Le domande grandi dei bambini. Ripartire dal catechismo
di Costanza Miriano
Se avessi qualche potere nella Chiesa, ripartirei dal catechismo. Innanzitutto dal catechismo dei bambini. Metterei le menti migliori a fare quello, i meno dotati possono anche fare carriera – a gestire il potere non ci vuole molto – mentre a educare un bambino, lì sì che la questione si fa difficile. Dopo il baccalaureato, il megamultidottorato in teologia e lo studio dei padri della Chiesa, tutti a fare catechismo ai bambini piccoli, per fare il cardinale può bastare sicuramente meno talento.
Per far innamorare i bambini di Gesù devi esserne davvero innamorato, devi cercare con tutto il cuore di somigliargli, perché i bambini hanno un radar raffinatissimo che sente puzza di falsità o di mediocrità da chilometri. Loro si infiammano per le cose vere e grandi, e solo per quelle. Impedirei, invece, se potessi, a tanti catechisti (più spesso catechiste) di mettersi là all’ingresso a fare da tappo, cioè a impedire a tanti di avvicinarsi al Signore. Gli si mettono davanti, ne impediscono la vista, dicono ai bambini “ti spiego io chi è”, ma in realtà non l’hanno mai visto neppure loro, e svolgono – con buona volontà, lo riconosco, e dedizione, ma facendo tanti danni – un impegno che dia loro una ragion d’essere, uno status in parrocchia.
Noi abbiamo la fortuna di abitare a Roma, e di andare a messa a Chiesa Nuova, nostra parrocchia d’elezione, dove il catechismo ai più piccoli lo fa Padre Maurizio Botta. Non delega nessuno, c’è proprio lui, e non manca un incontro coi piccoli per nessun motivo. Fa catechismo con la talare, proprio per sottolineare la solennità del momento. Fuori dalla stanza non si sente volare una mosca, dopo le prime intemperanze i bambini capiscono che lì si sta in silenzio – un silenzio forse anche un po’ intimorito, perché se serve piemme (l’acronimo con cui lo chiamano in tanti) fa gli occhiacci e alza la voce. Soprattutto capiscono che c’è una grande serietà, che loro lì sono ascoltati con estrema attenzione e gravità, direi. Non c’è nessuna domanda troppo stupida per essere fatta, non c’è una domanda da liquidare con leggerezza. Non c’è nessuna domanda su cui piemme non si chini, fisicamente, riprendendo fiato e raccogliendo, si vede a occhio nudo, le migliori risorse per rispondere come se fosse davanti a una questione decisiva. La salvezza di quel bambino, un domani, dipende anche da lui, e questo lui lo sa.
Mi è costato un po’ portare lì tutti mercoledì le bambine fino a giugno: era un giorno di “lunga” a scuola, significa che uscivano di casa alle otto di mattina e ci tornavano alle sette e mezza di sera, perché a fare quattro chilometri nel traffico feriale del centro di Roma si impiega quasi sempre più di un’ora. È costato anche a loro, ma in due anni ho sentito forse una protesta, massimo due, per la stanchezza. I bambini sanno riconoscere il valore delle cose che ricevono, e mi auguro che ci siano tanti sacerdoti secondo il cuore di Cristo in giro per il mondo, tante consacrate come Madre Manuela, capaci di trattare i bambini con affetto da grandi, senza smancerie, ma con amore profondo.
Non so quante realtà simili ci siano in Italia, con i sacerdoti sempre più rari e sopraffatti dalle cose da fare, non so quanti considerino il catechismo della prima comunione una priorità. Io per esempio devo a Don Ignazio Zaganelli, il mio parroco, tutto quello che so, che non è molto, forse, ma che mi ha permesso di cercare Dio stando dentro la Chiesa, dentro il depositum fidei, e non nelle mie paranoie. Ho fatto catechismo fino a 19 anni, quando ho ricevuto la cresima, e poi – come ho già raccontato – un amico di Doni (Don Ignazio per i parrocchiani) ha regalato a noi del gruppo di preghiera post cresima un viaggio a Medjugorje (quando dico regalato intendo proprio regalato, autobus, traghetto, albergo). Questa custodia della parrocchia mi ha protetta da molte stupidaggini che avrei potuto fare (alcune ne ho fatte lo stesso, va be’, ma quello è talento).
Quanto alla fede, c’è in giro un analfabetismo generale tale che se fossi Papa, come dicevo all’inizio, manderei i rettori e i migliori professori delle università pontificie a fare catechismo nelle parrocchie di periferia. Le pubblicazioni teologiche possono aspettare, farei una moratoria per almeno dieci anni. Ricostruire dalle basi, altro che curare i fiori rari: in un deserto culturale spaventoso bisogna salvare il seme, e il seme sono prima di tutto i bambini. Loro soli sono capaci di accogliere il catechismo con tanta serietà, tanto che io temo davvero lo sguardo dei miei figli. Una volta Lavinia è scoppiata a piangere inconsolabile perché avevo detto “giuro che adesso tutto quello che è in giro lo butto”, perché per lei c’erano solo due possibilità. O avrei buttato tutto, o avrei commesso un peccato contravvenendo alle parole di Gesù. Non riuscivo a farla smettere di piangere, combattuta come era nella scelta tra salvare la mamma o i giocattoli.
Le domande che Padre Maurizio ha raccolto in anni di catechismo hanno dato vita a un libro, che verrà presentato domani alle 13 al Meeting di Rimini, e non è giusto che ci è lì se lo potrà subito comprare, mentre noi dovremo aspettare fine mese (così mi hanno detto in libreria). Le risposte che l’ho sentito dare – abbiamo girato dei video per il canale youtube dell’Ufficio Catechistico del Vicariato – hanno sempre provocato una riflessione anche in me, anche se ho ascoltato fingendo superiorità (“io ormai queste cose le so, è ovvio”). In realtà da quelle risposte anche io ho imparato uno sguardo nuovo e più rigoroso sulla fede: si sa che finché uno non prova a spiegare le cose a un altro non si rende conto se le conosce davvero. Quindi questo non è solo un libro per bambini (meravigliose le illustrazioni) o per grandi che vogliono educare bambini, ma anche per grandi che vogliono tornare bambini, visto che è l’unico modo per entrare nel regno dei cieli.
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