La sessualità è qualcosa di molto serio, e il femminismo con la folle parità di genere che ha generato, ci rivelano come la sua banalizzazione genitale, sulla quale soprattutto (è molto più facile, no?) è stata fondata l'ideologia demoniaca dell'uguaglianza (maschio e femmina uguali perché uguali a Dio...) abbia portato a una barbarie che non sembra avere fine. E non solo per una questione ancestrale e culturale, per cui comunque un maschio che fa sesso è un playboy mentre una donna è vista come una sgualdrina. La demolizione delle differenze hanno distrutto la dignità del maschio e della femmina, fomentando proprio quelle convinzione pre-umane che favoriscono il maschio che il femminismo avrebbe voluto abbattere.
IL LATO OSCURO DELLA RIVOLUZIONE SESSUALE
Lucetta Scaraffia (Il Corriere della Sera, 21 settembre 2016)
Dietro a queste storie c’è qualcosa d’altro, che non vogliamo vedere: lo chiamerei il lato oscuro della rivoluzione sessuale dal punto di vista delle donne. Quella rivoluzione che doveva renderci tutti liberi e felici e, soprattutto le donne — protette dalla pillola — uguali agli uomini. Se una cosa invece ci dicono clamorosamente tutti gli episodi accaduti in questi giorni è che in barba alla pillola e ad ogni altra rivoluzione uomini e donne restano dal punto di vista del sesso due universi diversi e incomparabili. Che il sesso ha per gli uni e le altre significati diversissimi, rappresenta cose diversissime. La giovane calabrese di Melito non è solo una povera ragazzina schiacciata dai pregiudizi tradizionali del Sud e soprattutto dal timore del potere dei clan. È anche una tredicenne che ha avviato in giovanissima età un fidanzamento con uno di quei ragazzi che sarebbero poi diventati i suoi violentatori. Non era forse meglio evitarlo? Ma oggi nessuno ha il coraggio di dire a una giovane tredicenne, poco più di una bambina, che sarebbe meglio aspettare, studiare, guardarsi intorno, capire, uscire con le amiche invece di cominciare così precocemente una vita sessuale. C’è da giurare che sarebbe dileggiato come un oscurantista, uno che vuole opprimere la libertà sessuale dei «giovani». Così come egualmente pochi si fermano a pensare, e a dire, che a parti rovesciate la divulgazione di un video con le prestazioni sessuali di un maschio tredicenne non avrebbe certo mai potuto avere le conseguenze tragiche che ha avuto invece per la ragazza. Perché? Forse, appunto, perché la rivoluzione sessuale non esiste come fenomeno di liberazione eguale per tutti. Proprio questo invece credeva la giovane donna del Napoletano che ha inviato agli amici il video che la vedeva protagonista di una scena hard. Ha creduto nella liberazione sessuale eguale per tutti esibendo le sue attività sessuali come avrebbe fatto un maschio. Convinta di essere «liberata» come un uomo, credeva che anche per lei il sesso potesse rappresentare un gesto di sfida, una bravata, un momento di affermazione e di potere da ostentare, magari per compensare un’immagine di debolezza. Proprio come le ragazzine che a Rimini hanno con totale incoscienza filmato l’amica priva di sensi per il troppo bere mentre veniva violentata in una toilette. Anche questa scena atroce, a loro assuefatte all’ideologia bugiarda del sesso come consumo deve essere sembrata una performance «interessante», un momento di cui la povera vittima, chissà, avrebbe potuto l’indomani magari andare addirittura fiera. E loro con lei. Sappiamo bene come invece sono andate le cose, sappiamo bene il senso di vergogna e di ribrezzo che la loro amica ha provato vedendo la scena. Ma ancora una volta chiediamoci: sarebbe mai possibile immaginareuna scena simile con protagonisti maschili? E perché non lo sarebbe? Perché non è vero che — eliminato con un anticoncezionale il problema del rischio maternità — le donne possono fare sesso come gli uomini, possono viverlo ed esibirlo come loro. Non è solo a causa dei pregiudizi sociali che questo non si può fare. È proprio tutto diverso, per le donne e per gli uomini. Quello che per gli uomini è sempre un momento di affermazione di sé, di «potenza », per le donne è un accogliere nella propria intimità. Un’accoglienza che può essere imposta con la forza, anche a loro insaputa, mentre sono incoscienti, e che può essere diffusa nel web come prova del potere del maschio con il quale si accompagnano. In qualunque video porno privato che venga diffuso via Internet la vittima potenziale è la donna: per l’uomo questa esibizione, anche se non voluta, sarà sempre e solo un momento di fierezza, una conquista. Non si sono mai visti uomini disperati, che arrivano al suicidio, perché un loro momento di intimità sessuale è stato diffuso, a meno che non sia stato usato come ricatto per ledere la loro posizione professionale. Ma, di per sé, l’onore maschile non viene mai sminuito da un simile incidente che lo vede, comunque, come un conquistatore. Le protagoniste di questi ultimi casi di cronaca sono state ingannate da una cultura diffusa che le spinge a comportarsi come i maschi da ogni punto di vista, anche quello sessuale. Come se non ci fossero rischi, pericoli specifici da cui metterle in guardia. Come se l’unico pericolo fosse la gravidanza indesiderata e quindi, tolto quello, le donne potessero diventare come gli uomini. Quante povere ragazze ingannate dovremo ancora vedere soffrire — talvolta fino alla morte — per questo stupido equivoco?
