MANNA PER OGNI UOMO, COME SAN FRANCESCO SAVERIO
Celebriamo oggi la memoria di San Francesco Saverio, innamorato follemente di Cristo. Ardeva il suo cuore per l'amato, sino a bruciare le camicie che indossava. E sì che prima di incendiare l'Asia con il Vangelo predicato in ogni suo angolo più remoto, ne aveva fatta di strada: “Ho sentito dire dal nostro modellatore di uomini, Ignazio, che la più rude pasta che egli ebbe mai maneggiato, era, il giovane Francesco Saverio, del quale tuttavia Dio si è servito più di ogni altro soggetto del nostro tempo... per prendere possesso di quasi tutta la quarta parte del mondo, per la croce di suo Figlio. Era un giovane biscaglino, vigoroso e nobile. Dopo aver studiato con profitto la filosofia, non teneva in gran considerazione Ignazio, che a quel tempo viveva stentatamente di carità, per non interrompere il corso della sua impresa, ossia diplomarsi nelle arti liberali e proseguire poi a fondo nello studio della teologia; non lo incontrava mai senza prendersi gioco dei suoi progetti e senza mettere in ridicolo amici di Ignazio... [Ma quest’ultimo] lo seppe così bene ammansire e addomesticare che ne ha fatto un immortale apostolo delle Indie”.
Francesco era un cavallo di razza tutto da domare, e Sant’Ignazio di Loyola, senza frustrarne le ambizioni, ha saputo vincere la sua “giovanile selvaggeria”, ripetendogli con amore una sola frase del Vangelo: “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la sua anima? Che giova costruire sulla sabbia imperi immensi, o semplicemente la nostra vita, se poi, quando arrivano le piene e i venti, dobbiamo crollare in una “rovina grande”? Allo stesso modo, oggi, il Signore ci chiama seriamente a conversione; non importa quanto dura e rude sia la nostra pasta, importa solo che, nel cuore duro e ostinato, penetri la Parola del Vangelo che ci inchioda alla Verità su noi stessi e su Dio. Come accadde a Francesco che, nel corso di diversi anni, e con l’aiuto degli Esercizi Spirituali di Ignazio, imparò a conoscere se stesso e l’amore infinito di Dio rivelato nel suo Figlio su cui ha fondato, senza tentennamenti, la propria vita.
Per questo Francesco ci “scongiura” oggi: “in tutte le vostre cose fondatevi totalmente in Dio, senza confidare nel vostro potere o sapere od opinione umana. A queste condizioni vi assicuro che sarete preparati contro tutte le grandi avversità, sia spirituali, sia corporali che potrebbero accadere, poiché Dio solleva e fortifica gli umili, soprattutto quelli che nelle cose piccole e umili hanno visto la loro debolezza come in un limpido specchio e in esse seppero vincersi. Questi uomini, quando entrano e devono vivere in tribolazioni maggiori di quelle in cui mai si sono trovati, né il demonio con i suoi ministri, né le frequenti tempeste sui mare. né le popolazioni crudeli e barbare, né alcun'altra creatura, li può danneggiare, perché essi sanno per certo che senza il Suo permesso e consenso non possono fare nulla. Sotto la dipendenza di Dio, infatti, non temono alcuna cosa se non di offenderlo… quando Dio permette al diavolo di fare il suo mestiere è per provarli oppure per una migliore conoscenza interiore di se stessi, o ancora per castigo dei loro peccati, o per maggior merito oppure per loro umiliazione. Ringraziano infinitamente Dio perché concede loro un dono tanto grande e nel loro prossimo amano coloro che, perseguitandoli, sono lo strumento di un tale bene; e siccome non hanno di che pagare tale grazia e non vogliono essere ingrati, essi pregano efficacemente Dio per loro. Spero in Dio che così sarete voialtri”.
