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domenica 31 dicembre 2017

I cristiani fuggono da Betlemme. Vi diranno che è colpa di Israele ma a farli scappare sono (soprattutto) gli islamisti

 
dicembre 22, 2013 Roberto Barducci
Per i cristiani non c’è lavoro. Le loro figlie vengono stuprate, le proprietà confiscate. Anche la croce non è più tollerata, ma per le autorità e i media non c’è discriminazione





Gerusalemme. C’è una sorta di muro dell’omertà che chi vuole descrivere la situazione dei cristiani in Palestina si trova di fronte. «Non esistono difficoltà di alcuna natura fra la comunità cristiana e quella musulmana, tutti si sentono, in primo luogo, palestinesi», ci dice il sindaco di Betlemme Vera Baboun, 49 anni, cristiana, che ha vinto le elezioni nel 2012 alla guida di un movimento politico appoggiato da Fatah. Nel suo ufficio appare una recente foto del sindaco in compagnia di papa Francesco e, poco fuori della sua porta, un bel presepe, mentre gli alberi di Natale sono presenti sia nel suo ufficio sia nell’atrio prospiciente. Più lontano, nel corridoio, è stata dipinta una gigantografia di Yasser Arafat.
Le parole del sindaco traducono l’esigenza di non discostarsi dalle posizioni dell’Autorità palestinese tipica dei politici locali. Secondo Baboun, infatti, le difficoltà e i problemi della città sarebbero rappresentati dall’espansione degli insediamenti ebraici e quindi, fondamentalmente, dall’“occupazione” israeliana. Ciò però non sembra spiegare in maniera convincente la diminuzione del numero dei cristiani nella città che ha dato i natali a Gesù. Nel 1948, a Betlemme, che conta circa 25 mila abitanti e si trova nella West Bank a meno di dieci chilometri da Gerusalemme, i cristiani rappresentavano l’85 per cento della popolazione, mentre adesso ammontano solo al 12 per cento.
Secondo Baboun, le ragioni di tale diminuzione vanno ricercate nell’emigrazione, dovuta al depresso contesto economico e alle migliori prospettive che si possono trovare altrove, oltre che alla minore natalità della popolazione cristiana rispetto a quella musulmana. Baboun però nega decisamente che ci siano problemi tra cristiani e musulmani, asserendo che la sola fonte di divisione del campo palestinese riguarda lo “scisma” di Hamas e la sua contrapposizione a Fatah.
Questo è un tipo di risposta alquanto corrente quando si parla pubblicamente dell’argomento cristiani con persone del luogo, che preferiscono troncare la conversazione attribuendo tutti i guai all’“ihtilal” (occupazione, in arabo) israeliana. Però, anche se è innegabile che l’attuale situazione politica nei territori palestinesi non favorisce certo il loro sviluppo economico, tuttavia non è comprensibile come a diminuire sia solo la popolazione cristiana, mentre quella musulmana continua a crescere, come si può notare dalla grande quantità di nuove costruzioni, che si possono osservare non solo a Betlemme ma anche in altre città palestinesi come Ramallah o Hebron. Quella dei cristiani appare più come una fuga che un esodo dovuto a normali flussi migratori.
Nonostante la reticenza dominante sulla condizione dei cristiani, c’è anche chi, da anni, si batte per vedere riconosciuta la perfetta parità di diritti fra la comunità cristiana e quella musulmana. Samir Qumsieh è un noto imprenditore locale, cristiano, che ha fondato, una quindicina di anni fa, il canale televisivo al Mahd TV (Natività), in cui sono trattati temi religiosi cristiani ed è trasmessa la Messa in diretta ogni domenica. Nella sua casa a Betlemme Qumsieh spiega che, sul piano dei diritti formali, non ci sono elementi di discriminazione fra le due comunità, ma, nella realtà delle cose, essi esistono. «Il nostro futuro in Terra Santa è molto incerto. Se continua così, fra vent’anni non ci saremo più», dice scoraggiato l’imprenditore palestinese.
Per Qumsieh, uno dei maggiori problemi della comunità cristiana è proprio il muro di omertà dei suoi correligionari che, per ragioni di timore e di quieto vivere, non si oppongono con la dovuta forza ai soprusi patiti per mano islamista, tranne poi, alla prima occasione, prendere la via dell’emigrazione. Il proprietario di al Mahd TV afferma, inoltre, che le autorità locali non proteggono concretamente i cristiani, diventando così complici delle vessazioni contro di loro. «Noi cristiani non avevamo avuto questo genere di problemi né sotto l’impero ottomano, né sotto gli inglesi, né sotto l’occupazione israeliana. Adesso ce li abbiamo sotto l’amministrazione dell’Autorità palestinese», dice Qumsieh.
