In questo momento si sente la mancanza di una riflessione da parte cattolica su un tema oggi molto trascurato o quasi abbandonato, il tema della nazione e della sua identità. Anche il Magistero della Chiesa, compreso quello pontificio, non sembra sufficientemente concentrato su questo punto. Però le migrazioni, l’attività degli organismi internazionali, la geopolitica, il nuovo globalismo lo ripropongono come tema urgente.
Provo a tornare indietro con la memoria e mi sembra di ricordare che dopo Giovanni Paolo II il tema della nazione sia stato messo da parte, mentre sono prevalse le riflessioni sulla globalizzazione. Giovanni Paolo II ne aveva parlato nella Centesimus annus, per esempio. Al paragrafo 24 aveva detto che l’uomo non lo si comprende partendo dal settore dell’economia, come era avvenuto nei regimi comunisti, ma proprio dalla cultura della nazione in cui egli vive e che lo pone davanti alla domanda fondamentale, la domanda su Dio. C’è quindi un nesso naturale e originario tra cultura della nazione e religione: anche le nazioni, come di conseguenza le singole persone, si danno una loro identità misurandosi con il problema religioso e, così facendo, costituiscono l’humus naturale anche per la costruzione della identità personale dei cittadini.
Le riflessioni di Giovanni Paolo II erano certamente segnate dall’esperienza polacca di intensa compenetrazione tra religione cattolica e identità nazionale, ma non era ad essa circoscritta, erano riflessioni a carattere universale. Molto profondo, in particolare il tema della memoria in rapporto all’identità, che Giovanni Paolo II sviluppò soprattutto nel libro “Memoria e identità”. La nazione nasce dalla memoria della sua storia e dei suoi valori, ed anche la Chiesa vive di memoria che, in questo caso, si chiama la Tradizione. Nella memoria della Chiesa però, spiegava il Santo Papa, è compresa la memoria dell’intera umanità, quella stessa memoria che Maria “meditava nel suo cuore”. Nella memoria della Chiesa sono presenti le memorie di tutte le nazioni ed è per questo che l’evangelizzazione incontra non solo singole persone ma popoli, nazioni e culture.
Credo si possa dire che dopo questi approfondimenti di Giovanni Paolo II il tema sia stato però sostanzialmente messo da parte, mentre maggiore attenzione è stata portata alla società globale, largamente presente sia nella Caritas in veritate che nella Evangelii gaudium e la Laudato si’.
La trascuratezza del tema della nazione, però, può contenere dei pericoli. Il primo è di elaborare un pensiero condiscendente verso l’ideologia globalista degli organismi internazionali con un cedimento improvvido verso lo stesso linguaggio della nomenclatura ONU. Di recente ci sono stati già degli esempi in questo senso e suona certamente male l’espressione “diritti riproduttivi” in bocca ad un diplomatico della Chiesa cattolica. Come è noto, il globalismo ha anche un’anima illuminista, positivista, massonica. Kant e Comte volevano un’etica universale e una religione civile universale, come anche Ban Ki-moon.
Nel globalismo, in altre parole, è presente il pericolo del sincretismo etico e religioso che punta all’ONU delle religioni o alla religione dell’ONU. Questo accade quando si pensa al genere umano come una somma disorganica di individui. Se, invece, il genere umano viene pensato anche come un insieme di nazioni allora il pericolo è vinto. La tendenza, anche cattolica, a considerare buono tutto quanto è sovranazionale è sbagliata. La dimensione sovranazionale deve essere sussidiaria a quella nazionale.
Un secondo pericolo consiste nel pensare come automaticamente buona e positiva la società multiculturale e multireligiosa, che ormai viene imposta e programmata dai centri di potere internazionale. E’ chiaro che una simile società sarà anche distruttiva delle nazioni e della loro identità culturale e, per il legame tra religione cattolica e nazioni visto sopra, sarà negativa anche per la religione cattolica. Quando addirittura la creazione forzata di società multiculturali non sia proprio lo strumento per trasformare la religione cattolica stessa.
Il terzo pericolo riguarda le politiche migratorie. La dimenticanza della nazione porta a pensare che gli immigrati siano solo individui e che dai confini non entrino anche culture, religioni e porzioni di nazioni. Si tende quindi a dimenticare il diritto delle nazioni alla propria identità. Un tempo il magistero queste cose le diceva con chiarezza, ora vengono dette in modo più sfumato o non vengono dette per niente. Le migrazioni impongono doveri evangelici di accoglienza, ma sarebbe sciocco limitare la cosa a questo. Ci sono anche atri livelli del problema ed uno non secondario è proprio quello della identità delle nazioni.
