogni o no... come esistono i limiti, i difetti, le difficoltà, e poi le regole per cercare di vivere un minimo decentemente. Chi è ingannato dalla menzogna demoniaca e si è lasciato sedurre dal sibilo del serpente così simile al ghigno ammiccante del professor Keating, non gusterà neanche un briciolo di vita, ma solo la morte, acida e terribile: "Quell'insegnante non ha dato una sola ragione, tutti erano commossi e tutti erano furibondi contro i genitori che avevano provocato indirettamente il suicidio del giovane mentre l'assassino era stato l'insegnante" (Don Giussani). Quel professore non ha dato ragione di quanto insegnava... Era vanità delle vanità, e un inseguire il vento... Era la felicità che si nutre dei progetti, dei sogni, e lascia sempre più vuoti, dissociati, paralizzati, incapaci di vivere pienamente la realtà. Come ciascuno di noi, che anche nel rapporto con Gesù, cerchiamo quel qualcosa in più che ci faccia raggiungere ciò che desideriamo: una formula, una regola da seguire, un talismano che ci sleghi dall'indecisione, ci liberi dalla precarietà e ci dia quello che pensiamo sia pace e felicità. Alcuni esegeti affermano che la parola "giovane" è un termine tecnico usato da Matteo per indicare i catecumeni. E che cos'è un giovane se non uno che ha bisogno di ascoltare la Parola di Dio per crescere e imparare? Egli è immagine degli ebrei che bussavano alle porte della Chiesa perché avevano creduto all'annuncio del Vangelo. Come la mattina di Pentecoste quando, dopo aver ascoltato il kerygma da San Pietro, la folla si "sentì trafiggere il cuore" e dissero: "che cosa dobbiamo fare, fratelli?". Il "giovane" ha creduto che Cristo è risorto, che non muore più, e desidera questa vita che ha visto crescere e cambiare l'esistenza ai cristiani. E' come se chiedesse: "che cosa devo fare perché la tua resurrezione sia anche la mia; perché io possa entrare nella tua vita, come i cristiani?". Però, da bravo giudeo, ha pensato che per diventare cristiano sarebbe stato necessario fare qualcosa di diverso e più "buono", forse compiere qualche comandamento in più dei suoi fratelli ebrei. Per un giudeo, infatti, il destino di un uomo dipende dalla sua obbedienza alla Legge. E Gesù non fa assolutamente nulla per smentire il cuore della spiritualità di Israele. Ma annuncia che Lui stesso è la Torah fatta carne e compiuta, chiamando il giovane a "seguirlo", cioè a obbedirgli. Ma per diventare "discepolo" di Gesù aveva un lungo cammino da fare; doveva prima "convertirsi", cambiare mentalità e vita, prendere tutti i suoi beni, darli ai poveri, farsi un tesoro lassù, nella vita che voleva ottenere, e poi avrebbe potuto seguire il Signore. Ma Gesù non inizia subito parlandogli dei beni. Si sarebbe scandalizzato. Comincia con il fare ordine e pulizia nel cuore del giovane. E chiarisce che solo Dio è "buono", la fonte della vita e l'autore del cammino per ereditarla. E' un punto importante, perché dicendo questo Gesù sta gettando un amo nel cuore del giovane, perché nel cuore resti impressa la questione fondamentale: vive eternamente solo chi compie lo Shemà; solo chi ama Dio, l'unico "buono"" con tutto il cuore, con tutta la mente e tutte le forze, e il prossimo come se stesso. E il giovane dovrà aprire gli occhi e scoprire che non lo aveva mai compiuto; che era lontanissimo dalla perfezione e mancava di tutto per essere felice. Ma ci doveva arrivare piano piano... Era religioso, per questo non era facile demolire l'idea perfettina che ha di se stesso. L'ipocrisia, generalmente, profuma d'incenso... Allora, per iniziare Gesù va all'ABC dell'ebraismo. Il giovane dovrebbe sapere che cosa è chiamato a fare un ebreo per avere la vita che verrà: obbedire ai comandamenti del decalogo. Va bene, però dimmi quali, quelli che proprio non posso omettere... Dai, dimmi il comandamento "buono" per vincere la Vita eterna... E Gesù risponde, come per rivelargli che non c'è un comandamento così "buono" e speciale, ma che tutti sono importanti, perché esplicitano, nella vita quotidiana, il cammino dell'amore all'altro come a se stesso: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». Ma qui il giovane comincia a stupirsi: aspetta, aspetta, queste sono cose che ho sempre fatto, che c'è di diverso tra me e te