L’identità cristiana della Polonia, sopravvissuta a mezzo secolo di regime comunista e oggi costretta a respingere pressioni internazionali di ogni sorta (dall’Ue all’Onu) e rispondere a vere e proprie campagne di disinformazione, potrebbe far segnare una straordinaria inversione di tendenza sul fronte dei diritti del bambino, proteggendone realmente la vita fin dal concepimento. Con 267 voti a favore e 154 contrari, il parlamento polacco ha infatti pronunciato il suo primo “sì” per approvare una proposta di iniziativa popolare, firmata da 450 mila cittadini e chiamata “Stop Aborcji”, che punta a modificare la legge del 1993 e affermare il principio che l’aborto volontario è un reato senza eccezioni. Tutto parte quindi da una mobilitazione dal basso, che ha visto il coinvolgimento di associazioni, movimenti e centinaia di migliaia di persone, a cui si è andato presto ad aggiungere il deciso sostegno della Chiesa polacca.
Secondo le norme vigenti, in Polonia l’aborto è legale in caso di stupro, incesto, pericolo per la salute e la vita della madre e gravi malformazioni del feto, sebbene nella pratica non siano mancati gli abusi rispetto a questi “paletti” normativi, dal momento che sono stati abortiti anche bambini con handicap o sindrome di Down. Tant’è che la mobilitazione dei cittadini a difesa della vita è diventata inarrestabile da marzo in poi, in seguito al dramma di un bambino lasciato morire, tra urla e pianti, sul tavolo di una sala operatoria dopo che era sopravvissuto a un tentativo di aborto alla ventitreesima settimana.
Ma dicevamo della disinformazione, veicolata dalla stampa di sinistra contraria al governo guidato da Beata Szydlo e spacciata per buona da diversi media internazionali, secondo cui con la nuova proposta di legge la donna che subisce un aborto spontaneo rischierebbe il carcere (falso) e i medici non potrebbero più salvaguardare la vita della madre in caso di pericolo (falso). In realtà, la bozza di riforma, che sarà adesso analizzata dalle apposite commissioni parlamentari, stabilisce che chiunque causi un aborto può essere imprigionato da tre mesi a tre anni, ma si precisa che i dottori non sono responsabili qualora cerchino di salvare la vita della madre e il loro intervento provochi involontariamente la morte del bambino. Nei confronti della madre che abortisce intenzionalmente, il tribunale può decidere di mitigare la pena o anche assolverla del tutto, e viene inoltre prevista assistenza materiale per i bambini che nascono con una malattia grave.
Nello stesso giorno in cui ha votato a favore di “Stop Aborcji”, la Camera bassa polacca ha respinto con 230 voti contro 173 un’iniziativa popolare di opposto tenore, firmata da 215 mila cittadini e intitolata “Save Women”, che avrebbe allargato ulteriormente le maglie dell’aborto, consentendolo fino alla ventiquattresima settimana nel caso di malformazioni (eppure, dalle evidenze mediche risulta che il bambino sarebbe già capace di vita autonoma dopo 18-20 settimane). Un risultato politico significativo, se si pensa che non ci sono state imposizioni di partito e i singoli parlamentari sono stati lasciati liberi di votare secondo coscienza.
Ciò nonostante, i leader del partito di maggioranza Diritto e Giustizia, dalla premier Beata Szydlo al fondatore Jaroslaw Kaczynski, non si sono nascosti e hanno manifestato apertamente il loro sostegno alla proposta di legge («vogliamo distanziarci dal comodo mainstream dell’Europa secolarizzata. È la promessa fatta agli elettori: ritorno alle tradizioni cristiane», si leggeva in un comunicato in primavera), che secondo un recente sondaggio ha l’appoggio del 58% dei polacchi.
Nell’iniziativa a difesa della vita si sono impegnate diverse donne della società civile, come la docente di Diritto Joanna Banasiuk e la direttrice di Human Life International, Ewa Kowalewska, secondo la quale «la battaglia adesso sarà quella di aiutare il popolo polacco a capire gli attacchi che arriveranno dall’Unione europea, dalle ong e dai media finanziati da George Soros. È risaputo che Soros ha versato milioni per salvare dalla bancarotta giornali di sinistra e che finanzia l’opposizione radicale alle iniziative pro-life». Benché la maggioranza dei polacchi sia contraria all’aborto, la Kowalewska nota che la propaganda dei gruppi finanziati da Soros sta avendo successo, specialmente tra i giovani. Eppure, «la Polonia ha un eccellente sistema di cura per la salute materna; le nostre percentuali di mortalità materna sono tra le più basse d’Europa nonostante abbiamo – anzi, proprio perché abbiamo – forti restrizioni sull’aborto: per questo il messaggio che vogliono far passare gli abortisti con la campagna “Save Women” è estremamente disonesto».
Di certo, se la proposta di legge passerà, come fa sperare l’ampio margine parlamentare con cui è stata trasmessa alle commissioni, parte del merito andrà ascritto alla Conferenza episcopale polacca, che ha esercitato con chiarezza il proprio ruolo, esortando ad aprile i sacerdoti a leggere in chiesa una dichiarazione a supporto dell’iniziativa popolare, in cui si ribadiva il Magistero di sempre: «La posizione della Chiesa cattolica - si legge nella dichiarazione dei vescovi - è chiara e immutabile. Bisogna che ciascuno protegga la vita di ogni persona, dal concepimento alla morte naturale».
Il modello Polonia insegna insomma che la teoria del piano inclinato, secondo cui una volta che per via legislativa viene aperto uno spiraglio al male si scivolerà lentamente verso il baratro, può essere ribaltata con una forte e sana partecipazione dei laici, una classe politica responsabile e pronta ad accogliere le istanze dal basso, e una Chiesa che non abdica alla sua funzione di guida dei fedeli.
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