Nella vita conta solo l’amore di Dio riversato in noi per mezzo dello Spirito Santo, che diviene, ogni giorno più intenso, amore a Cristo e agli uomini. Chi crede in Lui e nella sua resurrezione, chi ha sperimentato cioè il perdono dei peccati e Cristo è vivo in Lui, sarà testimone autentico e credibile del Paradiso come San Francesco Saverio, perché finalmente avrà aperto gli occhi del cuore e scoperto che proprio il luogo nel quale Dio lo ha posto è un frammento di Cielo ricolmo dell’amore di Dio. Sulla Croce, infatti, Cristo si dona completamente a noi saziando ogni desiderio per accendere quelli pieni di zelo per ogni uomo. Ma per salire sulla Croce ed lasciarsi crocifiggere con Cristo occorre prima prostraci con Lui sulla Roccia del Getsemani, per fondare la nostra vita sulla roccia dell’obbedienza alla volontà di Dio. Solo così potremo entrare con Cristo nella “passione” che ci attende come una creatura nuova, celeste, che vive come favorevole ciò che per l’uomo della carne è ostile: “la creazione infatti a te suo creatore obbedendo, si irrigidisce per punire gli ingiusti, ma s'addolcisce a favore di quanti confidano in te” (Sap. 16,24).
Per questo, chi ama Cristo prende in mano serpenti, beve veleni e non muore, anzi. Proprio ciò che uccide diventa in lui l’occasione per amare, e quindi alimento di vita; così, anche se insultato, rifiutato e tradito resta fondato sulla Roccia e non precipita nella disperazione. Può donarsi ogni giorno parlando le lingue nuove con cui la moglie o il marito, i figli o i fratelli, perfino chi è nemico cerca di comunicare la propria sofferenza. Fosse anche una lingua violenta che perseguita e uccide. Chi ama Cristo è, come Francesco Saverio, “manna” per ogni persona, perché è libero da se stesso e può farsi “tutto a tutti”, proprio come accadde a Israele nel deserto che fu sfamato : “con un cibo degli angeli”, “un pane già pronto senza fatica offerto dal cielo, capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto. Questo alimento di Dio manifestava la sua dolcezza verso i suoi figli; esso si adattava al gusto di chi l'inghiottiva e si trasformava in ciò che ognuno desiderava” (Sap. 16, 20-21).
Questo era San Francesco Saverio, uomo sapiente che viveva prostrato sulla Roccia lasciando colare la propria vita su Cristo perché fosse il Pane vero che scende dal Cielo a vivere nel discepolo. Per questo sapeva offrire a tutti la parola, lo sguardo, il gesto di cui, in quel momento, ciascuno aveva bisogno, adattandosi miracolosamente al loro gusto. Era Cristo infatti che si offriva come alimento di vita eterna, amore e misericordia senza limiti anche per il più grande peccatore. Così poteva raggiungere anche “quelli che gli resistevano”, perché dopo averlo conosciuto, “vivevano in grande afflizione e con fatica, perdevano l’appetito e la pace: alla fine dovevano andare da lui, confessarsi e obbedire”. E noi? Quanto tempo perdiamo pensando alle parole da dire, agli atteggiamenti da prendere, a come fare per amare l’altro, mentre invece è necessario solo l’amore a Cristo. In chi lo ama è vivo Lui, e Lui sa ciò di cui l’altro ha bisogno e come offriglielo.
Allora coraggio, cerchiamo oggi - mentre inizia l'Avvento - un momento per andare in Chiesa, davanti al Santissimo, o in camera propria, e prostriamoci come sulla Roccia del Getsemani, e chiediamo a Cristo di innamorarci di Lui, di amarlo sopra ogni cosa e persona. Chi ama Cristo ha compiuto ogni missione: se ama Cristo più di ogni altra creatura un padre sarà il padre migliore della terra, anche se pieno di difetti; così come una madre, un marito o una moglie, un prete o un vescovo, una suora o un religioso; così qualunque attività siamo chiamati a svolgere, se amiamo Cristo, sarà un successo, anche se apparentemente ci sembrerà un fallimento. ChiediamoGli di vivere nel suo amore per intercessione di San Francesco Saverio, offrendogli la nostra vita come un foglio bianco, perché “ricordate continuamente che Dio dà più peso alla buona volontà, piena di umiltà, con la quale ci si offre a Lui, facendo oblazione della propria Vita, unicamente per suo amore e per la sua gloria, che ai servizi che gli si rendono, per quanto numerosi essi siano” (San Francesco Saverio).
