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martedì 5 dicembre 2017

Don Giussani e l'inizio di GS: la parola a 28 testimoni



Una talare svolazzante, un sacerdote sempre di corsa per non sprecare un minuto nella sua missione fra i giovani che voleva raggiungere con una proposta chiarissima: tutto doveva c’entrare con Cristo ed essere vissuto per Lui e secondo Lui. Questo il cristianesimo che, disse poi al Messaggero il sacerdote, “questo io non lo chiamo integrismo, ma interezza della propria fede”. Per cui molti raccontano di essersi avvicinati lentamente, decidendo pian piano di aderire completamente a una tale e totale offerta di vita cristiana: gioventù studentesca (gs). Così le origini (1954-1964) del movimento nato da don Luigi Giussani sono raccontate da 28 testimoni nel libro edito da Jaca Book “Ho trovato quello che stavamo cercando”, curato da Giuseppe Zola e Robi Ronza. 
Sacerdote missionario in Brasile, Pigi Bernareggi racconta di lui così: “Quando, verso le sei del pomeriggio, sull’altro versante della vallata, le Dolomiti di Brenta illuminate dal sole diventano rosse quasi come se prendessero fuoco…don Giussani ci faceva uscire tutti a guardare la scena in silenzio. Svanito poi quel bellissimo tramonto, si diceva una decina di Rosario e si tornava dentro in albergo per la cena. Fu in uno di quei momenti che Giussani mi si avvicinò e mi disse: “Tu non vuoi mica andare in Brasile a fare il prete?".
Non era possibile stare tranquilli seguendo il sacerdote milanese che ha infiammato d’amore per Cristo e per l’esperienza cristiana il cuore di migliaia di giovani, a partire dai primi anni Cinquanta. Giovani che oggi ricordano di aver percepito, grazie a gs, la Chiesa come una casa affascinante a cui appartenere e di cui andare fieri in un momento in cui i loro coetanei cominciavano a vergognarsi di essere cattolici non capendo più perché valesse la pena seguire un cristianesimo ridotto a regole e senza ragioni (motivo per cui oggi vengono meno anche le regole di cui non si comprende più l’importanza per la vita). 
Ecco, in un momento così, Annamaria Romolotti, casalinga, racconta la preoccupazione di suo padre per i figli che avrebbero potuto perdere la fede nel contesto sessantottino: “Il papà propose alla mamma di pregare molto insieme a lui perché incontrassimo qualcosa di davvero affascinante; e così fu. Ricordo una telefonata di mia cugina Francy a mio fratello maggiore, Giuseppe, nella quale gli diceva di aver trovato quello che stavano cercando: si chiamava “raggio”, ed era bellissimo…da quel giorno infatti la nostra casa, già volentieri frequentata da compagni di scuola e conoscenti, divenne tutto un viavai di meravigliosi amici che insieme studiavano, pregavano, cantavano e giocavano... “Voglio anch’io per me tutto questo!”, pensai”.
Carlo Tardini, dirigente industriale, descrive così la novità di Gs: “Fino ad allora, nella mia visione di quindicenne, il cristianesimo era un insieme di cose da fare (pratiche religiose, essere buono, aiutare gli altri...) o da non fare. All’interno di questi confini la vita era “mia” e, a patto di non violare la morale o di non danneggiare il prossimo, ne potevo fare quel che ne volevo. Don Giussani faceva invece intravvedere il cristianesimo come uno scopo della vita, una chiamata, una responsabilità cui star davanti in ogni circostanza, nello studio come in famiglia…Mi ha sempre molto colpito la geniale capacità di don Giussani di rendere nuovo e attuale il modo di vivere di noi ragazzi senza reinventare una particolare metodologia educativa o formativa, ma attingendo tutto dalla tradizione della Chiesa”.
Ossia? Tutto doveva partire da Cristo, come spiega Paolo De Carli, già notaio in Milano e professore universitario: “Si cercava di esprimere l’integralità di una vita nuova. Innanzitutto si cominciò a pregare di più. C’era la messa dalle suore di via Orti mezz’ora prima dell’inizio della scuola...ci sono le preghiere per tutte le ore del giorno. Ci sono le ore di Terza, Sesta, Nona, Vespro oltre a Prima e Compieta...Don Giussani indicava una radicalità di gesto – come in tutto – ma questo non era una Regola; tutto era affidato alla libertà e alla possibilità/disponibilità di ciascuno. Si poteva dire anche solo un Padre Nostro al mattino e alla sera. Il richiamo poi veniva dalla vita comune, dalla libertà (ma anche dalla discrezione) di quelli che di cuore aderivano di più”.
