Venti anni fa Giovanni Paolo II pubblicava l’enciclica Evangelium vitae (25 marzo 1995) “sul valore e l’inviolabilità della vita umana”. Fatto salvo l’impegno di quanti in questi anni si sono impegnati e si impegnano per la vita, il suo bilancio non lascia soddisfatti. L’aborto è passato da eccezione a diritto e nella Chiesa ormai ci si convive, raramente i pastori intervengono e si è formata un’ampia opinione contraria alla mobilitazione sociale e politica su questo tema.
Quali le cause di questo fallimento? L’enciclica di San Giovanni Paolo II sulla vita si collocava in un contesto di pensiero filosofico e teologico costituito, oltre dall’enciclica suddetta, anche dalla Fides et ratio (1998) sul rapporto tra la fede e la ragione e dalla Veritatis splendor (1993) su alcune questioni relative alla morale. Bisogna chiedersi se quel quadro sia oggi ritenuto ancora valido o se sia penetrato nella Chiesa un nuovo “paradigma”, all’interno del quale le riflessioni della Evangelium vitae non trovano più il respiro necessario.
Secondo il paradigma “delle tre encicliche” il tema della vita è collocato all’interno di un ordine sociale naturale perché gli uomini, come dice il bellissimo paragrafo 20 della Evangelium vitae, non sono ammucchiati uno sull’altro come dei sassi, ma esiste un ordine naturale della vita sociale e politica che gli uomini possono conoscere con le loro capacità naturali e difendere con le loro volontà naturali, nonostante non riescano mai pienamente a farlo a causa del peccato delle origini, in conseguenza del quale anche per raggiungere i propri fini naturali c’è bisogno della rivelazione e della grazia. La Evangelium vitae rimanda quindi alla dimensione dell’indisponibile – tra cui il mistero della vita e la dignità della procreazione in stretta continuità con la Humanae vitae di Paolo VI e la Familiaris consortio di Giovanni Paolo II – che noi possiamo già conoscere sul piano naturale ma che diventa pienamente comprensibile sul piano soprannaturale.
E proprio questo incontro era il tema della Fides et ratio, secondo la quale l’uomo è capace di Dio perché è capace
Quali le cause di questo fallimento? L’enciclica di San Giovanni Paolo II sulla vita si collocava in un contesto di pensiero filosofico e teologico costituito, oltre dall’enciclica suddetta, anche dalla Fides et ratio (1998) sul rapporto tra la fede e la ragione e dalla Veritatis splendor (1993) su alcune questioni relative alla morale. Bisogna chiedersi se quel quadro sia oggi ritenuto ancora valido o se sia penetrato nella Chiesa un nuovo “paradigma”, all’interno del quale le riflessioni della Evangelium vitae non trovano più il respiro necessario.
Secondo il paradigma “delle tre encicliche” il tema della vita è collocato all’interno di un ordine sociale naturale perché gli uomini, come dice il bellissimo paragrafo 20 della Evangelium vitae, non sono ammucchiati uno sull’altro come dei sassi, ma esiste un ordine naturale della vita sociale e politica che gli uomini possono conoscere con le loro capacità naturali e difendere con le loro volontà naturali, nonostante non riescano mai pienamente a farlo a causa del peccato delle origini, in conseguenza del quale anche per raggiungere i propri fini naturali c’è bisogno della rivelazione e della grazia. La Evangelium vitae rimanda quindi alla dimensione dell’indisponibile – tra cui il mistero della vita e la dignità della procreazione in stretta continuità con la Humanae vitae di Paolo VI e la Familiaris consortio di Giovanni Paolo II – che noi possiamo già conoscere sul piano naturale ma che diventa pienamente comprensibile sul piano soprannaturale.
E proprio questo incontro era il tema della Fides et ratio, secondo la quale l’uomo è capace di Dio perché è capace