I "segni che accompagnano quelli che credono" mostrano il Cielo; sono opere soprannaturali, miracoli che l'uomo, per quanto onesto, "civile" e tollerante non può compiere. Non si possono pianificare in un consiglio pastorale, su di essi vi è, inconfondibile, il copyright di Dio, impresso nella vita di Gesù come in quella di ogni cristiano. Alter Christus si diceva di San Francesco d'Assisi: un altro Cristo, questo è un santo, un cristiano, uguale a tutti eppure diverso. Santo è chi, amato da Cristo, ha un cuore che brucia d'amore che lo getta sulle strade del mondo sino agli estremi confini della terra a “predicare” il Vangelo che, per primo, ha salvato lui. Il cuore di San Francesco Saverio, che bruciava letteralmente le sue camicie, e che ha fatto della sua vita un lampo di Cielo sulle terre dove ha posato i suoi passi.
Come fa ogni buon ebreo la vigilia di Pesah, come ha fatto Cristo, che con il suo sangue ha lavato le impurità di ogni uomo e con la sua carne ha offerto il vero e puro pane azzimo, anche San Francesco Saverio ha percorso ogni centimetro dell’Asia nel desiderio ardente di cercare tutto ciò che era hametz, ogni lievito della menzogna di Satana che impedisce all’uomo di passare dalla morte alla vita piena e felice.
Francesco Saverio, un chiodo fisso nella mente, la salvezza d'ogni uomo. Un fuoco inestinguibile nel cuore, l'amore a Chi lo aveva amato infinitamente. Macinava chilometri, a piedi, sotto il sole e nella neve, andando a scovare tutti gli uomini che, lui lo sapeva, senza conoscere Cristo, giacevano nella morte. Oggi nessuno, tranne il Papa e pochi altri, osa più dire che senza Cristo la vita è, quanto meno, mutilata.
Eppure il Signore risorto ha inviato gli apostoli di ogni generazione ad evangelizzare dicendo: “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato”; ma oggi questa parola suona scandalosa, e lo zelo si spegne tra riunioni, stesure di documenti, e paure d’essere troppo diversi dal mondo nel quale si vive.
“Molto spesso mi viene in mente di percorrere le Università d'Europa, specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: Ahimè, quale gran numero di anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato all'inferno! Oh! se costoro, come si occupano di lettere, così si dessero pensiero anche di questo, onde poter rendere conto a Dio della scienza e dei talenti ricevuti!”: dopo un lungo cammino di conversione, San Francesco Saverio aveva compreso l’unica urgenza improcrastinabile: “annunciare il Vangelo ad ogni creatura”, perché finché l’uomo non incontra Cristo non è autenticamente libero, e per questo “è condannato all’inferno”.
Ma no, si ripete nelle “Parigi” contemporanee, tutte le religioni sono uguali, è sufficiente cercare Dio che si rivela a tutti in diversi modi. E le persone scivolano nell’inferno, già qui, già ora, accanto a noi, in famiglia, in ufficio, ovunque, tra la nostra colpevole indifferenza. A chi importa la “salvezza” dei figli? Non vengono prima lo studio, il lavoro, la libertà di fare le proprie esperienze, la sicurezza economica? A chi importa la “salvezza” del marito - che conosca l'amore infinito di Dio rivelato in Cristo - della moglie, del fidanzato, del collega?
Ma, se non abbiamo a cuore la “salvezza” dell’anima di chi ci è accanto, allora significa che non lo amiamo davvero. Significa che guardiamo ancora alle persone con occhi mondani, illudendoci che gli altri abbiano bisogno di tutto prima che di Cristo.
