É impressionate assistere alla velocità e alla determinazione con cui l’associazione atea Freedom from Relgion Foundation (Ffrf) sta avanzando in ogni contea o città americana, chiedendo la rimozione di simboli religiosi cristiani, vietando la recita di preghiere e bandendo i testi sacri all’interno di scuole, istituzioni, alberghi. La sua è una conquista talmente facile e priva di opposizioni che definirla guerra sarebbe sbagliato. Nemmeno la Chiesa, infatti, resiste più.
L’episodio più recente risale ad appena qualche giorno fa, quando Carmen Finley, impiegata della contea di Trigg in Kentucky, ha accettato di rimuovere dal tribunale in cui opera l’immagine dei dieci comandamenti. Finley l’aveva appesa cinque mesi fa, perché «è la legge più antica che conosca». Ma è bastato che la Ffrf minacciasse di aprire una causa appellandosi al primo emendamento della Costituzione che in pochi giorni il quadro è stato rimosso. Interpretando in senso laicista l’emendamento per cui «il Congresso non potrà fare alcuna legge che stabilisca una religione di Stato», e dimenticando che la norma prosegue così «o che proibisca il libero esercizio di una religione», la Ffrf ha posto fra i suoi obiettivi preferiti anche l’educazione.
Lo scorso marzo, infatti, la scuola elementare Mariposa del quartiere californiano Brea Olinda, era stata accusata dalla fondazione di favorire il cristianesimo solo per il fatto di ospitare fra i tanti dei suoi gruppi scolastici il “Club Monarch”, all’interno del quale si spiegava la Bibbia ai bambini. Contro la tradizione degli Stati Uniti, che da sempre permette a qualsiasi religione o interesse (all’interno di certi limiti) di essere promosso nelle scuole, l’avvocato Todd Robbins, rappresentante il distretto scolastico, settimana scorsa ha comunicato che «il Cub Monarch ha smesso di operare presso la scuola elementare Mariposa e non opera in nessun altro distretto scolastico. Siamo sicuri che questo risolva le preoccupazioni espresse dalla lettera originale della vostra organizzazione».
Ma non contenta, solo due mesi dopo l’invio della missiva, a contesa ancora aperta, la Ffrf non ha perso tempo, incolpando una scuola del distretto di Tipton, in Missouri (come il Kentucky Stato della protestante“Bible Belt”), di favorire una religione perché nel suo inno venivano nominati Dio e le radici cristiane. Ad agosto il consiglio di amministrazione dell’istituto si era quindi riunito per decidere il da farsi. Anche in questo caso, onde evitare l’avvio di un processo, è stato comunicato ad alunni e professori il divieto di cantare l’inno tradizionale o di recitare preghiere.
La fondazione ha anche pensato di segnare un altro colpo cominciando a richiedere la rimozione delle Bibbie, tradizionalmente distribuite all’interno degli hotel del Paese, appellandosi agli alberghi universitari. Così, sempre in nome della laicità, la fondazione atea ha inviato una lettera giunta lo scorso marzo all’Executive Inn di Glendale (Arizona), di proprietà del College di Glendale, chiedendo che i testi sacri fossero tolti dalle stanze. Ad agosto l’hotel ha dichiarato la sua resa.
La lotta parallela è poi continuata anche contro le istituzioni pubbliche. Basti pensare che lo scorso aprileè stata aperta una causa contro il Comune di Santa Clara per via di una grande croce affissa in un parco della città in ricordo della sua origine storica di missione spagnola. «La città non può favorire una religione, storia o non storia che sia», aveva affermato senza mezzi termini il presidente della Ffrf Annie Laurie Gaylor. Ma è una battaglia, quella dell’ateismo americano, che oltre a non trovare nemici ha pure rendimenti non indifferenti: lo scorso 31 maggio si concludeva il processo aperto contro la contea texana di Brewster per via degli adesivi a forma di croce posti sui veicoli della polizia locale, che oltre ad essere rimossi sono costati alla contea ben 14 mila dollari di risarcimenti danni. Da sommare al denaro derivante dalle accuse mosse a due ufficiali.