Di qui l’esortazione continua alla testimonianza pubblica e alla dimensione culturale della fede: “C’era poi l’interesse per la vita della scuola, le polemiche con le associazioni uniche di istituto e la difesa del pluralismo nella scuola”. Bisognava conoscere la propria identità, quella dello sguardo di Cristo su ogni problema della vita per cui, continua De Carli, “c’erano anche, su questo, le discussioni con il circolo Salvemini dei laici/radicali. C’era un lavoro di revisione critica delle materie scolastiche; le schede, fatte dai più bravi, riguardavano la storia, la filosofia, la letteratura, ecc.; ci si apriva, ad esempio, a una diversa prospettiva storica e tra l’altro a una diversa lettura del Medioevo. C’era “Milano Studenti”, il bellissimo mensile per gli studenti che avevamo cominciato a diffondere nelle scuole; rifletteva i problemi della scuola ma esprimeva soprattutto una nuova visione culturale”.
Anche la dimensione missionaria della Chiesa era l’espressione di una fede forte e matura, tanto che “il desiderio di rivivere la compagnia di gs in vacanza in noi era fortissimo e anche il desiderio di portare la novità di vita ad altre persone al mare. Nacquero perciò dei tentativi di raggi estivi. Io, mio fratello Fabio, Donata Baciocchi, Giacomo Contri e altri iniziammo un raggio ad Arenzano e coinvolgemmo anche alcuni ragazzi locali...Venivano diversi dalle località vicine per partecipare alle gite e ai raggi, ed era molto bello anche perché tutto questo era spontaneo e libero. Non c’erano indicazioni dal centro ed era un modo per vivere diversamente la vacanza”. 
Adriana Olessina, medico psichiatra, testimonia come si diffuse poi in tutta Italia il movimento: “All’improvviso – avevo allora quindici anni – tutto ciò fu interrotto nell’estate del ’59: la mia famiglia si trasferì a Catania. Per me fu un trauma, lenito da un’affettuosa iniziativa di Mario Peretti. Organizzò un sostegno a distanza, convincendo moltissime persone a scrivermi lettere di conforto perché non sentissi troppo la solitudine. Quotidianamente ero sommersa da missive e con me era sommerso il postino, che non era mai stato così carico. La distanza era però dolorosa, così decisi di ricostruire gs a Catania. All’inizio incontrando dei ragazzi con i quali si faceva il raggio a casa mia; poi, cercando un prete, incontrai don Francesco Ventorino…Forti di un testo quasi sacro quale era il “libretto verde” fondammo gs in Sicilia”.
Riccardo Destro, Professore universitario, spiega invece la dimensione della carità come proposta e insegnata da Giussani, per cui non si aiutavano i bisognosi per risolvere i loro problemi ma per educarsi alla gratuità: “Quando in gs si manifestò il contrasto tra chi riteneva che bisognasse andare in Bassa con un progetto e non più soltanto per una condivisione, e chi invece insisteva perché fosse un gesto educativo alla gratuità, io capivo i primi, perché mi sembrava che solo per la realizzazione di un progetto la fatica avesse valore. Capivo però ancora di più i secondi, e fui sempre con loro...mi rendevo conto che la fatica era un chiaro segno del valore educativo di quel gesto”. 
"Sia che mangiate sia che beviate, sia che dormiate sia che vegliate, sia che viviate sia che moriate siete di Cristo"…il motto Paolino era la sintesi della proposta di Gs. Giussani chiedeva tutto ai giovani, continuamente, sapendo che l'adesione sarebbe maturata vivendo la comunità, secondo la libertà di ciascuno e i tempi di Dio. Peppino Zola, Avvocato, ricorda “il dialogo con don Giussani: "Senta, mi è capitata una cosa [...]. Non posso però ancora entrare in gs, perché non credo alla Madonna, non credo ai Sacramenti. Ci sono troppe cose a cui non credo". E lui mi rispose: "No, no. È facendo che si capisce. Anzi, perché non vai in segreteria e darci una mano?". Effettivamente dopo, immerso nella vita della comunità, le cose si chiarirono (adagio adagio) sia sentendo i compagni, sia sentendo don Giussani, sia andando alle vacanze, alle gite, a Varigotti: ogni volta si tornava con un’esperienza sempre più chiara. Il cammino cominciato in quei tre anni al Berchet, adagio adagio è continuato”. A dire che il riflesso della moralità e della verità, vissute dentro ad una Chiesa cosciente della propria identità, sono in grado di cambiare la persona per osmosi, assimilandola a Cristo.
Come Zola migliaia sono stati toccati da questo movimento dello Spirito Santo che ha trasformato altrettante vite conformandole a quella di Cristo e formando il Suo popolo, luce per il mondo. Maria Luisa Magnaghi, insegnante, ricorda il ritorno da una gita, quando “si alzò un vento forte e strano, da cui sembrava non ci si potesse riparare…Don Giussani, che stava parlando con una persona, si fermò, e gridò a tutti: “Il vento è bellissimo, è come lo Spirito Santo, va dove vuole e lo senti quando ti tocca anche se tu non lo puoi toccare”. Quello Spirito che Giussani invocò e insegnò a invocare attraverso Maria per trasfigurare tutta la vita e tutta la storia.

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