allora, tra noi giudei e i cristiani? "Che mi manca" per essere come voi? Il giovane non si era accorto che Gesù aveva nascosto la prima parte del Decalogo, la fonte dalla quale scaturiscono tutti i comandamenti: "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me" (Es 20). Perché? Per smascherare l'inganno nel quale era preso il suo cuore. Per convertirsi e diventare cristiano doveva scoprire e accettare di essere peccatore; doveva cioè spogliarsi di ogni presunzione religiosa e clericale. Doveva scoprire di non aver mai compiuto nessun comandamento, perché non amava Dio con tutto se stesso, cioè con "tutti i suoi averi". Non era ancora uscito dall'Egitto, era tuttavia schiavo di molti dei, di "molte ricchezze" di fronte a Dio. Per questo Gesù lo incalza dicendogli diritto al cuore: "se"... Ora il giovane si trovava piantato dinanzi al suo "se", come ogni catecumeno che cammina verso la fede adulta, come anche noi, ogni giorno...
Vuoi davvero sapere che cosa "ti manca"? Allora rispondi innanzitutto a questo: "Vuoi essere perfetto?"; cioè, vuoi essere cristiano? O vuoi qualche cosa d'altro? Perché sei nella Chiesa? Perché cerchi il Signore? Perché vai a messa, preghi, fai volontariato? Perché stai in un cammino di fede, in un movimento o in un gruppo?E' uno scrutinio del cuore fondamentale; non si può eludere, altrimenti non si diventa "discepoli" di Cristo. Lui invita il giovane a convertirsi, ad andare per la strada opposta: mentre il mondo ti invita a comprare tutto, Gesù ci invita a vendere tutto! Ci apre il Cielo sulla terra, mentre il mondo ci spalanca l'inferno sulla stessa terra. Non si tratta di un "consiglio" evangelico per preti e suore. E' l'unica condizione per seguire Gesù. Perché Lui è Dio, e la perfezione è essere suo discepolo. Non c'è altra felicità che un rapporto intimo ed esistenziale con Lui. Non ci sono comandamenti da "fare" e "osservare"; c'è solo da accogliere Cristo nella propria vita, e mettersi a seguire le sue orme. Obbedire a Lui è l'unica via per la vita. Lo aveva compreso San Francesco, che ha colto l'attimo in cui il Signore gli offriva una vita davvero straordinaria, ha "venduto tutto e dato ai poveri", ed è rimasto nudo dinanzi al suo padre nella carne, perché aveva conosciuto il Padre celeste. Era libero, perché figlio di Dio, cioè cristiano. Aveva scoperto che la vita che voleva era quella di ogni giorno, con le sue difficoltà, le pene, le disillusioni, le purificazioni di sogni e desideri - e Dio sa quanto duro è stato per Francesco... anche con le regole da rispettare, che lui non avrebbe voluto... Ma proprio per questo era la vita unica e irripetibile, da gustare in ogni secondo, perché ogni "attimo" è dato da Dio per farne risuonare in cielo la fragranza dell'amore. Ogni attimo è un'occasione da non farsi sfuggire per amare, donarsi, senza riserve. Allora l'eco di quel momento si inerpica in Cielo, e vi si aggancia per l'eternità. Cioè quella parola, quel gesto, quella partita di calcio, quell'ora di studio, quel fare l'amore con la tua sposa, quel giorno in ufficio, quelle ore date a tuo figlio per ascoltarne le difficoltà, per litigarci chissà, tutto l'amore che colma gli attimi che si susseguono nella vita diventano immortali, scritti in oro nel Cielo. Saranno per sempre parte della vita eterna per la quale siamo nati. E' questo il destino e non diventare "cibo per i vermi". Per questo siamo chiamati a vendere tutto, sì, hai capito bene, a prendere i soldi e darli ai poveri; a rimanere senza nulla a coprirti le spalle per "farti un tesoro nel Cielo"; senza questa esperienza, che cioè Cristo è risorto e ha vinto la morte, e per questo la vita eterna dipende da Lui e non dai beni è inutile, non si diventa cristiani, e si resterà con la tristezza del "se" senza risposta, nel dubbio che si vada a finire come "concime per i fiori"... E allora il matrimonio sarà un inferno, il rapporto con i figli, non ne parliamo. Senza Cielo, solo sogni da inseguire, e la realtà a spezzarli... Coraggio, Cristo è anche oggi di fronte a te e a me, come ad ogni giovane raggiunto da un cristiano, dalla predicazione della Chiesa. Lui è vivo e ci aspetta in questo attimo irripetibile, dove entrare con Lui, per renderlo un frammento eterno dell'eterno amore. Per