LA STOLTA PARITA' DI GENERE CHE STA UCCIDENDO LA SVEZIA
Lohman, descrisse il suo paese come una “terribile società”, a causa di una sorta di “freddo” in cui il conformismo diventa necessità in “una società che odia l’infanzia”. Lohman rimase ovviamente inascoltato. E la Svezia sarebbe assurta alle cronache come “la società di maggior successo che il mondo abbia mai cononosciuto” (copyright The Guardian). Una società benigna, ammirevole, razionalista, industrializzata, basata sul consenso, sulla compassione onnicomprensiva, splendente, il faro dello stato sociale e dei cittadini privilegiati sistemati tranquillamente in una civiltà areligiosa, il “campione mondiale del benessere”, il laboratorio della giustizia e della fiduciosa evoluzione, la confortevole contrada, la “via di mezzo” ammirata da François Hollande e Barack Obama. Come non invidiare un sistema imperniato sulla difesa dei più deboli e sulla correzione delle ingiustizie del destino, oltre che sulla radicale trasformazione dell’idea di famiglia? Se ci si chiede: “Cos’è importante in Svezia?”. La risposta è catechistica: “Come si risolve il problema sociale”. E’ un modello di solerzia didattica. Una sorta di grande compagnia d’assicurazione dove il razionalismo sessuale è spinto all’integralismo, dove la parità dei sessi è assoluta, anche nell’iniziativa amorosa, e l’uso della pillola si impara a scuola. Quando questa rivoluzione prese il via, fuono pensati anche residence con servizi integrati per la comunità e non per la singola cellula-famiglia, in modo “da liberare la donna dall’obbligo del ruolo materno”. Sulle rive del Baltico, l’adulterio cessò di essere una colpa e la gelosia venne addirittura considerata un sentimento riprovevole. La chiamarono “malattia nera”. Ma questo grande anonimato culturale svedese, un sistema che cerca di modellare e uniformare, ha un volto oscuro che nell’ultimo mese ha mostrato i suoi artigli: l’inferno dell’autonomia. “L’Arabia Saudita del femminismo”, come l’ha definita Julian Assange. Alla fine del 1980, il governo socialdemocratico di Ingvar Carlsson presentò un disegno di legge “per la parità di genere assoluta”, con l’obiettivo di femminilizzare la metà dei membri dei consigli di amministrazione. Allora la percentuale era solo del 28 per cento, ma era già un record mondiale. Nei giorni scorsi, per la prima volta nella storia, in Svezia la percentuale di donne nei consigli di amministrazione di enti governativi è stata del 51 per cento. La Svezia ora si appresta a lanciare una nuova agenzia governativa dedicata a realizzare una “società basata sull’uguaglianza di genere”. E per raggiungere questo obiettivo, Stoccolma ha dichiarato la “Könskriget”, la guerra di genere. Si cominciò un anno fa dal linguaggio. Tre lettere, “hen”: alternativa al pronome maschile “han” (lui) e femminile “hon” (lei). Così l’Accademia svedese decise di inserire il termine nel dizionario per indicare coloro che non si sentono né maschi né femmine. Alcuni giorni fa, il servizio pubblico televisivo svedese Svt, l’equivalente svedese di Bbc o Pbs, ha annunciato che varerà programmi per bambini che promuovano “un buon equilibrio tra i sessi”, e ha quindi deciso di cambiare il sesso di diversi beniamini dei bambini. Così Jett, il protagonista di “Super Wings”, ha scoperto il suo lato femminile nella versione svedese. E Ted, il camion di “Trucktown”, in Svezia si è femminilizzato in Linn. Le case editrici svedesi, come la Olika, stanno sfornando intanto fiabe e libri “gender free”. Come “Joanna l’inventore”, una ragazza curiosa che ama inventare cose da maschi, o “I vestiti di Konrad”, che parla di un ragazzo che ama indossare abiti femminili e giocare con le ragazze. In Svezia, per promuovere la “guerra del gender”, sono stati creati pure asili, come “Egalia”, in cui i bambini non hanno sesso, in cui maschi e femmine sono chiamati con il pronome “hen”, in cui anche i giochi devono essere considerati neutri e vicino a una cucina in miniatura ci sono pistole o aeroplani e le bambole “dormono” accanto ai robot e i bambini sono liberi di scegliere con cosa giocare. Il progetto ha avuto inizio nel 1998, quando un emendamento alla legge sull’istruzione della Svezia prevedeva che tutte le scuole dovessero “lavorare contro gli stereotipi di genere”. Di conseguenza, Lotta Rajalin, a capo di cinque scuole dell’infanzia statali per i bambini di età compresa tra uno e sei anni, nell’ultimo anno ha introdotto politiche di genere neutre nei suoi asili. Dai giocattoli, come automobili e bambole, agli spogliatoi, tutto è mescolato, per favorire “una maggiore interazione tra i ragazzi e le ragazze”. Alle superiori, tutte le ragazzine svedesi di sedici anni ricevono una copia del libro “Dobbiamo essere tutte femministe” di Chimamanda Ngozi Adichie, pubblicato con il finanziamento della lobby femminista. La guerra al gender è entrata anche nelle sale cinematografiche. I cinema in Svezia hanno introdotto un nuovo rating per evidenziare “pregiudizi di genere”, o meglio l’assenza di esso. Per ottenere la tripla A, un film deve passare il cosiddetto “Test Bechdel”, il che significa che deve sottostare ad alcune regole: almeno due donne tra gli attori principali; che le due parlino tra loro; che gli argomenti di cui discutono siano diversi da considerazioni sul proprio compagno o che abbiano a che fare solo col sesso maschile. “L’intera trilogia del Signore degli Anelli, tutti i film di ‘Star Wars’, ‘The Social Network’, ‘Pulp Fiction’ e ‘Harry Potter’ non superano questa prova”, ha detto Ellen Tejle, il direttore di Bio Rio, un cinema d’essai nel quartiere Södermalm di Stoccolma e uno dei quattro cinema che hanno per primi lanciato il nuovo rating. Lo Swedish Film Institute, finanziato dal generosissimo welfare svedese, sostiene l’iniziativa, che sta cominciando a prendere piede. La guerra alla differenza investe anche le Forze armate svedesi, che si sono viste sommergere le caserme di un “manuale di genere”. Ma l’utopia a trasformarsi in distopia ci mette poco. Così sempre più giovani svedesi sono confusi con il loro “genere” e cercano assistenza sanitaria. La psichiatra infantile Louise Frisén, dell’Ospedale Astrid Lindgren per i Bambini, ha visto un incremento annuo del cento per cento nei bambini e negli adolescenti che non sono sicuri del loro genere e alla ricerca di assistenza medica. Di recente, la Svezia ha imposto pure i “giocattoli neutri”. Toytop, la multinazionale che detiene la Toys “R” Us svedese, era stata tacciata di “discriminazione di genere” e invitata a cambiare strategia. Per questo, nei nuovi cataloghi ci sono bambini che allattano bambolotti e bambine che sparano, bimbi e bimbe che giocano assieme con le batterie da cucina Happy House, mentre sono i maschi che fanno il “figaro” in erba asciugando i capelli a ragazzine che si ammirano allo specchio. L’agenzia governativa svedese per i sistemi innovativi, Vinnova, ha sviluppato anche un sistema di rating che mette in guardia gli utenti circa “la misoginia nei videogiochi”. L’agenzia lavora con gli sviluppatori di videogiochi per determinare come ritraggono le donne. Il responsabile del progetto per Dataspelsbranschen, Anton Albiin, ha detto che il governo potrebbe imporre anche una certificazione speciale per le aziende che nei giochi promuovono l’uguaglianza. Basta pure con gli “stereotipi sessisti” in pubblicità, come da ordini del Consiglio etico che in Svezia veglia su manifesti e spot di tutte le aziende. Al centro delle polemiche una pubblicità della Lego dove si vede una bambina che gioca in una cameretta rosa, con i pony, mentre un bambino è attorniato da camion dei pompieri e altri giocattoli “virili”. Incoraggiate dallo stato svedese, alcune coppie hanno iniziato ad allevare i figli “senza genere”. Il primo è stato “Pop”, un bimbo che oggi ha nove anni, ma non si può dire se è un bambino o una bambina, perché nessuno ne conosce il sesso, tranne i suoi genitori, ben decisi a non svelare il segreto al resto del mondo. In una intervista allo Svenska Dagbladet, i genitori hanno dichiarato: “Vogliamo che Pop cresca liberamente e non debba adattarsi a un modello di genere specifico”. La madre dice che Pop per lei non è un maschio o una femmina, “è solo Pop”. Un inferno ben ritratto nel nuovo documentario di Erik Gandini e dal titolo “La teoria svedese dell’amore” (nelle sale italiane dal 22 settembre). Il film nasce da un manifesto politico nel 1972 del governo di Olof Palme: “La famiglia del futuro”. Gli individui devono pienamente autodeterminarsi. Per far questo si deve eliminare la dipendenza reciproca: tutte le scelte devono essere svincolate dalle relazioni umane e familiari. I figli dai genitori e viceversa, le mogli dai mariti. Il risultato è che la Svezia ha oggi il record mondiale di persone che vivono sole e di anziani che muoiono soli, dimenticati da tutti. E’ la “terribile società” intuita da Lohman, quella in cui le donne parlano con gli alberi facendo jogging e fabbricano i figli con la fecondazione artificiale grazie a donatori di sperma che “augurano a tutti una vita felice”. (Giulio Meotti, Il Foglio 21 settembre 2016)
Nessun commento:
Posta un commento