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martedì 27 settembre 2016


IL RIFIUTO CHE CI APRE LE PORTE DELLA MISERICORDIA 
L'amore autentico desidera il bene dell'amato, per questo conosce il dolore del rifiuto. Chi ama, infatti, è libero e lascia liberi: accetta che l'altro non lo accolga. Ma qui cominciano i problemi. Anche se sposati da tanti anni, anche se i nostri figli sono ormai adolescenti e maggiorenni, anche se conosciamo i fratelli delle nostre comunità da molto tempo, ci ricadiamo sempre. E' più forte di noi, non tolleriamo che l'altro non ci capisca, non ci ascolti, e ci rifiuti. Quante liti, quante settimane di musi e silenzi; quante crisi e frustrazioni... E vorremmo poter "dire che scenda un fuoco dal Cielo e distrugga" il male, le idee diverse, la freddezza e le incomprensioni degli altri. Fraintendiamo il segno di Elia, che non ha bruciato gli idoli per vincere una partita con i profeti di Baal, ma per annunciare che esiste un solo Dio che ama l'uomo, risponde al suo grido e si fa carico delle sue vicende. 

E restiamo sordi all'annuncio di questo amore. Rifiutiamo la pretesa della Croce di essere l'unico "luogo" dove fare giustizia della menzogna del demonio e dove incontrare e adorare Dio. I samaritani che non accolgono il Signore sono immagine dell'eresia che cova anche nel nostro cuore, quella che rifiuta l'amore perché legato al Monte Garizim, dove essi credevano si dovesse esclusivamente adorare Dio. 

Ogni eresia, infatti, sbuccia la verità per attaccarsi a un pezzo di scorza e farne l'assoluto. Non possiamo accettare il Legno della Croce che brucia il nostro orgoglio e rivela l'amore di Dio perché siamo attaccati ai fatti nella vita nei quali crediamo di avere patito delle ingiustizie. Adoriamo noi stessi e non accettiamo chi ci annuncia che la vera sofferenza è per i nostri peccati e non a causa degli altri; per questo rifiutiamo chi ci profetizza che è nella Gerusalemme del Mistero Pasquale dove si impara il nuovo culto in Spirito e Verità.  

Per questo, a nostra volta, non digeriamo il rifiuto degli altri; siamo noi, infatti, che stiamo rifiutando "i giorni" della storia come occasioni in cui "si compia il nostro essere tolti dal mondo", dove il fuoco dell'amore di Dio, umiliandoci, bruci gli idoli che ci tengono schiavi per farci capaci di amare. Ci difendiamo perché ciò che muove il nostro cuore e la nostra mente, ciò che genera pensieri, parole e gesti non è l'amore che dona la propria vita e lascia che gli altri la "tolgano dal mondo". L'orizzonte delle nostre relazioni non è Gerusalemme dove Gesù si è fatto gettare fuori dal mondo per aprire un cammino verso il Cielo proprio a chi lo rifiutava. Abbiamo dimenticato che l'altro è il nuovo tempio dove siamo chiamati ad offrirci come un agnellino; prima di decidere come parlare e come agire non ci inginocchiamo nel Getsemani per chiedere con Gesù di compiere la volontà del Padre e rinnegare la nostra; non guardiamo ai fatti come al Golgota preparato per noi dove passare al Cielo attraverso la Croce. Usando le difficoltà e le sofferenze il demonio ci ha rubato l'esperienza di essere morti e risorti con Cristo. Non dimoriamo con Lui in Dio nascosti nella Gerusalemme celeste, per questo non possiamo andare alla Gerusalemme terrestre che ci attende. 

Abbiamo dimenticato la missione per la quale siamo stati chiamati, la santità per la quale ci siamo sposati e abbiamo messo al mondo i figli; se preti, è sparito dal radar del discernimento l'altra riva alla quale siamo stati inviati per condurre il popolo che ci è affidato. Quando ci svegliamo non è per "dirigerci decisamente verso Gerusalemme"; abbiamo paura di morirci perché il demonio ci tieni schiavi. Così ha pervertito la nostra vita: chiamati a seguire il Signore e a precederlo nella storia per preparare la sua Pasqua nella vita delle persone che ci sono accanto, non possiamo non condividerne le sorti. Se le rifiutiamo significa che abbiamo smesso d'essere discepoli, che non lo stiamo seguendo verso Gerusalemme. Non ci stiamo convertendo...

La Città della Pace, infatti, è il nostro destino, dove Dio ci svela la verità. Essa è anche quella che uccide i profeti, la santa e prostituta nella quale si riflette la contraddizione che caratterizza ogni uomo: amato come un figlio, è condannato a vivere come un orfano. Se non vi andiamo non saremo liberati, perché Gerusalemme è anche come il fonte battesimale dove spogliarci dell'uomo vecchio e rivestire il nuovo: solo passando attraverso la Gerusalemme terrestre possiamo entrare nella Gerusalemme celeste. Essa è nostra madre, è la carne che ci ha generato e lo Spirito che ci rigenera. Perché a Gerusalemme "si compie" nell'amore il mistero di ogni uomo. Secondo la tradizione ebraica, infatti, erano legati a Gerusalemme la creazione di Adamo e il sacrificio di Isacco al Monte Moria, profezie che si sarebbero compiute in Cristo. Ivi, la stessa tradizione fissava il luogo del sogno di Giacobbe, quando, "addormentato sulle pietre riconciliate e riunite" (Gen R 68), aveva visto "la scala dalla terra fino al cielo" (Gen. 28,10-22), la Croce che avrebbe dischiuso il Regno al Figlio di Dio e a tutti noi. 