sperimentare, nella totale debolezza, nella nuda realtà, la sua risurrezione. Capite? Non c'è nulla di incolore, di sciapo, di routinario, di noioso. Nulla, perché in tutto possiamo seminare l'amore, cioè noi stessi con Cristo. I sogni te li portano via, basta poco. La realtà, invece, non può portartela via che il demonio, inducendoti proprio ad evaderla con i sogni. Invece siamo chiamati ad essere totalmente attaccati alla realtà, a quella di questo momento, di questa persona, di questo fatto. E' qui, e aspetta solo d'essere accolto e amato; aspetta solo la nostra carne risorta con Cristo, che già non muore più nel fallimento, nella solitudine, nella frustrazione. Il punto è se davvero desideriamo la Vita eterna. Per questo Gesù risponde con un'altra domanda: "Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono". E scopriamo che, nel porre la domanda, il giovane ha sbagliato qualcosa di decisivo! Non si tratta di sapere "che cosa sia buono da fare", ma di conoscere "il solo buono"! Lui non lo aveva mai amato, ma solo perché non lo aveva conosciuto davvero. Gliene avevano parlato, ma doveva essere esperienza sua... Come ogni figlio deve passare dalla fede prestata dai suoi genitori, alla propria. Un conto è conoscere Dio attraverso gli occhi del padre e della madre, un conto è contemplarlo con i propri occhi. Ecco il perché della "tristezza" che affiorerà sul suo volto, mentre "se ne andrà" lontano da Gesù; in fondo non gli interessava davvero conoscere Dio, diventare cristiano. I beni erano troppo più importanti. Lui stesso era più importante; la sua realizzazione, fosse anche religiosa, stava usurpando il posto di Dio, della Grazia, dell'amore... Allo stesso modo tanti giovani, e molti meno giovani, sono tristi e angosciati "perché interrogano Gesù" - nella preghiera personale o consultando genitori, preti o catechisti per un parere - per sapere che "cosa fare" per dare vita ai propri ideali, ai sogni; tutti pensiamo di essere angosciati perché non abbiamo interessi speciali e così definiti da imporci una scelta; crediamo che le crisi ci vengano dall'essere incoerenti e indecisi. Niente di più sbagliato ci dice il Signore. La "tristezza" di nostro figlio non è causata dal non sapere "che cosa fare", ma dal non conoscere "il solo buono". La felicità, infatti, nasce da un incontro, mai da un fare; la gioia scaturisce dalla gratuità e mai dallo sforzo. Il Signore ci annuncia che quello che vorremmo sapere da Lui è solo un misero desiderio della carne, il meschino criterio con cui l'uomo vecchio vorrebbe tenersi a galla, magari in un contesto religiosamente corretto, così che nessuno lo possa smascherare. Non esistono manuali di felicità, perché essa è conoscere Dio come un Padre "buono". Sino ad ora abbiamo conosciuto Dio come un legislatore, a volte invadente e incomprensibile, e abbiamo spensieratamente fatto la cresta su alcuni codicilli, a nostro parere marginali e non decisivi: qualche rapporto prematrimoniale, qualche tassa ingiusta non pagata, un giudizio che, accidenti! è solo una constatazione, una mormorazione e un gossip (diffamazione, ma fa' niente...) su quella cugina che, mamma mia, quante ne ha fatte.... E poi, lo abbiamo pregato e consultato per darci delle dritte su come "fare" nelle diverse situazioni. Ma niente, pur "facendo" siamo rimasti insoddisfatti: vita si che ne abbiamo, ma di quella eterna e che ti sazia neanche a parlarne... Nel matrimonio amiamo certamente coniuge e figli, ma..... manca qualcosa che ci faccia guardare allo specchio e ci faccia dire: "ti benedico Signore, perché davvero nulla mi manca".... Ecco, ci manca Colui che non ci fa mancare nulla. Ai giovani che non sanno cosa fare manca l'esperienza che con Dio, che è un Padre buono, non manca nulla. Manca la "perfezione", che non si riferisce alla condotta morale, ma alla pienezza di vita dei cristiani. Nella Chiesa primitiva essi erano definiti "perfetti", perché in loro non mancava nulla della "pienezza" di Gesù Cristo, perché, battezzati, vivevano ormai la sua vita. "Perfezione" significa infatti "pienezza", "compiutezza"; l'opera "perfetta di Dio" è la vita di Gesù offerta sino alla fine, sino alla perfezione secondo l'originale greco: quando, spirando sulla Croce, il Signore dice: "Tutto è