αποφθεγμα Apoftegma
La fede nasce dall’incontro con l’amore originario di Dio
in cui appare il senso e la bontà della nostra vita.
La luce della fede è in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane,
la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili,
di arricchire la vita comune.
La fede non allontana dal mondo
e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei.
Papa Francesco
IL CAMMINO CHE CONDUCE ALLA BENEDIZIONE
Anna, che significa “oggetto della Grazia divina”, era della tribù di Aser, l’ottavo figlio di Giacobbe; in principio “benedetta più di tutte le altre”, intrappolata poi nei beni e nell’idolatria, si era allontanata dal culto di Israele, sino a scomparire nell’invasione Assira. Erede di un tradimento, Anna ne portava le stigmate nella sua vedovanza che si protraeva da moltissimi anni. Un’altra ‘anawim, tra le più povere: senza tribù e senza marito, “non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”. Suo padre si chiamava Fanuele, che significa “il volto di Dio”, ed era una memoria della lotta di Giacobbe con l’Angelo al guado di Jabbok, il luogo che “Giacobbe chiamò Peniel, perché disse: Ho visto Dio faccia a faccia”. E la vita di Anna era trascorsa proprio come in quel guado, lunghi anni di lotta nella preghiera per conservare, in mezzo alle difficoltà, la fede che i suoi padri avevano svenduto. Come Giacobbe era stata colpita in quanto aveva di più caro, e come lui aveva imparato a fare della sua debolezza la terra buona dove l’attesa confidente della salvezza stendeva le sue radici. Per questo, i suoi occhi purificati dalla sofferenza sapevano discernere la volontà di Dio celata nelle prove più dure, e dalle sue labbra scaturivano parole profetiche a cui attingevano i poveri come lei. Non poteva quindi che “sopraggiungere in quell’ora”, mentre il Messia era offerto a Dio e al mondo. Non era stata inutile la sua vita, anzi. Come non sono inutili gli anni che ci invecchiano nelle preghiere che sembrano evaporare inascoltate; tutte sono raccolte nelle mani di Dio, e daranno frutto a suo tempo. Per questo la vecchiaia è feconda in una carica profetica dirompente. I calli del cuore solcati da lavoro e orazione plasmano preghiere e parole sapide, autentiche, capaci di conficcarsi in terra come in Cielo, nel cuore degli uomini e in quelli di Dio. Quanti anziani, invece, vivono ai bordi della società, o peggio, dimenticati in un ospizio, scivolando nella nostalgia di ore senza senso, ingoiati dalla mormorazione e dal risentimento. No, la vecchiaia è il tempo della preghiera più intensa, dell’intimità che attende il compimento di tutta una vita. Gli anziani sono le antenne che ricevono ansie, speranze, angosce e desideri di tutta la famiglia per ritrasmetterle a Dio; e che ascoltano le sue parole per annunciarle profeticamente ai più giovani. Non sono soli, sono lasciati liberi per Dio. E possono accogliere Gesù con un’umiltà che la gioventù non ha e non può avere; è necessario, infatti, cadere molto e molto rialzarsi per imparare ad accogliere la Luce capace di diradare le nebbie dell’illusione.
Anna dunque, è immagine del culmine della vita, la parte migliore, la più saggia, la più santa, la più feconda perché adulta nella fede. Proprio in quel tratto di vita il Dio Bambino è apparso a lei ritornata bambina sul cammino di umiliazione della vita, percorso nell’ascolto della Parola e nutrendosi dei sacramenti. Per questo le sue labbra si sciolgono nella "lode a Dio" per la sua fedeltà e per "parlare del Bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme"; come gli anziani cresciuti nella fede parlano di Gesù a figli e nipoti, nuore e generi afferrati e distratti da mille impegni. Come la Chiesa che annuncia il Vangelo al mondo che, spesso equivocandosi, attende la felicità nelle proprie città. Così Dio incontra i suoi figli. Così Maria accompagna Gesù a scovarci nel tempio della nostra vedovanza, dove non riusciamo ad amare perché abbiamo perduto l’amore dello sposo. Viene nella Chiesa con il Vangelo e la testimonianza dei fratelli dove stiamo digiunando affamati di felicità, mentre la storia ci obbliga a piegare la testa e le ginocchia nell’umiltà. Viene ogni giorno Maria ad insegnarci la fede perché Lei ha creduto anche per noi increduli dinanzi alle prove della vita. Ha “compiuto tutto secondo la Legge” per noi che nulla siamo stati capaci di compiere. Viene perché siamo creditori della Grazia fratelli, come Anna ci annuncia oggi: non dobbiamo far altro che convertirci, “tornare” cioè con Gesù nella “Galilea” della nostra Nazaret, la città dove la volontà di Dio ci ha deposto. E qui diventare bambini alla scuola della Santa Famiglia che è la comunità cristiana. Solo in essa possiamo “crescere e fortificarci, pieni di sapienza” per diventare “anziani”, ovvero adulti nella fede; è il luogo dove “la Grazia di Dio scende sopra di noi” per farci figli di Dio, "profeti" che annunciano e testimoniano l'amore di Dio a chi ha perduto la speranza. Il Signore ci chiama a "non allontanarci mai dal tempio", cioè a camminare fedelmente nella Chiesa per lunghi anni come Anna: fuori siamo tutti come vedove, senza diritti anche se ci sembra di poterli accaparrare tutti. Non dimentichiamolo, anche noi siamo figli di una generazione che ha abbandonato Dio. Ma Lui non dimentica di averci assegnato una porzione della Terra Promessa tra le più feconde, come quella della tribù di Aser. Questa giungeva sino al Carmelo, il giardino profumato e fertile di frutti squisiti (in ebraico karmel significa proprio “frutteto – giardino”). Apriamo il cuore, perché lo Sposo scende anche oggi a cercare la sposa nel suo giardino, per inebriarla con il suo profumo di misericordia, e trasformarla in un frutto d’amore per il mondo.
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