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mercoledì 30 marzo 2016

La Resurrezione, fondamento della fede cristiana

   
Il sepolcro di Gesù
 
 
 
        
Il Kerigma cristiano porta con sé lo stretto legame tra la morte in croce di Gesù e la sua resurrezione. Paolo infatti afferma: «Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture, fu sepolto, ed è risorto il terzo giorno secondo le Scritture ed è apparso a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15, 3-5).

La Resurrezione di Cristo dopo la sua morte e sepoltura è il dato che fa la differenza e dona autorevolezza ed efficacia all’intera opera di Cristo Gesù. Infatti Paolo sostiene che «Se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (1Cor 15,17). Dunque morte e resurrezione sono il prezzo del riscatto da parte del Verbo incarnato per liberare l’umanità dal peccato inteso qui come amartia che potremo cioè indicare come impoverimento esistenziale presentato come il peccato del mondo che rende incapaci di essere graditi a Dio e di svolgere in modo adeguato la missione affidata all’uomo e alla donna dal Creatore (Gen 1,28). Era necessaria l’opera salvifica consumata da Cristo Gesù vero Dio e vero uomo con la sua passione e morte e che verrà dal Padre glorificato costituendolo primizia di coloro che sono morti (1Cor 15,20). La Resurrezione di Cristo, che non è altro che il crocifisso morto e sepolto che, «sottratto al potere della morte» viene riconosciuto e presentato quale Signore = Kyrios per l’intera umanità, la quale, dal suo mistero pasquale, riceve esistenziale riscatto e salvezza.

La Resurrezione è l’autenticazione e il gradimento dell’opera di Gesù da parte del Padre. Dice K. Barth che «la resurrezione di Cristo è il grande verdetto di Dio, il compimento e la proclamazione della decisione divina sull’avvenimento della croce. Essa sanziona questo avvenimento come l’azione del Figlio di Dio, che stabilisce al posto nostro la collera di Dio messa al servizio della sua grazia. La sanzione come l’atto della sua obbedienza che giudica il mondo, ma per salvarlo, come l’atto del Figlio che Dio non ha cessato di amare (e noi in Lui), che non ha rigettato ma ha attirato a Sé (con noi) per pura bontà (Ger 31,3). La Risurrezione di Gesù Cristo è così la giustificazione di Dio stesso: di Dio Padre, il creatore del cielo e della terra, che ha voluto, preparato l’avvenimento del Venerdì santo. Essa è la giustificazione di Gesù Cristo, Figlio suo, che ha voluto soffrire la croce e che ha bevuto fino all’ultima goccia il calice della collera divina. E, nella sua persona, è la giustificazione dell’insieme degli uomini peccatori, di cui questo avvenimento aveva definito la sorte per sempre, cioè la morte, in modo che non restasse loro più alcuna possibilità di vivere ancora. Nella resurrezione di Gesù Cristo, la sua vita e, con essa, la loro vita, sono diventate realtà al di là della morte: “io vivo e voi vivrete” (Gv 14,19)».

La fede della comunità post-pasquale nella prospettiva di offrire all’umanità la «buona notizia» che Dio ha riscattato e redento la condizione umana liberandola dall’impoverimento dell’amartia (il peccato), si fonda proprio, come abbiamo richiamato, sulla Passione-morte e Resurrezione di Cristo. Se il riscatto dalla colpa e la soddisfazione alla giustizia lesa al Creatore dal peccato dell’umanità (cioè dal peccato originale) sono strettamente legate allo svuotamento del Verbo sino a consegnarsi e subire la morte in croce, la Resurrezione ne avvalla l’efficacia e indica in Gesù Cristo colui che «amando sino alla fine» opera il riscatto per l’intera umanità compiendo il progetto del Padre con una oblatività esemplare usque ad mortem. Questa duttilità fa di Lui «il crocifisso che vive e regna per sempre». Questa è anche la cristologia di Lutero. Vi è dunque uno stretto legame tra la croce e la Resurrezione di Cristo per l’antropologia che emerge dal Kerigma apostolico, in quanto queste due azioni, dice Barth, «formano insieme e nella loro successione i due elementi fondamentali della sola e stessa storia di Dio con il mondo peccatore». Circa la Resurrezione, al di là delle varie posizioni a volte divergenti dei teologi cristiani che si sono occupati di cristologia, come R. Bultmann, K. Barth, W. Pannenberg, J. Moltmann, W. Kasper, Ch. Duquoc, vi è concordanza sul fatto che la Resurrezione di Cristo è l’evento che dà valenza all’avvenimento della Croce visto sia da Barth che da Bultmann come l’azione di Dio che giudica e salva. Questo fatto reale, di portata universale, diviene «operativo» con la predicazione apostolica del Kerigma formulato già dalla comunità post-pasquale avente quale scopo quello di suscitare nella persona la decisione per il regno e quindi porsi alla sequela dell’evento Cristo attraverso l’accoglienza della verità salvifica del Kerigma e del battesimo nella morte e Risurrezione di Cristo.