Tra i soprusi Qumsieh elenca in primo luogo la “land mafia”, un sistema malavitoso con connivenze nelle istituzioni, tendente a sottrarre in modo violento la terra ai cristiani. Nel 2005 lui aveva presentato un dossier all’Autorità palestinese, dove aveva enumerato 93 incidenti di abusi da parte di fondamentalisti islamici e 140 casi di appropriazione indebita di terre appartenenti a cristiani con il sostegno di giudici corrotti.
Il dossier non ha avuto seguito e le malversazioni sono continuate fino a oggi. «La mafia criminale e i fondamentalisti lavorano assieme», dice Qumsieh. «Il loro scopo è quello di impadronirsi della nostra terra. In passato, quando scrivevo di questi problemi all’ex rais Yasser Arafat, almeno aveva la cortesia di rispondere, ma il presidente Mahmoud Abbas non si degna neppure di fare un cenno di risposta».
Il proprietario di al Mahd TV racconta anche dei numerosi casi di stupro e di abusi sessuali nei confronti di ragazze cristiane. «Prendete il caso di Rawan William Mansour, una ragazza di 17 anni della cittadina di Bet Sahur, a est di Betlemme, che alcuni anni fa era stata violentata da quattro membri di Fatah. Nonostante le proteste della famiglia, nessuno dei quattro è stato arrestato», spiega Qumsieh, che vuole dare voce alle giovani vittime. Racconta quindi anche del caso di due ragazze cristiane assassinate, perché accusate di essere delle prostitute e delle collaboratrici delle forze israeliane. In realtà, l’uccisione era stata perpetrata per coprire il loro precedente stupro da parte di fondamentalisti. I casi da citare sarebbero molti. Questo crea un’atmosfera di incertezza nella comunità cristiana e molte famiglie, con figlie in giovane età, qualora ne abbiamo i mezzi, preferiscono partire per l’estero.
Il muro di omertà
L’imprenditore palestinese denuncia poi la crescente islamizzazione della società palestinese con la conseguente intolleranza verso i cristiani e i loro simboli. Molti imprenditori musulmani si rifiutano di offrire lavoro ai cristiani, lasciando loro come unica scelta per trovare impiego la fuga all’estero. Alcuni tassisti cristiani sono stati aggrediti da facinorosi per il semplice fatto di portare una catenina con la croce al collo. Qumsieh mostra inoltre delle t-shirt, che si trovano in vendita nel bazar di Betlemme e che presentano immagini di luoghi santi cristiani come la chiesa della Natività. In queste magliette, confezionate a Hebron e in altre città dei territori, è stata eliminata categoricamente ogni immagine della Croce.
Perfino sulle magliette “taroccate” della squadra di calcio del Barcellona, che nel suo logo presenta una croce di San Giorgio, hanno tolto a quella croce il braccio sinistro in modo da eliminare ogni riferimento cristiano. «Insomma, a certi fondamentalisti islamici fa piacere che dei turisti cristiani comprino le loro confezioni, ma non sono disposti ad accordare alcuna dignità alla loro religione», dice Qumsieh.
L’imprenditore palestinese se la prende infine con i media occidentali che, per non dispiacere all’Autorità palestinese, accettano troppo facilmente l’immagine edulcorata di rapporti idilliaci fra cristiani e musulmani, senza voler approfondire l’argomento. Infatti, parlando poi in privato con alcune famiglie cristiane che non vogliono essere identificate, queste si sono lamentate di come anche le voci più moderate fra i musulmani non siano ascoltate dai media occidentali, rafforzando così i fondamentalisti.
Queste famiglie ci raccontano la vicenda di un imam della più grande moschea di Betlemme che ha ricevuto minacce dopo avere fatto un sermone in cui lanciava un appello per porre fine alla discriminazione contro i cristiani. La situazione è seria e questo silenzio dell’Occidente, che non permette di rompere il muro di paura e di omertà, mette a rischio la sopravvivenza stessa delle comunità cristiane in Terra Santa.