compiuto, tutto è perfetto". Al giovane "per essere perfetto" - per non mancare di nulla - "manca una cosa": aprirsi e svuotarsi, dare tutto quello che ostacola la presenza di Cristo in lui. Manca vendere quello che lo riempie, per diventare affamato dell'unico pane che sazia. Manca spogliarsi di tutto, per restare senza difese, un peccatore senza diritti e opere davanti a Dio, e sperimentare che davvero è un Padre buono, l'unico; il solo che perdona infinite volte, che non giudica, non disprezza, che non chiede nulla in cambio del suo amore, che, per amarci, non esige il nostro "fare". Manca conoscere il Padre "buono" che ci ha creati nella sua "bontà" come la sua creatura più "buona". Al giovane, come ai nostri figli, e spesso anche a noi, manca la conoscenza intima del Padre, al punto che la sua "bontà" si rifletta in ciascuno, creato a sua immagine e somiglianza. Ai giovani, per avere la vita eterna, per essere felici, per essere perfetti manca proprio il "tesoro nel Cielo", manca il Padre! Il giovane se va triste perché ha preferito restare orfano. Come tante volte accade anche a noi, e ai nostri figli. Il giovane è triste perché ha scelto di continuare a servire il patrigno, o meglio, l'aguzzino: "seguendo Gesù" sul cammino della conversione e della libertà, dove "vendere ogni bene per darlo ai poveri", avrebbe sperimentato di avere un tesoro in Cielo, di non essere orfano ma figlio nel Figlio dell'unico Padre buono. Seguire Gesù, infatti, non significa dover abbandonare stoicamente i propri beni, ma aver incontrato il Figlio che è immagine e somiglianza "perfetta" del Padre, l'unico "buono" che dà la Vita eterna, il "bene" assoluto. Ovvio che per seguirlo è necessario prima tagliare le catene che legano agli idoli: ma non si tratta di un moralismo o dell'eroismo di chi si illude di aver optato per Gesù. E' invece opera del potere infinito della sua Parola che chiama a seguirlo. Ecco dunque "che cosa fare": camminare nella Chiesa, ascoltare anche oggi Gesù, accogliere nel cuore la sua chiamata d'amore, e lasciare che Lui operi in noi la volontà "buona" del Padre "buono". E questo siamo chiamati a trasmettere ai "giovani": ad abbandonarsi all'amore di Dio, a mettere la propria vita completamente nelle sue mani, come un foglio in bianco sul quale Egli possa scrivere la sua volontà d'amore, attraverso la Chiesa, in un serio cammino di conversione. Spesso, nelle indecisioni, si cela l'idolatria della propria volontà e dei propri criteri. I giovani non sanno cosa fare perché difendono ciò che vorrebbero fare e che non riescono a fare. Per questo Gesù e la sua Chiesa, i pastori con i catechisti e i genitori, annunciano alle nuove generazioni che c'è un solo cammino alla vita eterna, quello dell'autentica libertà: essa si sperimenta solo "seguendo" Gesù, "vendendo" ogni giorno "quello che si possiede", le persone e le cose, i progetti e i criteri, soprattutto la propria volontà, per "darlo ai poveri"; ciò significa convertirsi, ovvero non vivere più per se stessi "possedendo", ma per gli altri "offrendosi". Faranno allora la stessa esperienza di Pietro, adulti nella fede e nella loro umanità: come lui, infatti, quando erano "giovani" andavano dove volevano, facendo quello che la carne desiderava; ma ora, anziani perché adulti nell'esperienza dell'amore di Dio, possono tendere le loro mani, a scuola, nel lavoro, nelle relazioni, e andare dove non vorrebbero, offrendo la propria vita gratuitamente. Non saranno allora più in crisi per non sapere che cosa fare, perché stretti nel dover fare solo quello che la libido e la concupiscenza desidera, senza essere mai soddisfatti; al contrario, saranno felici perché liberi di studiare quando non vorrebbero, sposarsi anche se la paura li schianta, accettare un lavoro noioso e senza soddisfazione. Cogliamo dunque ogni attimo per "vendere tutto" e avere dentro di noi la Vita eterna, perché questo è "ottenerla", ereditarla: non solo dopo la morte, ma oggi! Un cristiano ha la vita di Cristo dentro, perché ha tolto tutto quello che le impediva di farsi largo nel cuore, nella mente, nello sguardo, nei gesti, nelle parole. Chi ha la sua vita, ama in ogni "attimo" che non sfugge più, ma è per l'eternità".
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