La Resurrezione di Cristo è stato l’evento con la Pentecoste che ha «svelato» per gli Apostoli la portata dell’identità e missione di Gesù di Nazareth ben oltre alla sua predicazione pre-pasquale, già così carismatica, oltre i «confini» del popolo ebraico e anche oltre i confini della storia. La fede nel Risorto che si fonda su di un avvenimento reale è ciò che stupisce e muove l’impegno di evangelizzazione dei Dodici a partire da Gerusalemme fino ai confini della terra. La teologia dopo l’illuminismo si è posta il problema se la Resurrezione possa essere catalogata e considerata come storica. Per Bultmann la realtà della Resurrezione di Cristo si identifica con quello del Kerigma. L’atteggiamento dei discepoli e degli Apostoli nei confronti dello scandalo della croce cambia radicalmente proprio per il loro incontro con il Risorto, e ciò è un dato di fatto che sottolinea la veridicità dell’evento nel contesto di un periodo storico: quello vissuto dalla comunità post-pasquale e nell’era apostolica. Infatti basterebbe prendere la Prima Lettera ai Corinzi dove l’apostolo Paolo fa una difesa della veridicità della Resurrezione di Cristo contro i delatori e i negatori della Risurrezione di Gesù. L’animo con cui l’Apostolo tratta l’argomento indica la sua convinzione della realtà dell’evento e della veridicità dei testimoni. E tra l’altro l’Apostolo non si limita a sostenere il fatto in sé per Cristo Gesù ma l’evento reale della sua Resurrezione porta con sé anche l’aspetto escatologico in quanto essa è anticipo e ragion d’essere della resurrezione futura nella Parusia di Cristo il Vivente di tutti coloro che in Lui credono e crederanno (1Cor 15, 3-25). Per Paolo l’avvenimento della Resurrezione non è solo la testimonianza di una reale esperienza immediata del Risorto ma anche la conclusione del piano salvifico da Dio voluto e da Cristo realizzato per l’offerta di redenzione e salvezza di tutto l’uomo anche oltre la morte.

Il problema della storicità della Risurrezione di Gesù sollevato da alcuni teologi, senza ovviamente entrare in discussioni attinenti al moderno criterio della storia e soffermarci sulle tesi di Bultmann, ha una sua soluzione nella considerazione della autorevolezza e della veridicità dei testimoni cioè dei discepoli, i quali saranno segnati da questo fatto reale che la tradizione pasquale presenta a partire da due dati: a) quello della tomba vuota; b) quello degli incontri o apparizioni del Risorto con gli Undici. Fatti questi che ci permettono di concordare con H. Küng quando giustamente afferma che «non fu la fede dei discepoli a resuscitare Gesù per loro ma fu il Resuscitato da Dio a condurli alla fede e alla sua professione… non si può prescindere dalla realtà del Risorto, [cioè] dalla causa di Gesù che i suoi discepoli avevano data per persa, decide Dio stesso con la Pasqua: la causa di Gesù ha senso e progredisce perché, poiché Gesù stesso, dopo il suo [umano] fallimento, non è rimasto nella morte ma vive pienamente legittimato da Dio. La Pasqua è quindi un evento non solo per i discepoli e la loro fede: Gesù non vive grazie alla loro fede… La Pasqua è un evento primariamente per Gesù stesso: Gesù rivive grazie a Dio - per la loro fede».
Dunque dagli elementi che ci offre il Nuovo Testamento Cristo è veramente risorto e ha cambiato la vita ai suoi apostoli. La riflessione della comunità post-pasquale ha alla base della sua fede, e non viceversa, il Cristo Risorto che viene annunciato nella predicazione proprio perché è morto e risorto e vive alla destra del Padre. Aderire al Kerigma e porsi alla sua sequela nella Comunità da lui voluta significa usufruire della liberazione dal peccato ed essere giustificati presso il Padre. È dunque conditio sine qua non che Cristo sia veramente Risorto. Ecco perché diversi teologi moderni si sono occupati della storicità della Risurrezione. Lo stesso Catechismo della Chiesa cattolica pur consapevole della distinzione del criterio scientifico di storia circa la Resurrezione di Cristo sottolinea che «è un avvenimento reale che ha avuto manifestazioni storicamente costanti». Continua il Catechismo sottolineando che «la Resurrezione di Gesù è la verità culminante della nostra fede in Cristo, creduta e vissuta come verità centrale dalla prima comunità cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, stabilita dai documenti del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del Mistero Pasquale insieme con la croce: Cristo è risuscitato dai morti. Con la sua morte ha vinto la morte, ai morti ha dato la vita».

* Vicario episcopale per il laicato e la cultura - Diocesi di Trieste 

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