Anche Francesco Saverio, giovane e brillante studente, a Parigi cercava tutt’altro che Cristo. Ma il Signore lo ha sedotto strappandolo all’egoismo e alla vanagloria, e da allora, in lui non vi fu nessun’altra volontà che quella di Dio. Aveva incontrato Cristo nel suo “inferno”, aveva conosciuto se stesso, e così non poteva più staccare gli occhi da ogni persona senza vedere in tutti lo schiavo che anche lui era stato, per annunciare a “ogni creatura” la liberazione che egli stesso aveva sperimentato.
Nulla lo ha più fermato, nulla ha avuto potere sulla vita divina che portava dentro come in un tabernacolo. Per “salvare” tutti quelli a cui era stato inviato, ha bruciato nel “fuoco” dello zelo e dell'amore ogni energia, morendo sfinito a quarant’anni dopo aver fatto cose per le quali ne sarebbero stati necessari duecento: “Questo è il modo dell’evangelizzazione: «Accéndat ardor proximos», che la verità diventi in me carità e la carità accenda come fuoco anche l’altro. Solo in questo accendere l’altro attraverso la fiamma della nostra carità, cresce realmente l’evangelizzazione, la presenza del Vangelo, che non è più solo parola, ma realtà vissuta… così il fuoco della sua presenza, la novità del suo essere con noi, diventa realmente visibile e forza del presente e del futuro” (Benedetto XVI).
Quanti “serpenti” ha preso nelle sue mani incandescenti, bruciando i demoni che si insinuano nelle culture e nei cuori che non conoscono Cristo; quanti “malati e infermi sanati” nel “fuoco” della misericordia. Quanti “veleni” bevuti davanti ai nemici del Vangelo, evaporati nel calore del suo zelo senza che ne soffrisse “alcun danno”. E la “nuova lingua” ardente della misericordia con la quale ha annunciato il Vangelo alle più estreme periferie come nei palazzi dei Re. Sino all'alba d'un mattino di dicembre, alle porte della Cina, quando, esausto e abbandonato da tutti, come il suo Signore, ha fatto ritorno al Padre consumato sino all'ultimo respiro come un olocausto offerto per aprire all'evangelizzazione anche quell'immenso Paese dove non era potuto arrivare.
La sua storia è un “segno” dell'irripetibile avventura che è la vita di un uomo che appartiene a Cristo. Dio ha avuto molta pazienza con San Francesco Saverio, come ne ha con noi, ogni giorno. Ma spesso siamo paralizzati non comprendendo a che cosa Dio ci stia chiamando. Dubitiamo che Egli sia davvero l'amore che cerchiamo, e ci spaventa consegnargli la vita. Invece con Cristo può nascere in ciascuno di noi, un santo capace di incendiare d’amore ogni luogo dove siamo chiamati a vivere. Fidanzati, sposati, studenti, anziani, per tutti è pronto lo stesso zelo di Francesco Saverio, l'amore indomito e paziente di Dio che brucia il peccato e fa di ogni istante delle nostre vite un irripetibile atto d'amore. Vivere come Saverio, ognuno dove è stato inviato, con il carattere e le attitudini, con le debolezze e i doni che ci appartengono e ci fanno unici e preziosi agli occhi di Dio, perché tutto di noi è santo, “segno” della presenza di Dio qui sulla terra. Non possiamo buttar via nulla, neanche un istante. Questa vita ci è donata per essere vissuta sino in fondo con Gesù che “opera i prodigi” che “accompagnano la parola” d’amore predicata sulle strade del mondo: “il nostro tempo richiede cristiani che siano stati afferrati da Cristo, che crescano nella fede grazie alla familiarità con la Sacra Scrittura e i Sacramenti. Persone che siano quasi un libro aperto che narra l’esperienza della vita nuova nello Spirito, la presenza di quel Dio che ci sorregge nel cammino e ci apre alla vita che non avrà mai fine” (Benedetto XVI, Udienza del 24 ottobre 2012)
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