Tutto ciò sta avvenendo nonostante il primo emendamento della Costituzione sia stato pensato dai padri fondatori proprio per evitare che lo Stato si imponesse sulle religioni. Perché come spiegò nel 2005 il giudice della Corte Suprema Anthony Scalia in una controversia simile (“McCreary County v. Aclu”) «la consuetudine storica dimostra che c’è una differenza fra il riconoscimento di un singolo Creatore e lo stabilimento di una religione». Eppure oggi, di fronte alla galoppante ondata laicista la resa pare totale. Oltre a qualche articolo di giornale o voce minori non si è infatti sentito alcun commento da parte di giudici, pastori o vescovi locali. Solo una speranza si è intravista lo scorso maggio fra il popolo, seppur quasi privo di guide. Dopo l’ennesima minaccia legale da parte della Ffrf rivolta a una scuola superiore dello Ohio, la East Liverpool High School, perché solita ospitare il canto del Padre Nostro durante la consegna dei diplomi, era giunta la resa, ma è bastato il coraggio di uno per arrestare le mire atee.
Lo studente della scuola, Bobby Hill, ha spiegato: «Tutti pensavamo fosse molto sbagliato che ci obbligassero a rimuovere la canzone. Mio padre mi ha sempre insegnato a battermi per quello che ritengo giusto. Ed è quello che ho fatto». Il ragazzo dopo aver tenuto il discorso di commiato ha chiesto agli studenti di alzarsi. In piedi i ragazzi hanno cominciato a recitare il Padre nostro concluso con un grande applauso. E, miti come colombe ma scaltri come serpenti, senza disobbedire al divieto di cantare il Padre Nostro lo hanno recitato.
Si capisce quindi perché il candidato presidenziale Donald Trump abbia riscosso tanto successo quando, venerdì scorso, alla Values Voter Summit, uno dei più grandi appuntamenti cristiani in America, ha sostenuto che i leader «hanno abbandonato la gente di fede che oggi viene derisa e umiliata dalla cultura media». E che dall’«amministrazione Trump, la nostra eredità cristiana sarà amata, protetta, difesa come non avete mai visto prima».
L’episodio più recente risale ad appena qualche giorno fa, quando Carmen Finley, impiegata della contea di Trigg in Kentucky, ha accettato di rimuovere dal tribunale in cui opera l’immagine dei dieci comandamenti. Finley l’aveva appesa cinque mesi fa, perché «è la legge più antica che conosca». Ma è bastato che la Ffrf minacciasse di aprire una causa appellandosi al primo emendamento della Costituzione che in pochi giorni il quadro è stato rimosso. Interpretando in senso laicista l’emendamento per cui «il Congresso non potrà fare alcuna legge che stabilisca una religione di Stato», e dimenticando che la norma prosegue così «o che proibisca il libero esercizio di una religione», la Ffrf ha posto fra i suoi obiettivi preferiti anche l’educazione.
Lo scorso marzo, infatti, la scuola elementare Mariposa del quartiere californiano Brea Olinda, era stata accusata dalla fondazione di favorire il cristianesimo solo per il fatto di ospitare fra i tanti dei suoi gruppi scolastici il “Club Monarch”, all’interno del quale si spiegava la Bibbia ai bambini. Contro la tradizione degli Stati Uniti, che da sempre permette a qualsiasi religione o interesse (all’interno di certi limiti) di essere promosso nelle scuole, l’avvocato Todd Robbins, rappresentante il distretto scolastico, settimana scorsa ha comunicato che «il Cub Monarch ha smesso di operare presso la scuola elementare Mariposa e non opera in nessun altro distretto scolastico. Siamo sicuri che questo risolva le preoccupazioni espresse dalla lettera originale della vostra organizzazione».
