Il più grande dei comandamenti, il più grande nel Regno dei Cieli... Chi seguiva e si avvicinava al Signore non aveva molta fantasia. Come il cuore di ciascuno di noi, monotono e sempre in cerca di risultati, misure da esibire, cifre e numeri a stabilire il perimetro della propria presenza: più "conti" e più sei grande, e addio paura della fine... L’ambizione è sempre figlia dell’insoddisfazione, dell’esigenza insopprimibile di colmare il vuoto che sperimentiamo. Così si fa strada in noi l’illusione che in una certa grandezza vi sia la possibilità di dare consistenza e certezze alla nostra vita. Essere il più grande, la stessa tentazione che ha sedotto Adamo ed Eva, diventare come Dio, salire più in alto di tutti per decidere in tutta "libertà", dirigere e proteggere la propria vita senza nessuno che la contesti e frustri i nostri desideri. Gesù ci conosce e così, invece di rivelare "chi" sia il più grande, indica il "cammino" che Lui stesso ha percorso, la Via Crucis alla ricerca della "pecora perduta". La "conversione" alla quale ci chiama il Signore è "diventare piccoli" come un "bambino" perché in noi sia offerto Cristo a tutti. L'originale greco tradotto con "diventare piccoli" è "tapeinōsei", che significa "umiliarsi". Nel mondo greco l'umiliazione e l'inferiorità espresse da questo verbo erano una vergogna da evitare; essere impotente, insignificante, obbligato a obbedire e a servire contrastava con l'antropocentrismo della cultura greca. "Tapeinos" significa infatti fondamentalmente "ciò che sta in basso, è inferiore a ciò che sta in alto, che è superiore". Indica quindi una realtà che, applicata ad una persona, è assolutamente da evitare. La versione greca della Bibbia cosiddetta LXX (settanta) usa "tapeinos" prevalentemente per tradurre la radice "anah" che significa "piegato, abbassato", "shapal", ovvero "essere nel profondo, essere in basso", "dalal", cioè "essere piccolo, insignificante, senza voce". Comprendiamo allora che "umiliarsi" è entrare nella verità, accettare cioè la propria realtà, l'essere in basso, inferiore agli altri... Per questo convertirsi significa passare dal pensare secondo gli uomini al pensare secondo Dio; è un cambio di mentalità, che si dà solo quando si è scoperta e accettata la realtà. Altro che "grandi", siamo "piccoli" e spesso "perduti", abbiamo bisogno di un Pastore che ci ami senza giudicarci, che ci "cerchi" e ci "ritrovi". Di Cristo, il Buon Pastore per il quale "il più grande" nel Regno dei cieli è proprio "il più piccolo", un bambino capriccioso che si infila in un bosco e si perde. Come te e me. Si, quel bambino che Gesù ha "chiamato" e "posto in mezzo" a tutti sei tu, sono io. Non perché a prezzo di sforzi indicibili ci siamo rimpiccioliti e siamo diventati finalmente umili. Quel bambino sei tu e sono io perché la storia ci ha ridimensionato ai nostri stessi occhi; come panna montata credevamo di gonfiarci sempre più, studio, lavoro, soldi, soldi, soldi... Ma la panna è impazzita, e ora è acida, immangiabile... I peccati hanno svelato il nostro lato nascosto di morte e solitudine, per sfuggire il quale ci siamo gonfiati come pavoni. Come il figlio prodigo, abbiamo inseguito sogni di gloria, proprio come i bambini che, da grandi, sognano di diventare calciatori, cantanti, ricchi e famosi, preti meravigliosi ai quali ricorrono frotte di persone. E ci siamo fatti male, cadendo rovinosamente dalle nuvole, e ci siamo ritrovati soli, come la pecora della parabola. Ma Gesù è venuto a "chiamare i bambini", i malati e i peccatori, i lontani e i perduti. Gesù ha la stessa "volontà del Padre", la rivela e la compie. Non a caso, per illuminare la parabola, conclude dicendo che questa volontà è "che neanche uno di questi piccoli si perda": non dice pecora, ma identifica questa con uno dei "piccoli", dal bambino che ha chiamato e messo "in mezzo a loro", a