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αποφθεγμα Apoftegma


Il Verbo, assunto in sé ciò che era nostro, 
lo offrì in sacrificio e lo distrusse con la morte. 
Poi rivestì noi della sua condizione, secondo quanto dice l'Apostolo: 
Bisogna che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità 
e che questo corpo mortale si vesta di immortalità.
Veramente umana era la natura che nacque da Maria, secondo le Scritture, 
e reale, cioè umano, era il corpo del Signore; 
vero, perché del tutto identico al nostro; 
infatti Maria è nostra sorella 
poiché tutti abbiamo origine in Adamo.
L'uomo in questa intima unione del Verbo ricevette una ricchezza enorme: 
dalla condizione di mortalità divenne immortale; 
mentre era legato alla vita fisica, divenne partecipe dello Spirito; 
anche se fatto di terra, è entrato nel regno del cielo. 

Sant'Atanasio




Siamo madri di Cristo quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo 
per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza; 
lo generiamo attraverso le opere sante, 
che devono risplendere agli altri in esempio... 
Oh, come è santo e come è caro, piacevole, umile, pacifico, 
dolce, amabile e desiderabile sopra ogni cosa, 
avere un tale fratello e un tale figlio, il Signore Nostro Gesù Cristo!

San Francesco d'Assisi

NELLA CHIESA IMPARIAMO DA MARIA AD ENTRARE NELLA STORIA ASCOLTANDO E CUSTODENDO LA PAROLA FATTA CARNE PER OBBEDIRE IN CRISTO ALLA VOLONTA' DEL PADRE 



Nonostante tutto, all’aurora di un nuovo anno, il Signore ci invita a non aver paura del futuro, perché nei giorni che ci attendono “farà brillare il suo volto e ci sarà propizio”. Proprio come sperimentarono i pastori entrando nella grotta, dove contemplarono il volto di Dio splendere in una famiglia, “Maria e Giuseppe” che fasciavano con le loro cure amorevoli "il Bambino deposto in una mangiatoia". Il “segno” che Dio anche oggi offre al mondo è dunque la Santa Famiglia di Nazaret. Per questo ci chiama ad incamminarci “senza indugio” nella storia, perché la Santa Famiglia, immagine della comunità cristiana, accoglie anche noi per aiutarci ad accogliere Cristo nella nostra vita. Anche negli angoli oscuri, dove non capiamo nulla di ciò che ci accade, e vorremmo cambiare gli eventi, le persone, noi stessi. Accanto a Gesù, infatti, come una porta verso di Lui dischiusa dinanzi a noi, c’è Maria. Non c’è altro cammino a Cristo che sua Madre, la Chiesa: Maria, che ha accolto Dio nel suo cuore prima che nel suo grembo, e non ha mai smesso di gestarlo nel suo intimo, dove l’uomo è davvero se stesso e, al riparo dai condizionamenti, decide se obbedire o no. E Maria ha obbedito. Ascoltava, guardava, e obbediva, perché nel suo cuore “serbava e meditava tutte le cose” di suo Figlio; "sumbállousa" recita il greco, che letteralmente significa "mettere insieme": come componendo un puzzle, Maria metteva insieme nel suo cuore, uno ad uno, i frammenti che andavano componendo il volto radiante e misericordioso che Dio rivolgeva sull'umanità imprimendolo nella carne di Gesù: il suo amore infinito deposto in Lei e che le cresceva in grembo; che nasceva, si faceva uomo, e Parola, e segni; e poi insulti e rifiuti, sino all’istante in cui una spada ha trafitto il suo cuore. In quel momento la lama le conficcava nel cuore il dolore di ogni uomo; e lo univa a “tutte le cose” di suo Figlio, custodendo nella memoria quello che non comprendeva, perché l’impossibile non restasse fuori dalla sua vita. E ora, ai piedi della Croce, accoglieva nel suo cuore le nostre angosce, ogni evento che non abbiamo capito e accettato, perché la sofferenza non ci allontanasse da suo Figlio. E così, accogliendoci nel dolore di Gesù, diventava nostra Madre


