Parola di Dio, diritto di ascoltarla, dovere di annunciarla
- Attualità
- 07-12-2017
Caro direttore,
in questi giorni ho sentito dire da un eminente Cardinale questa frase: “Ognuno ha diritto di ascoltare la parola di Cristo”. Nell’inconscio lo sapevo, ma quelle parole mi hanno molto colpito e mi hanno nuovamente reso evidente quale sia il compito principale di ogni cristiano, che è quello che Gesù stesso ci ha affidato, quando ha detto agli apostoli: “Andate dunque, e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto quanto vi ho comandato” (Matteo 28, 18-20, ma anche Marco 16,15-18). Dunque, tutti hanno il diritto di ascoltare la parola di Gesù e noi abbiamo il dovere di annunciarla.
Nel sentire tali parole, il mio primo moto è stato quello di una sorprendente gioia nell’avere chiaro ciò che ci spetta: alla gioia si aggiunge la pace, perché la vita si semplifica. Spesso noi ce la complichiamo con i nostri dubbiosi pensieri. Una sola cosa importa: annunciare a tutti (e San Paolo aggiunge “in modo opportuno e inopportuno”) il fascino, la bellezza e la verità salvifica di Cristo.
E poi si chiarisce anche un equivoco che mi pare serpeggi nel mondo cattolico. Mi sembra che vi sia una sottolineatura unilaterale di alcuni aspetti della vita cristiana, tutti giusti in sé, ma che rischiano di mettere in secondo piano il compito essenziale a cui ho appena accennato. La proposta cristiana, per essere veramente convincente, non può non essere integrale e non può dimenticare quella dimensione che nella tradizione cristiana ha il nome di missione. Lo Spirito detta, attraverso i vari carismi che crea, diverse vie alla missione e sono tutte vie buone, ma prima o poi non si può non arrivare all’annuncio esplicito che Cristo è il nostro vero bene. E’ giusto, ad esempio, sottolineare l’importanza cristiana dell’accoglienza a chi si trova nel bisogno, esigenza particolarmente viva in quest’epoca di immigrazioni, ma non possiamo e non dobbiamo dimenticare che a tutte queste persone prima o poi occorre anche annunciare esplicitamente il significato di Gesù, che dà definitivamente senso a tutta la nostra vita. L’immigrato, come ogni persona, ha il “diritto” di ascoltare l’annuncio fatto da Gesù. Sarà poi la sua libertà a decidere se aderire o no all’annuncio cristiano. In ogni caso, noi abbiamo il compito evangelico di dire chiaramente ciò che Gesù è venuto a testimoniarci. I primi Apostoli sono andati in tutto il mondo ad annunciare semplicemente che Gesù era risorto. Del resto, lo stesso Vangelo ci raccomanda di mettere bene in luce ciò che abbiamo ricevuto da Gesù.
E’ evidente, anche perché Gesù lo ha previsto, che testimoniare esplicitamente la presenza di Cristo può essere scomodo e può mettere in mostra delle resistenze anche dure (i primi martiri avevano la semplicità di testimoniare esplicitamente Gesù anche di fronte al massimo potere del tempo), ma tutto ciò non può far venir meno il nostro compito, che ci impedisce di avere vergogna di Cristo e che ci spinge a superare in pace ogni difficoltà. Ho l’impressione che la passione per la “missione” diminuisca nell’esatta misura in cui prevale in noi il desiderio di piacere al “mondo” e di essere accettati da esso. Nella carità e con il giudizio insegnatoci da Cristo dentro la Sua Chiesa, non possiamo venire meno al compito (ripeto, essenziale) della missione.
Caro direttore, mi chiedo spesso quale sia il vero motivo dell’affievolirsi tra molti cattolici della spinta alla missione, soprattutto in una fase storica in cui sempre meno persone frequentano la Chiesa. Forse esso sta proprio in ciò che Cristo ci ha detto, quando ci ha raccomandato di non avere vergogna di Lui (anche perché, in questo caso, Lui avrà vergogna di noi).
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