coloro che volevano sapere "chi fosse il più grande nel Regno dei Cieli". Un bambino tra i bambini, ecco il più grande: il più piccolo perché disprezzato a causa dei suoi peccati, ma il più grande perché, per amare uno che tutti hanno già sistemato nella casella del disprezzo, ci vuole un amore grande, quello di cui solo Dio è capace. Quanto disprezzo abbiamo sperimentato nel mondo; il demonio, infatti, fa sempre così: prima ci induce a "perderci" e poi ci dà in pasto al disprezzo del mondo e di noi stessi, sino a spingerci alla disperazione. E' questa l'autentica perdizione, disprezzare se stessi dimenticando che, anche nel fondo più buio, i nostri "angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre di Gesù che è nei cieli". E' questo il cuore del Vangelo di oggi: proprio laddove, a causa del peccato, più grande si è fatta la distanza tra l'uomo e Dio, il Cielo è divenuto più vicino: "dove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la Grazia". Lo sguardo di Dio ha accorciato ogni distanza, perché vede nel più piccolo tra gli uomini, il suo più grande tesoro. Vede suo Figlio, che, per cercare la pecora perduta, è precipitato nello stesso smarrimento, quando, sulla Croce, ha gridato: "Padre, perché mi hai abbandonato?". La sua carne era lontana dal Cielo, inchiodata alla Croce da tutti i peccati di ogni pecora perduta, ma, proprio perché è "diventato come un bambino", il più "piccolo" e il più "disprezzato" tra gli uomini, attirava a sé lo sguardo misericordioso del Padre che, per questo, lo ha risuscitato facendolo "entrare nel Regno dei Cieli". Gesù era perduto in tutti i perduti, ma più vicino che mai al Padre che era misteriosamente accanto a Lui: "cercava" le sue lacrime, il suo sangue, goccia dopo goccia, e ha "ritrovato" in quella sua carne martoriata ogni carne ferita dal peccato per riportarla in salvo. Forse non ci abbiamo mai pensato, ma proprio mentre ci stavamo allontanando, cedendo miseramente al peccato, il Signore era già alla nostra ricerca. Così, proprio ora, in questa situazione dalla quale non sappiamo uscire, Gesù ci sta "cercando": nel suo sguardo risplende il cuore del Padre che non ha mai smesso di guardarci come i suoi figli carissimi, mentre il suo cuore freme di compassione nel vederci così "piccoli" e "disprezzati". In noi ha riconosciuto il suo Figlio diletto crocifisso, nelle nostre ferite ha visto quelle gloriose del suo Unigenito. Se ti senti "perduto", coraggio! Ora per te è come per gli apostoli la sera di Pasqua, "perduti" nella paura e nascosti nel cenacolo; come per i due discepoli di Emmaus "perduti" sulla strada del ritorno alla solita vita, all'immenso sconforto d'una speranza svanita. E lì, nello sconforto per il disprezzo che ti senti addosso, può vibrare il cuore di gioia purissima per l'incontro di due così diversi eppure fatti l'uno per l'altro: "Ossa delle mie ossa, carne della mia carne", sono queste le parole del Pastore al ritrovare la sua amata pecora smarrita, le stesse che, oggi, puoi ascoltare mentre Gesù ti "trova" e ti abbraccia. Perché si diventa cristiani scoprendo e accettando di essere "In basso", il più in basso di tutti: di tuo marito e di tua moglie, di tuo fratello e dei tuoi genitori, del tuo fidanzato e di ogni persona che incontri, anche del più grande peccatore. Di tutti quelli che hai disprezzato e continui a disprezzare... Un cristiano è, semplicemente, una pecora che si è perduta e, per pura grazia, è stata ritrovata e caricata sulle spalle dal Signore. Una pecora che Cristo ha ritrovato sulla Croce dove si è umiliato diventando il più piccolo di tutti per salvare te, il più "umiliato" di tutti a causa dei tuoi peccati. Sì fratelli, si "diventa" cristiani solo incontrando Cristo sulla Croce, nell'esperienza quotidiana del perdono dei peccati che ci fa nuove creature in Lui, che vivono crocifisse nella storia.
