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giovedì 31 marzo 2016

LA PACE CHE SGORGA DALLE FERITE DI CRISTO PURIFICA OGNI NOSTRO PENSIERO


"Pace a voi!", Shalom, il modo attraverso il quale la risurrezione di Gesù giunge a ciascuno di noi. Shalom, la prima parola di Gesù risuscitato nel Cenacolo della comunità cristiana, è l'incipit della nuova creazione. Gesù non è venuto a ristabilire il Regno di Israele, ma a dare inizio, in ogni regno della terra, al suo Regno celeste. Perché "pace" significa innanzitutto che ogni muro di inimicizia che ci separava dai fratelli e dal mondo è stato abbattuto nella sua carne crocifissa e risorta; "Egli infatti è la nostra pace" e "per mezzo della croce" ha distrutto "in se stesso l'inimicizia". Non siamo nel regno dell'utopia, popolato e agitato da sogni e chimere, ideali e fantasmi, siamo entrati nella nuova creazione. Non spaventiamoci se proprio l'apparire di Gesù risorto fa emergere "dubbi" in noi. Il termine originale greco significa letteralmente "pensieri", quelli che ci assalgono di continuo. Sono i veri dominatori di questo mondo, le vestigia dell'uomo vecchio destinato a corrompersi. Diceva un Padre del deserto: "Un fratello interrogò un anziano: ‘Che devo fare poiché molti pensieri mi combattono e io non so come combatterli?’. Gli disse l’anziano: ‘Non combattere contro tutti, ma contro uno solo, perché tutti i pensieri del monaco hanno un capo. ‘E' necessario osservare chi sia questo capo e di che genere, combatterlo e così si umiliano anche gli altri pensieri’” (Nau 219)". Ogni pensiero che combatte e toglie la pace nasconde il volto del nemico più pericoloso: la "philautia", l’amore di sé che ci trasforma in "amici di sé contro sé stessi" (Massimo il Confessore). E' l'orgoglio che imprigiona la carne e la rende impotente, ne umilia la capacità di aprirsi e accogliere lo Spirito di Vita che la può condurre a compiere l'impossibile. Per questo i Padri dicevano: "Sii il portinaio del tuo cuore, affinché lo straniero non entri, chiedendo ad ogni pensiero che ti assale “Sei dei nostri o vieni dall’Avversario?”. Te lo dirà certamente! ‘Poni alla porta del tuo cuore un cherubino con la spada infuocata” (Nau 99). Antonio il Grande raccomandava ai suoi monaci: “Qualunque immagine appaia, colui che la vede non cada in trepidazione, ma piuttosto interroghi con sicurezza dicendo dapprima: “Chi sei tu e da dove vieni?… Se si tratta di una potenza diabolica, subito si indebolirà vedendo un animo sicuro e vigoroso. La domanda “chi sei tu e da dove vieni?” è infatti segno di un animo non turbato” (Vita Antonii, 43, 1-3). 



Nel Vangelo di oggi è adombrato questo combattimento decisivo; nella vita appaiono sempre le due vie sulle quali ci si può incamminare: il bene e il male, la verità o la menzogna. I dubbi sono i pensieri che attaccano al cuore la purezza capace di discernere per scegliere, liberamente, la via buona, quella della volontà di Dio, la eukodia nel greco neotestamentario, ovvero una volontà magnanima, buona, di bene. Quando appare Cristo risorto il demonio ci insinua i pensieri nemici della Croce che vorrebbero indurci a non credere dipingendoci il Signore con i tratti di un fantasma. Per questo l'apparizione del Signore nel Cenacolo segna il 'momento nel quale attaccare l'orizzonte che si schiude dinanzi. Un pochino come la tattica di alcune squadre di calcio nelle quali il centravanti è lo spazio. Non restare cioè fissi su schemi obsoleti figli dei pensieri che, nascendo dalla carne, vogliono nella vita un centravanti vecchia maniera, il centravanti boa, il terminale d'attacco dove far convergere ogni pallone nella speranza che lo metta in gol. No, si tratta di abbandonare le false certezze per lasciare libertà alla fantasia e alla creatività dello Spirito Santo, come il Barcellona, che attacca dalle fasce e dal centro, aggredendo lo spazio come fosse il centravanti; la novità è proprio questo entrare senza indugio nei fatti che la storia preparata da Dio ci pone dinanzi, facendo di essi il "centravanti" capace di infilzare la porta dell'avversario. La storia è infatti lo "spazio" dove il Signore appare vittorioso nella partita con il demonio, con i dubbi da lui insinuati e i peccati che, immancabilmente, ne conseguono



Ci troviamo dunque nel momento decisivo in cui discernere se i pensieri che ci assalgono sono dei nostri o del nemico, se sono dei "sì" o dei "no" all'amore. Discernere, infatti, deriva dal latino cernere, da cui la parola cerníta o scelta tra diversi elementi. Senza discernimento non si può attuare. Si è agitati da pulsioni contrastanti, si cercano vie e possibilità, come soddisfare i propri progetti, il proprio piacere, spesso verniciato con idee che appaiono buonissime e santissime. Discernere è distinguere, scoprire, tra molti, il pensiero di Dio per acconsentirvi. Il Signore conosce i nostri limiti, e ci viene in aiuto mostrandoci le sue ferite, il segno del suo Amore. In quelle ferite vi è scritto il racconto dei nostri fallimenti, la mappa della via di morte che lo ha crocifisso. Nelle sue ferite vi è ciascuno di noi con il suo carico di peccati e l'amore sino alla fine che li ha presi e distrutti. In quelle ferite vi è la garanzia del perdono, che il suo amore ha vinto, è stato più forte di ogni peccato e della morte. Attraverso le sue ferite giunge agli apostoli e a ciascuno di noi la luce capace di aiutarci a considerare e a discernere, a rifiutare ogni pensiero del nemico, ad uscire dall'incredulità e a lanciarci sul cammino della Vita. Le sue ferite e il suo corpo risorto, trasfigurato, ma così vicino a noi, così intimo da prendere cibo con noi, di nutrirsi del nostro stesso alimento, sono un segno inequivocabile della concretezza della sua risurrezione; Gesù mangia, Gesù non è un fantasma, si può accon-sentire, sentire con Lui perché Lui, risorto dai morti, sente con noi, acconsente a farci suoi fratelli, carne della sua carne e sangue del suo sangue. Si può credere, rigettando ogni dubbio, ogni pensiero come menzogna subdola e velenosa che ci spinge alla morte. 