Per entrare nel nuovo anno non abbiamo bisogno di fare propositi buoni solo per essere smentiti. Ma di convertirci e deporre l’uomo vecchio figlio dell’inganno di satana per rivestire il nuovo dei figli di Dio. Ma come si diventa figli di Dio? Accostandoci alla Croce piantata nella nostra storia, perché anche oggi da essa Gesù ci affida a sua Madre. Accogliamola oggi e ogni giorno, per imparare ad accogliere senza riserve la volontà di Dio, nella quale “il Signore volge a noi il suo volto e ci concede la Pace”. Non è questa desideriamo? Essa ci viene incontro con Cristo risorto nell’annuncio della Chiesa. Per chi in essa impara ad ascoltare e a “meditare nel cuore” la Parola di Dio, ogni istante è un frammento della “pienezza del tempo” sbocciata nel grembo di Maria, nel quale la morte è già vinta e si può amare oltre il limite che impone il peccato. Dio continua a “mandare suo Figlio” per nascere nel seno della comunità, “sotto la legge” che nessuno può compiere, e per questo siamo così frustrati e sfiduciati. Ma sulla soglia di questo nuovo anno, Maria ci attende per donarci suo Figlio, l'unico che può “riscattarci” e farci “adottare come figli” dal Padre. Attraverso le liturgie, la predicazione e i sacramenti Dio “manda nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Papà!”. Esso è la “prova” deposta nella nostra carne che siamo diventati figli di Dio nonostante le debolezze che ci umiliano. Con la sua forza possiamo entrare nella storia liberi e senza timore per amare sino alla fine, custodendo nel cuore la certezza di “ereditare” il Cielo. Buon anno allora, buona vita avvolta da Maria con le fasce dello Spirito Santo. Ogni suo giorno sarà per noi un “tornare” nel mondo dalla grotta per “glorificare e lodare Dio” incarnato in noi, prova regina che “tutto quello che abbiamo visto e udito” nella Chiesa è vero. E così offrire a tutti la stessa gioiosa speranza di salvezza, “Gesù”, il nome nuovo nel quale Dio ci ha benedetti.

sabato 30 dicembre 2017




αποφθεγμα Apoftegma

La fede nasce dall’incontro con l’amore originario di Dio 
in cui appare il senso e la bontà della nostra vita. 
La luce della fede è in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, 
la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili, 
di arricchire la vita comune. 
La fede non allontana dal mondo 
e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei.

Papa Francesco   

IL CAMMINO CHE CONDUCE ALLA BENEDIZIONE
Anna, che significa “oggetto della Grazia divina”, era della tribù di Aser, l’ottavo figlio di Giacobbe; in principio “benedetta più di tutte le altre”, intrappolata poi nei beni e nell’idolatria, si era allontanata dal culto di Israele, sino a scomparire nell’invasione Assira. Erede di un tradimento, Anna ne portava le stigmate nella sua vedovanza che si protraeva da moltissimi anni. Un’altra ‘anawim, tra le più povere: senza tribù e senza marito, “non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”. Suo padre si chiamava Fanuele, che significa “il volto di Dio”, ed era una memoria della lotta di Giacobbe con l’Angelo al guado di Jabbok, il luogo che “Giacobbe chiamò Peniel, perché disse: Ho visto Dio faccia a faccia”. E la vita di Anna era trascorsa proprio come in quel guado, lunghi anni di lotta nella preghiera per conservare, in mezzo alle difficoltà, la fede che i suoi padri avevano svenduto. Come Giacobbe era stata colpita in quanto aveva di più caro, e come lui aveva imparato a fare della sua debolezza la terra buona dove l’attesa confidente della salvezza stendeva le sue radici. Per questo, i suoi occhi purificati dalla sofferenza sapevano discernere la volontà di Dio celata nelle prove più dure, e dalle sue labbra scaturivano parole profetiche a cui attingevano i poveri come lei. Non poteva quindi che “sopraggiungere in quell’ora”, mentre il Messia era offerto a Dio e al mondo. Non era stata inutile la sua vita, anzi. Come non sono inutili gli anni che ci invecchiano nelle preghiere che sembrano evaporare inascoltate; tutte sono raccolte nelle mani di Dio, e daranno frutto a suo tempo. Per questo la vecchiaia è feconda in una carica profetica dirompente. I calli del cuore solcati da lavoro e orazione plasmano preghiere e parole sapide, autentiche, capaci di conficcarsi in terra come in Cielo, nel cuore degli uomini e in quelli di Dio. Quanti anziani, invece, vivono ai bordi della società, o peggio, dimenticati in un ospizio, scivolando nella nostalgia di ore senza senso, ingoiati dalla mormorazione e dal risentimento. No, la vecchiaia è il tempo della preghiera più intensa, dell’intimità che attende il compimento di tutta una vita. Gli anziani sono le antenne che ricevono ansie, speranze, angosce e desideri di tutta la famiglia per ritrasmetterle a Dio; e che ascoltano le sue parole per annunciarle profeticamente ai più giovani. Non sono soli, sono lasciati liberi per Dio. E possono accogliere Gesù con un’umiltà che la gioventù non ha e non può avere; è necessario, infatti, cadere molto e molto rialzarsi per imparare ad accogliere la Luce capace di diradare le nebbie dell’illusione