Per questo Gesù dice di "non disprezzare i piccoli" che camminano sulle spalle del Buon Pastore. Non disprezzare chi è debole, incoerente; non disprezzare i "piccoli" per i quali Cristo ha dato la sua vita, e che la Chiesa e i suoi "angeli" (apostoli) cercano sino agli estremi confini della terra. Non disprezzare chi si è "perduto"! Attento, perché i martiri, i santi che già sono nel Cielo, un loro amico, parente o pastore ha offerto unito a Cristo le proprie sofferenze nel segreto per ciascuno di loro. Per questo, anche se ora sono lontani e schiavi dei peccati, c'è un "angelo", l'angelo di ciascun piccolo "perduto" che "guarda sempre la faccia del Padre che è nei Cieli", che cioè sta intercedendo per loro, riflettendo, come uno specchio, le sofferenze e le angosce perché il Padre abbia compassione di tutti. Perché compia sulla terra la sua volontà di "non perderne nessuno". Chi si scandalizza dei peccatori ha dimenticato la sua "umiliazione" e non ha sperimentato che ci si "rallegra per la pecora perduta più che per le novantanove che non si erano smarrite". Si sente tra le novantanove, e non tra quella perduta. Per questo non è mai uscito davvero per andarla a "cercare"... Capita anche a noi, vero? Troppo impegnati a guardarci allo specchio, se siamo diventati un pochino più buoni, e a "disprezzare" sottilmente gli altri... Per questo oggi Gesù viene a scuotere le nostre comunità, i loro pastori e i loro fedeli; viene a scuotere te e me, che forse non "ci pare" proprio il caso di perdere tempo per chi si è perduto. Pensiamoci sinceramente: chi lascerebbe il guadagno sicuro di novantanove pecore per andare a cercare un'unica pecora dispersa, senza alcuna certezza di trovarla, senza sapere se sia viva o morta, o sbranata dai lupi e così inutilizzabile per lana e carne? Chi, facendo due lucidi calcoli, si sognerebbe di rischiare la vita per un'unica pecora, avendone messe al sicuro novantanove? Chi lascerebbe la parrocchia piena di fratelli avviati a un pascolo tranquillo per un fratello traviato, l'unico, scappato, perduto, ostinato nei suoi peccati, cieco nei suoi inganni? Chi, dinanzi all'evidenza di anni scivolati senza concludere nulla di quanto creduto, sperato, sofferto, sarebbe disposto a ricominciare tutto da capo, con moglie, marito, figli, parenti e colleghi? Chi è così libero da se stesso, dagli anni accumulati e dalle ragioni di prete, di padre, di madre, di fratello, di sorella, raccolte nella mente e nel cuore, da ripresentare, ogni giorno, dinanzi alle mille speranze frustrate, la propria vita come un foglio completamente bianco, nell'assoluta certezza che Dio può stupire e compiere l'impossibile? Chi? Solo Gesù Cristo! Gesù è l'unico che ha nel cuore cento pecore, sempre. Anche quando una scappa, si perde, lo rifiuta, lo bestemmia, spezza l'Alleanza, lo tradisce, e distrugge la propria vita e dilapida la primogenitura e le Grazie ad essa legate, per Lui sempre cento sono le sue pecore. Gesù non cancella nessuno, non considera nessuno spacciato, sino alla fine. Per Lui è sua pecora anche la peggiore, la più ribelle; anche quella che lo umilia, e lo calunnia, e lo uccide... cento ne ha ricevute, cento vuole portare all'ovile eterno del Cielo. Così vive anche chi ha sperimentato il suo amore, i "piccoli" che, "disprezzati" da tutti, hanno incontrato il suo apprezzamento senza condizioni. Solo chi ha sperimentato la gioia di essere stato "ritrovato" può lanciarsi a cercare chi ancora non è stato trovato. Per questo i "piccoli" sono anche gli apostoli del Regno, gli annunciatori del Vangelo: "chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me". Chi accoglie i "piccoli" evangelizzatori che accettano la loro piccolezza e conservano nel cuore l'esperienza di essere stati "ritrovati", accoglie l'amore di Dio che si offre in loro; hanno, infatti, il pensiero di Dio su chi è vicino e si