Ma non contenta, solo due mesi dopo l’invio della missiva, a contesa ancora aperta, la Ffrf non ha perso tempo, incolpando una scuola del distretto di Tipton, in Missouri (come il Kentucky Stato della protestante“Bible Belt”), di favorire una religione perché nel suo inno venivano nominati Dio e le radici cristiane. Ad agosto il consiglio di amministrazione dell’istituto si era quindi riunito per decidere il da farsi. Anche in questo caso, onde evitare l’avvio di un processo, è stato comunicato ad alunni e professori il divieto di cantare l’inno tradizionale o di recitare preghiere.
La fondazione ha anche pensato di segnare un altro colpo cominciando a richiedere la rimozione delle Bibbie, tradizionalmente distribuite all’interno degli hotel del Paese, appellandosi agli alberghi universitari. Così, sempre in nome della laicità, la fondazione atea ha inviato una lettera giunta lo scorso marzo all’Executive Inn di Glendale (Arizona), di proprietà del College di Glendale, chiedendo che i testi sacri fossero tolti dalle stanze. Ad agosto l’hotel ha dichiarato la sua resa.
La lotta parallela è poi continuata anche contro le istituzioni pubbliche. Basti pensare che lo scorso aprileè stata aperta una causa contro il Comune di Santa Clara per via di una grande croce affissa in un parco della città in ricordo della sua origine storica di missione spagnola. «La città non può favorire una religione, storia o non storia che sia», aveva affermato senza mezzi termini il presidente della Ffrf Annie Laurie Gaylor. Ma è una battaglia, quella dell’ateismo americano, che oltre a non trovare nemici ha pure rendimenti non indifferenti: lo scorso 31 maggio si concludeva il processo aperto contro la contea texana di Brewster per via degli adesivi a forma di croce posti sui veicoli della polizia locale, che oltre ad essere rimossi sono costati alla contea ben 14 mila dollari di risarcimenti danni. Da sommare al denaro derivante dalle accuse mosse a due ufficiali.
Tutto ciò sta avvenendo nonostante il primo emendamento della Costituzione sia stato pensato dai padri fondatori proprio per evitare che lo Stato si imponesse sulle religioni. Perché come spiegò nel 2005 il giudice della Corte Suprema Anthony Scalia in una controversia simile (“McCreary County v. Aclu”) «la consuetudine storica dimostra che c’è una differenza fra il riconoscimento di un singolo Creatore e lo stabilimento di una religione». Eppure oggi, di fronte alla galoppante ondata laicista la resa pare totale. Oltre a qualche articolo di giornale o voce minori non si è infatti sentito alcun commento da parte di giudici, pastori o vescovi locali. Solo una speranza si è intravista lo scorso maggio fra il popolo, seppur quasi privo di guide. Dopo l’ennesima minaccia legale da parte della Ffrf rivolta a una scuola superiore dello Ohio, la East Liverpool High School, perché solita ospitare il canto del Padre Nostro durante la consegna dei diplomi, era giunta la resa, ma è bastato il coraggio di uno per arrestare le mire atee.
Lo studente della scuola, Bobby Hill, ha spiegato: «Tutti pensavamo fosse molto sbagliato che ci obbligassero a rimuovere la canzone. Mio padre mi ha sempre insegnato a battermi per quello che ritengo giusto. Ed è quello che ho fatto». Il ragazzo dopo aver tenuto il discorso di commiato ha chiesto agli studenti di alzarsi. In piedi i ragazzi hanno cominciato a recitare il Padre nostro concluso con un grande applauso. E, miti come colombe ma scaltri come serpenti, senza disobbedire al divieto di cantare il Padre Nostro lo hanno recitato.
Si capisce quindi perché il candidato presidenziale Donald Trump abbia riscosso tanto successo quando, venerdì scorso, alla Values Voter Summit, uno dei più grandi appuntamenti cristiani in America, ha sostenuto che i leader «hanno abbandonato la gente di fede che oggi viene derisa e umiliata dalla cultura media». E che dall’«amministrazione Trump, la nostra eredità cristiana sarà amata, protetta, difesa come non avete mai visto prima».
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