dall'Encilica di san Giovanni Paolo II Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile, Giovedì Santo, dell'anno 2003, Anno del Rosario.
[...] 36. La comunione invisibile, pur essendo per sua natura sempre in crescita, suppone la vita di grazia, per mezzo della quale si è resi «partecipi della natura divina» (2 Pt 1,4), e la pratica delle virtù della fede, della speranza e della carità. Solo così infatti si ha vera comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Non basta la fede, ma occorre perseverare nella grazia santificante e nella carità, rimanendo in seno alla Chiesa col «corpo» e col «cuore»; 72 occorre cioè, per dirla con le parole di san Paolo, «la fede che opera per mezzo della carità» (Gal 5,6).
L'integrità dei vincoli invisibili è un preciso dovere morale del cristiano che vuole partecipare pienamente all'Eucaristia comunicando al corpo e al sangue di Cristo. A questo dovere lo richiama lo stesso Apostolo con l'ammonizione: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice» (1 Cor 11,28). San Giovanni Crisostomo, con la forza della sua eloquenza, esortava i fedeli: «Anch'io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di non accostarci a questa sacra Mensa con una coscienza macchiata e corrotta. Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi comunione, anche se tocchiamo mille volte il corpo del Signore, ma condanna, tormento e aumento di castighi».
In questa linea giustamente il Catechismo della Chiesa Cattolica stabilisce: «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione». Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell'apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell'Eucaristia, «si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale».
37. L'Eucaristia e la Penitenza sono due sacramenti strettamente legati. Se l'Eucaristia rende presente il Sacrificio redentore della Croce perpetuandolo sacramentalmente, ciò significa che da essa deriva un'esigenza continua di conversione, di risposta personale all'esortazione che san Paolo rivolgeva ai cristiani di Corinto: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20). Se poi il cristiano ha sulla coscienza il peso di un peccato grave, allora l'itinerario di penitenza attraverso il sacramento della Riconciliazione diventa via obbligata per accedere alla piena partecipazione al Sacrificio eucaristico.
Il giudizio sullo stato di grazia, ovviamente, spetta soltanto all'interessato, trattandosi di una valutazione di coscienza. Nei casi però di un comportamento esterno gravemente, manifestamente e stabilmente contrario alla norma morale, la Chiesa, nella sua cura pastorale del buon ordine comunitario e per il rispetto del Sacramento, non può non sentirsi chiamata in causa. A questa situazione di manifesta indisposizione morale fa riferimento la norma del Codice di Diritto Canonico sulla non ammissione alla comunione eucaristica di quanti «ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto». [...]
L'integrità dei vincoli invisibili è un preciso dovere morale del cristiano che vuole partecipare pienamente all'Eucaristia comunicando al corpo e al sangue di Cristo. A questo dovere lo richiama lo stesso Apostolo con l'ammonizione: «Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice» (1 Cor 11,28). San Giovanni Crisostomo, con la forza della sua eloquenza, esortava i fedeli: «Anch'io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di non accostarci a questa sacra Mensa con una coscienza macchiata e corrotta. Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi comunione, anche se tocchiamo mille volte il corpo del Signore, ma condanna, tormento e aumento di castighi».
In questa linea giustamente il Catechismo della Chiesa Cattolica stabilisce: «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla comunione». Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell'apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell'Eucaristia, «si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale».
37. L'Eucaristia e la Penitenza sono due sacramenti strettamente legati. Se l'Eucaristia rende presente il Sacrificio redentore della Croce perpetuandolo sacramentalmente, ciò significa che da essa deriva un'esigenza continua di conversione, di risposta personale all'esortazione che san Paolo rivolgeva ai cristiani di Corinto: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20). Se poi il cristiano ha sulla coscienza il peso di un peccato grave, allora l'itinerario di penitenza attraverso il sacramento della Riconciliazione diventa via obbligata per accedere alla piena partecipazione al Sacrificio eucaristico.
Il giudizio sullo stato di grazia, ovviamente, spetta soltanto all'interessato, trattandosi di una valutazione di coscienza. Nei casi però di un comportamento esterno gravemente, manifestamente e stabilmente contrario alla norma morale, la Chiesa, nella sua cura pastorale del buon ordine comunitario e per il rispetto del Sacramento, non può non sentirsi chiamata in causa. A questa situazione di manifesta indisposizione morale fa riferimento la norma del Codice di Diritto Canonico sulla non ammissione alla comunione eucaristica di quanti «ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto». [...]
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