Proprio incastonata nelle sue ferite, sigillata dalla sua carne che ha oltrepassato le barriere della morte, giunge agli apostoli la pace; shalom, secondo la Scrittura, è il dono del Messia, ed è la primizia del Regno eterno, il respiro della vita immortale; la pace dolce e succosa come il grappolo d'uva che Cristo ci porta quale segno della Terra promessa, la vera, l'eterna, che ha esplorato per noi entrandovi con la nostra stessa carne, dove ci ha preparato un posto; la pace di Gesù è tutt'altro che un pensiero. "Penso dunque sono" è l'approdo moderno del cammino all'emancipazione inauguratosi nel giardino dell'Eden davanti all'albero del bene e del male. Pensare non significa essere, ma, semplicemente, scivolare sull'essere, illudendosi di afferrare tutto attraverso il ragionamento, ma con la libertà incatenata, e l'effetto certo d'una sofferenza senza limite, recata dai pensieri raggomitolati sull'io, per quanto intelligente e capace esso sia. Per san Tommaso non è il pensare a decidere dell'esistenza, ma è l'esistenza, l'"esse", a decidere del pensare. L'esistenza nuova inaugurata da Cristo risorto diviene il criterio decisivo di ogni pensiero. Così il pensiero, da veicolo razionale del dubbio, diviene frutto libero della fede. Pensare lo stesso pensiero di Cristo, dimorare nella sua risurrezione che dà consistenza e autenticità ad ogni pensiero. Pensare pensieri di pace, perché Lui è risorto! La pace messianica è semplicità, ordine e sobrietà, pienezza di vita, salute integrale dell'uomo, realizzazione completa d'ogni aspirazione più profonda. La pace è la stessa vita di Dio tradotta nel concreto dipanarsi del tempo. La pace di Gesù è un frammento di Cielo, il lievito eterno che informa di sé ogni grumo di vita. La pace è il gusto dell'eternità in ogni nostro istante. La pace sbriciola le costruzioni del pensiero umano, le torri di Babele dell'arroganza, i monumenti all'orgoglio nei quali ci cimentiamo ogni giorno. La pace è la pietra scartata da noi costruttori di effimere cattedrali al nostro ego. 



Dostoevskij affermava: "Tutta la legge dell'esistenza umana consiste in questo: che l'uomo possa inchinarsi sempre dinanzi all'infinitamente grande. Se gli uomini venissero privati dell'infinitamente grande, essi non potrebbero più vivere e morrebbero in preda alla disperazione". La pace dunque è un miracolo perchè consiste, per grazia, nel lasciare ogni pensiero nella mente di Dio, arrendersi e pensare solo con il pensiero di Cristo. Ed esso ha il sapore della Croce. Non v'è altro pensiero in Gesù, ogni istante, ogni situazione, ogni relazione, ogni persona, tutto è visto, letto, tradotto con la grammatica della Croce. Le mani e i piedi crocifissi, le membra del Signore passate nel crogiuolo della morte e trasfigurate nella luce della risurrezione. La Croce è la porta della pace. Gesù giunge a porte chiuse proprio perchè la Croce ha scardinato la porta della morte, e nessun altro impedimento ormai lo può distogliere dai suoi fratelli. La pace oltrepassa i muri, ed è vera, reale, concreta, come mangiare un po' di pesce arrostito. Gesù è oggi dinanzi a noi come la via della vita, l'unica verità cui consegnarsi, il fondamento autentico dell'esistenza. La pace che ci annuncia è il frutto di una vita santa; il Signore risorto è la fonte della gioia, l'infinitamente grande cui inchinarsi perchè prenda possesso di noi. Scriveva S. Agostino agli eretici pelagiani: "Questo è l'orrendo e occulto veleno del vostro errore: che pretendiate di far consistere la grazia di Cristo nel Suo esempio e non nel dono della Sua Persona" (sant’Agostino, Contra Iulianum. Opus imperfectum). E' Lui la nostra pace, il perdono di ogni peccato, la fine definitiva d'ogni male, la malizia strappata dai cuori, un nuovo sguardo, puro, sul mondo. Lo sguardo di Gesù dentro i nostri occhi, il più bello, il più autentico annuncio del Vangelo destinato, nel suo Nome, a tutte le genti. I nostri occhi testimoni della pace incarnata nel Signore risorto: "Vorrei mettere in chiaro che essere sostenuti da un grande Amore e da una rivelazione non è un fardello, ma sono ali" (Benedetto XVI). Vedere e riconoscere Cristo risorto significa volare in ogni luogo ad annunciare la sua Pace, il perdono dei peccati nel suo Nome, testimoniato nelle nostre vite.

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