Per questo, con il «volto saldo» e pronto per ricevere insulti, sputi e bestemmie, Gesù si reca a Gerusalemme con lo sguardo puntato irrevocabilmente al compimento dell'opera del Padre, deciso a salvare ogni uomo. Passo dopo passo, villaggio dopo villaggio, rifiuto dopo rifiuto, Gesù non poteva che recarsi pellegrino a Gerusalemme, come a visitare il cuore malato di ciascuno di noi; e non poteva che, rifiutato, salire sulla Croce e «compiere» la Pasqua, che è proprio assumere il rifiuto e trasformarlo in accoglienza umile. E' questo il passaggio che trascina l'uomo nell'obbedienza che sana la contraddizione che porta nel cuore. 

La missione di Gesù, infatti, la sua elevazione sulla Croce inizia a compiersi proprio nell'ascesa a Gerusalemme, durante viaggio del profeta che doveva morire a Gerusalemme. Le sue parole e gli eventi che lo attendevano erano tutti parte della profezia di misericordia di Dio sulla storia e sull'uomo. Il Mistero Pasquale di Cristo non è l'avvenimento di un istante circoscritto; è un pellegrinaggio, una salita-elevazione verso e attraverso Gerusalemme, ha una storia, passa per villaggi e incontri; così è anche della nostra vita. Non vi sono eventi isolati, dove improvvisamente essere cristiani. Tutto è legato, anche le relazioni e i fatti che sembrano marginali, la routine quotidiana illuminati dalla Parola di Dio e dall'insegnamento materno della Chiesa, ci preparano ai momenti dove il Moria, come il Golgota, appaiono dinanzi a noi. Nulla si improvvisa, e non si può essere cristiani e vivere da figli di Dio se non si procede in conversione ogni istante. Non si va Gerusalemme se non camminando dietro a Gesù insieme al Popolo di Dio, con i suoi discepoli.

Allora, proprio il cammino che ci conduce a Gerusalemme è quello dove crescere nella fede, immagine del catecumenato della Chiesa primitiva; lo descrive bene il salmo 84, uno di quelli detti delle ascensioni, che cantavano gli ebrei che salivano in pellegrinaggio a Gerusalemme: "Beato l'uomo che trova in te il suo rifugio e ha le tue vie nel suo cuore. Passando per la valle del pianto la cambia in una sorgente; anche la prima pioggia l'ammanta di benedizioni. Cresce lungo il cammino il suo vigore, finché compare davanti a Dio in Sion". La Chiesa ce lo ha annunciato quando abbiamo ricevuto il battesimo, e, con le sue cure materne, ce lo ricorda sempre: la nostra vita è orientata verso Sion perché la vita di un cristiano si "compie" solo sulla Croce. Quando si "è elevati dal mondo (secondo l'originale greco tradotto con "tolti")" appare la fede adulta. Essa cresce nel cammino che, con Cristo e il suo corpo che è la comunità cristiana, passa per le lacrime della sofferenza, anche dei peccati, e le vede cambiare in una sorgente di acqua viva che zampilla per la vita eterna. 

Non è cristiano chi non ha sperimentato il perdono dei peccati che trasforma il cuore perché ami ciò che ha disprezzato e giudicato. Dirigendosi ogni giorno "decisamente", senza ripensamenti verso Gerusalemme il cristiano trova in Cristo il suo rifugio di fronte alle tentazioni, impara ad avere le sue vie nel cuore, cioè a compiere la volontà di Dio, e sperimenta che ogni evento ammanta di benedizioni la valle impervia della vita di ogni giorno.

Abbiamo dunque bisogno di un cammino di preparazione nel quale purificarci per celebrare la pasqua con Cristo, essere in Lui nuove creature. Secondo la tradizione ebraica, la Pasqua esigeva «preparativi» accurati e lunghi, quanto il cammino di Gesù verso Gerusalemme, quanto il nostro sulla via della conversione e della fede. E «messaggeri» scelti per realizzarli. Essi, come i membri di uno staff che conosce intimamente il presidente e ne condivide la missione, sono inviati per bonificare e preparare la visita. Così hanno fatto nella nostra vita gli apostoli che ci hanno annunciato il Vangelo e ci conducono sulle strade della conversione.  

Senza dimenticare di essere stati guariti gratuitamente dalla stessa eresia, anche noi siamo «angeli inviati davanti al volto» di Gesù come recita l’originale greco: in famiglia, al lavoro, a scuola, ci «incamminiamo» ogni giorno verso il «villaggio dei samaritani» eretici che rifiutavano scandalizzati il Tempio di Gerusalemme. Ovunque la Croce sia di scandalo, anche oggi siamo inviati a cercare hametz, il lievito vecchio dell'ipocrisia che rifiuta la verità, e a prenderlo su di noi, perché Gesù possa compiere in tutti la sua Pasqua. Siamo inviati a bruciare con il fuoco dell’amore indiviso a Cristo gli idoli che tengono schiavi gli uomini. Con la pazienza e l’umiltà che impariamo crocifissi con Cristo, le fondamenta sulle quali sorge, incrollabile e decisa, la nostra missione. 

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