è fatto il più lontano, l'amico che mangiava insieme e ha tradito, vendendoli per trenta stupide monete. Anche noi siamo chiamati a camminare sulla Via Crucis che ci ha salvato, la strada di quell'unica pecora così strana da perdersi, da uscire dai nostri schemi. Se non è presente all'appello del branco, al sicuro dell'ovile, per quanto si brighi e si ragioni, ci lascia il cuore inquieto; ed è il segnale che siamo nati per amare davvero, al di là di ogni ragione, per sperare contro ogni speranza, e per accogliere tutti, senza distinzione, nel nostro cuore. Quell'unica pecora che ci è sfuggita, che non ha accolto il nostro amore, le nostre cure, parla al nostro cuore: è il Signore stesso che, in lei, ci chiama alla luce della verità. Forse gli sforzi che abbiamo profuso hanno dimenticato chi quella pecora fosse realmente, e abbiamo tentato di rinchiuderla nei nostri criteri. O forse no, forse è stata davvero così perversa da rigettare il nostro amore, da rifiutarci e tradirci. Il fatto è che ora manca all'appello. E fa parte di noi, dell'eredità che Dio ci ha dato nel momento stesso in cui ci ha pensato e chiamato all'esistenza. Non saremo noi stessi sino a che non l'avremo ritrovata, issata sulle spalle e ricondotta a Dio. Ma come? Per questo non esiste manuale di teologia o di pastorale; è un affare dello Spirito Santo, dell'amore di Dio che, riversato nei nostri cuori, li rende docili alla sua follia, allo zelo che rade al suolo ogni umana sapienza, per far posto ad una misericordia che spinge a cercare laddove nessuno si avventurerebbe. Lo Spirito che ci fa giungere a un centimetro dalla pecora perduta, ad accettare le sue fughe, ad aver pazienza, a ricominciare la ricerca, a rinunciare ad ogni piano e progetto di recupero, a lasciare che sia Dio a determinare tempi e modi. Lo Spirito di libertà che fa amare senza misura, senza sperare nulla donando tutto! Che il Signore ci conceda un desiderio ardente di ritrovare e amare quanti si sono allontanati, non importa per quale motivo. Che il nostro cuore sia dischiuso nella libertà senza limiti, nella speranza che supera ogni criterio, nell'amore struggente che, testardamente, non vuole che nessun piccolo sia perduto. Perché la gioia autentica, il destino per il quale siamo nati, ci è dato come primizia nel ritrovare chi era perduto! E' questa l'intimità con Dio, la partecipazione ai suoi sentimenti, il pensare con il suo pensiero. La sua gioia in noi, ed è, finalmente, gioia piena! La gioia di chi, al di là di ogni ragionamento, di ogni calcolo, di ogni speranza, ritrova il volto di chi aveva perduto! La gioia della misericordia! E' in essa che si fa presente il Paradiso. La soddisfazione professionale, pastorale, paterna, materna costituita da novantanove-pecore-novantanove che obbediscono, ascoltano, messe al sicuro, non è ancora la gioia che può saziarci; non è la gioia del Cielo. "In verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite": in queste parole è svelato il segreto più profondo di Dio. Testi e corsi di Cristologia, Ecclesiologia, saggi di pastorale, convegni, dibattiti, riunioni fiume di Conferenze Episcopali e Consigli pastorali, tutto potrebbe essere riassunto in queste semplici parole del Signore: C'è più gioia! E' questa, e solo questa, la gioia di Dio! La missione della Chiesa non sarà compiuta se non in questo surplus di gioia. Guardarsi e rimirarsi per i successi ottenuti, come per i fallimenti subiti, non è secondo il cuore di Dio, nella comunità come in famiglia e in ogni relazione. Caritas Christi urget nos! Lo zelo arde di gelosia per la carne della propria carne dispersa e perduta! Non è un vanto predicare il vangelo, è un dovere, un fuoco che Dio stesso ha acceso nel cuore della sua Chiesa. La gioia naturale del cuore di Dio: o si ha questo cuore o tutto è vano!
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