Anna dunque, è immagine del culmine della vita, la parte migliore, la più saggia, la più santa, la più feconda perché adulta nella fede. Proprio in quel tratto di vita il Dio Bambino è apparso a lei ritornata bambina sul cammino di umiliazione della vita, percorso nell’ascolto della Parola e nutrendosi dei sacramenti. Per questo le sue labbra si sciolgono nella "lode a Dio" per la sua fedeltà e per "parlare del Bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme"; come gli anziani cresciuti nella fede parlano di Gesù a figli e nipoti, nuore e generi afferrati e distratti da mille impegni. Come la Chiesa che annuncia il Vangelo al mondo che, spesso equivocandosi, attende la felicità nelle proprie città. Così Dio incontra i suoi figli. Così Maria accompagna Gesù a scovarci nel tempio della nostra vedovanza, dove non riusciamo ad amare perché abbiamo perduto l’amore dello sposo. Viene nella Chiesa con il Vangelo e la testimonianza dei fratelli dove stiamo digiunando affamati di felicità, mentre la storia ci obbliga a piegare la testa e le ginocchia nell’umiltà. Viene ogni giorno Maria ad insegnarci la fede perché Lei ha creduto anche per noi increduli dinanzi alle prove della vita. Ha “compiuto tutto secondo la Legge” per noi che nulla siamo stati capaci di compiere. Viene perché siamo creditori della Grazia fratelli, come Anna ci annuncia oggi: non dobbiamo far altro che convertirci, “tornare” cioè con Gesù nella “Galilea” della nostra Nazaret, la città dove la volontà di Dio ci ha deposto. E qui diventare bambini alla scuola della Santa Famiglia che è la comunità cristiana. Solo in essa possiamo “crescere e fortificarci, pieni di sapienza” per diventare “anziani”, ovvero adulti nella fede; è il luogo dove “la Grazia di Dio scende sopra di noi” per farci figli di Dio, "profeti" che annunciano e testimoniano l'amore di Dio a chi ha perduto la speranza. Il Signore ci chiama a "non allontanarci mai dal tempio", cioè a camminare fedelmente nella Chiesa per lunghi anni come Anna: fuori siamo tutti come vedove, senza diritti anche se ci sembra di poterli accaparrare tutti. Non dimentichiamolo, anche noi siamo figli di una generazione che ha abbandonato Dio. Ma Lui non dimentica di averci assegnato una porzione della Terra Promessa tra le più feconde, come quella della tribù di Aser. Questa giungeva sino al Carmelo, il giardino profumato e fertile di frutti squisiti (in ebraico karmel significa proprio “frutteto – giardino”). Apriamo il cuore, perché lo Sposo scende anche oggi a cercare la sposa nel suo giardino, per inebriarla con il suo profumo di misericordia, e trasformarla in un frutto d’amore per il mondo.