Provo a tornare indietro con la memoria e mi sembra di ricordare che dopo Giovanni Paolo II il tema della nazione sia stato messo da parte, mentre sono prevalse le riflessioni sulla globalizzazione. Giovanni Paolo II ne aveva parlato nella Centesimus annus, per esempio. Al paragrafo 24 aveva detto che l’uomo non lo si comprende partendo dal settore dell’economia, come era avvenuto nei regimi comunisti, ma proprio dalla cultura della nazione in cui egli vive e che lo pone davanti alla domanda fondamentale, la domanda su Dio. C’è quindi un nesso naturale e originario tra cultura della nazione e religione: anche le nazioni, come di conseguenza le singole persone, si danno una loro identità misurandosi con il problema religioso e, così facendo, costituiscono l’humus naturale anche per la costruzione della identità personale dei cittadini.
Le riflessioni di Giovanni Paolo II erano certamente segnate dall’esperienza polacca di intensa compenetrazione tra religione cattolica e identità nazionale, ma non era ad essa circoscritta, erano riflessioni a carattere universale. Molto profondo, in particolare il tema della memoria in rapporto all’identità, che Giovanni Paolo II sviluppò soprattutto nel libro “Memoria e identità”. La nazione nasce dalla memoria della sua storia e dei suoi valori, ed anche la Chiesa vive di memoria che, in questo caso, si chiama la Tradizione. Nella memoria della Chiesa però, spiegava il Santo Papa, è compresa la memoria dell’intera umanità, quella stessa memoria che Maria “meditava nel suo cuore”. Nella memoria della Chiesa sono presenti le memorie di tutte le nazioni ed è per questo che l’evangelizzazione incontra non solo singole persone ma popoli, nazioni e culture.
Credo si possa dire che dopo questi approfondimenti di Giovanni Paolo II il tema sia stato però sostanzialmente messo da parte, mentre maggiore attenzione è stata portata alla società globale, largamente presente sia nella Caritas in veritate che nella Evangelii gaudium e la Laudato si’.
La trascuratezza del tema della nazione, però, può contenere dei pericoli. Il primo è di elaborare un pensiero condiscendente verso l’ideologia globalista degli organismi internazionali con un cedimento improvvido verso lo stesso linguaggio della nomenclatura ONU. Di recente ci sono stati già degli esempi in questo senso e suona certamente male l’espressione “diritti riproduttivi” in bocca ad un diplomatico della Chiesa cattolica. Come è noto, il globalismo ha anche un’anima illuminista, positivista, massonica. Kant e Comte volevano un’etica universale e una religione civile universale, come anche Ban Ki-moon.
Nel globalismo, in altre parole, è presente il pericolo del sincretismo etico e religioso che punta all’ONU delle religioni o alla religione dell’ONU. Questo accade quando si pensa al genere umano come una somma disorganica di individui. Se, invece, il genere umano viene pensato anche come un insieme di nazioni allora il pericolo è vinto. La tendenza, anche cattolica, a considerare buono tutto quanto è sovranazionale è sbagliata. La dimensione sovranazionale deve essere sussidiaria a quella nazionale.
Un secondo pericolo consiste nel pensare come automaticamente buona e positiva la società multiculturale e multireligiosa, che ormai viene imposta e programmata dai centri di potere internazionale. E’ chiaro che una simile società sarà anche distruttiva delle nazioni e della loro identità culturale e, per il legame tra religione cattolica e nazioni visto sopra, sarà negativa anche per la religione cattolica. Quando addirittura la creazione forzata di società multiculturali non sia proprio lo strumento per trasformare la religione cattolica stessa.
Il terzo pericolo riguarda le politiche migratorie. La dimenticanza della nazione porta a pensare che gli immigrati siano solo individui e che dai confini non entrino anche culture, religioni e porzioni di nazioni. Si tende quindi a dimenticare il diritto delle nazioni alla propria identità. Un tempo il magistero queste cose le diceva con chiarezza, ora vengono dette in modo più sfumato o non vengono dette per niente. Le migrazioni impongono doveri evangelici di accoglienza, ma sarebbe sciocco limitare la cosa a questo. Ci sono anche atri livelli del problema ed uno non secondario è proprio quello della identità delle nazioni.
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